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Diventare padre

di - 22/01/2021

Tranquilli, non è un tutorial sulla genitorialità, e neanche un vademecum su come prendere i voti e diventare sacerdote. 

Non è nemmeno un trattato tecnico sulla procreazione, per questo ci sono siti più adatti con ottimi video e primi piani molto esplicativi che… ok, lasciamo perdere.

In realtà, più che di procreazione, volevo parlare di creazione, ovvero il pensiero stupendo che prima o poi coglie qualsiasi surfer: perché non costruire la propria tavola? 

Se abbiamo paragonato l’acquisto della nostra prima tavola ad una amante che entra nella nostra vita, la costruzione da zero della propria tavola genera un risultato che è senz’altro più paragonabile alla nascita di un figlio. Anzi, di una figlia.

Lei avrà sicuramente dei difetti e non farà sempre quello che vogliamo, sarà uno scarrafone bell’ammamma sua, ma lo avremo fatto noi, al cento per cento. 

Che cosa comporta costruire una tavola da surf, e perché dovremmo farlo? Saremo in grado? Funzionerà?

Cimentarsi oggi è senz’altro più facile, trent’anni fa era praticamente necessario costruirsi tutto, o quasi. Esistono anche una quantità di disegni, tutorial, addirittura vengono proposti dei blanks pre-shapati, già con le spine per le pinnette e il pozzetto per il leash il che vi risparmia diversi passaggi: insomma, le uniche due scuse valide per non cimentarsi nella costruzione della propria tavola sono l’ammettere di essere troppo pigri e il fatto oggettivo di non avere un posto dove farlo. 

Costruirsi la propria tavola non è sicuramente un’operazione di risparmio, perché a conti fatti si va a spendere quasi la stessa cifra che serve per acquistare una tavola nuova: ma è un atto d’amore e di passione che darà delle grandissime soddisfazioni.

Devo anche dirvi che qualsiasi cosa riuscirete a costruire, per quanto chiavica, galleggerà e riuscirete a prenderci delle onde. Kelly Slater ha surfato con una porta e un tavolino da caffè.

D’accordo, noi non siamo lui, ma la fisica è fisica. 

Dunque, cominciamo.

La prima cosa da considerare è lo spazio, che deve essere ragionevolmente grande da permettervi di girare intorno alla vostra creazione in maniera agevole per tutto il suo perimetro. Vi servirà una presa di corrente, illuminazione, se c’è anche un ricambio d’aria, meglio. Farete un bordello di polvere e puzza (pardon, profumo) di resina: è un lavoro che si può anche fare all’aperto, se avete un giardino, ma è necessaria almeno una tettoia.

Io ho iniziato in casa nella tavernetta dei miei genitori, avevo creato una shaping room utilizzando i teli di protezione trasparenti che si comprano al brico, per terra telo pvc o moquette da fiera. Tutta roba che, una volta terminato il lavoro, si toglie e si butta, ma la protezione dell’ambiente circostante e del pavimento da polvere e resina è fondamentale.

Per i polmoni, invece, mascherina: ma a quella purtroppo ormai ci siamo tutti abituati.

L’illuminazione è importante: se volete proprio costruire una vera shaping room vi rimando ai vari tutorial che si trovano in giro, ma per la prima realizzazione si può anche improvvisare. Qualche faretto a LED magari su piantana regolabile, sempre roba che si compra al brico, andrà bene.

 

L’attrezzatura per costruire una tavola da surf

una pialla elettrica, una raspa, un traforo, seghetto alternato, avvitatore-trapano, una pialla a mano, forbici buone, scotch carta, una matita a punta spessa. Carta vetrata in fogli, in varie grammature (80-200-400) da applicare su un pezzo di legno largo dieci cm. e lungo almeno cinquanta (che faccia da tampone). Due fogli di compensato di betulla, spessore leggero (3-4 mm), larghezza 50 cm, lunghezza adeguata alla lunghezza della tavola che volete costruire. Se volete, anche una levigatrice, di quelle con il tampone rettangolare. Obbligatorio un bidone aspiratutto, tenere pulito è un must. Ovviamente, fibra di vetro (200-240 gr., quattro volte la lunghezza della tavola, larghezza 80 cm-un metro) e resina (5 kg tra resina e catalizzatore). Fondamentale una bilancia da cucina elettronica e vasetti di vetro o di plastica puliti. Lame da cutter e pennelli, sarà necessario anche costruirsi degli appositi cavalletti (guardate quelli nelle shaping room).

Ci sono due modalità principali di costruzione. Blank in schiuma poliuretanica e resina poliestere o vinilestere, oppure costruzione in polistirolo e resina epossidica. La seconda richiede più attrezzatura e più spazio, perché prevede anche la costruzione del blank da zero comprando il polistirolo al metro cubo e la costruzione di un seghetto a caldo che va utilizzato in due: come prima esperienza la scarterei. 

C’è anche una terza opzione, da tenere in seria considerazione: l’acquisto di piani di costruzione per una tavola in legno (struttura cava), in questo caso non serve descrivere la tecnica perché in quello che vi arriverà è compreso tutto il passaggio. E’ la soluzione forse più facile perchè è vero che questo tipo di tavola ha molti più componenti, ma è anche vero che proprio per questo motivo gli errori sono facilmente correggibili sostituendo eventualmente i singoli pezzi. 

Sul foam invece, la pialla elettrica non perdona! Solo Doc con la DeLorean potrebbe rimediare.

 

La scelta del tipo di tavola

Per quanto riguarda la scelta della tavola, si parte dai blanks disponibili (e dal grado di finitura dal quale volete cominciare).

Noi una volta semplicemente scalavamo una foto di una tavola presa da una rivista (in fondo a Surfing e Surfer c’erano sempre delle pagine dedicate alle nuove tavole dei principali shaper, con foto dall’alto e di fianco e caratteristiche tecniche), la disegnavamo su carta millimetrata, poi la riportavamo sul foglio di compensato a grandezza naturale e avevamo ottenuto l’outline della nostra tavola. Con il polistirolo era necessario ricavare anche il longherone e quindi il rocker, operazione più complicata: nel caso dei blank pronti il rocker è già sommariamente definito. Ingegneria ad occhio.

Anche qui, non sto a spiegarvi la rava e la fava di tail, rocker, bottom, bordi, in rete si trova di tutto: se avete un amico che può aiutarvi coinvolgetelo, il massimo sarebbe poter beneficiare di qualcuno che ha più esperienza di voi. 

In realtà, fin dall’inizio scoprii l’autocostruzione grazie ai fratelli Ferrari, di cui ho già parlato in un altro pezzo, Pietro e Matteo si costruivano surf e windsurf: Pietro in particolare usava le sue tavole da windsurf con una certa maestria. 

Passammo parecchio tempo insieme, più tardi quando decisi di provare a fare da solo in maniera molto sfacciata chiesi a Riccardo Zorzit Lapasin e Roberto Dini di Costa Ovest di potergli fare da apprendista per qualche giorno. Ci conoscevamo per via delle partecipazioni alle varie gare ed eventi e devo dire che furono di una gentilezza incredibile: mi ospitarono nel loro “atelier” rispondendo alle cinquemila domande e permettendomi di assistere a tutti i processi di realizzazione. Non li ho ringraziati mai abbastanza.

Dopo aver messo nero su bianco i vostri propositi e il risultato delle vostre ricerche, siete pronti per aggredire il blank: prima di tutto bisogna segnare i bordi con la matita per decidere quanto togliere, lasciando sempre un margine. Si può costruire un attrezzo per marcare i bordi: una L di legno, con dei fori dove inserire la matita. Facendo scorrere la matita lungo il bordo e appoggiando la base inferiore della L al bottom della tavola, si ottengono diverse linee a diverse altezze: si asporta con il tampone a carta vetrata il materiale tra una linea e l’altra ed eventualmente si ripete l’operazione di marcatura fino al raggiungimento del risultato desiderato. Successivamente si smusseranno gli spigoli ottenuti fino al raggiungimento del bordo finito.

Poi si passa alla pialla: la pialla elettrica va portata dal tail verso la punta e si parte dal centro con successivi passaggi verso i bordi, va tenuta angolata rispetto al longherone di qualche grado. Non bisogna premere, la profondità di scavo viene selezionata con un pomello sul lato, si appoggia e il movimento deve essere continuo, è vietato fermarsi o starnutire. E’ un attrezzo pericoloso da usare, pertanto cautela.

Si parte dal bottom, ad ogni passata ci si ferma per verificare che non ci siano avvallamenti o gobbe. Sicuramente ci saranno, in quel caso ci si ferma e con il tampone a carta vetrata si passa in maniera uniforme sempre senza premere troppo. Gli errori sono sempre difficili da correggere.

 

La grafica

Una volta ottenute le proporzioni desiderate, uno dei momenti più catartici: la creazione delle grafiche e del colore e l’applicazione della velina che avrete studiato in precedenza, il vostro logo. Si può stampare anche in casa su carta di riso. Assicuratevi che i colori utilizzati siano compatibili (ovvero non siano solubili) con la resina che utilizzate.

Finita la decorazione, si parte con il glassing. Vestiti lunghi e guanti in silicone: la resina è difficilissima da togliere dalla pelle!

Prima una “pezza” di fibra in corrispondenza del tail, che va resinata e lasciata asciugare per una giornata, meglio se con l’ausilio di una stufetta. Attenzione alle proporzioni tra resina e catalizzatore: la poliestere perdona qualcosa, ma comunque è una operazione da fare con precisione, a peso o a volume. Attenzione anche alle bolle d’aria: il glassing richiede calma e precisione, la poliestere vi concede abbastanza tempo per forare le bolle e aggiungere resina, che autolivellandosi andrà a riempire i vuoti.

Una volta resinata la “pezza” di supporto alle pinne si levigano le asperità e poi si può mettere il primo strato di fibra di vetro sulla coperta, si resina e si lascia asciugare. Si passa a fare la stessa operazione per il bottom, e poi ancora un secondo strato (sempre sessioni separate) per la coperta. Due strati sopra, uno sotto più il rinforzo per le pinne.

Una bella levigata con la levigatrice, senza pietà, e poi si passa alla creazione del pozzetto, se non è già predisposto (o del ponticello), per il leash. All’inzio degli anni novanta non c’erano ancora le pinnette FCS o simili, pertanto in questa fase si passava a realizzare e poi fissare le pinne. Per il long, prima di resinare va fissata la scassa.

Una volta terminate queste operazioni e levigata alla perfezione la tavola, si passa al tocco finale: uno strato di resina mescolato con paraffina liquida dato a pennello costituisce il finish.

 

Ecco vostro figlio

Ed eccola qui, dopo mesi di lavoro, avete partorito! La vostra nuova bambina, fatta da voi con le vostre mani!

Ribadisco che sopra ho espresso in maniera sommaria i passaggi da seguire per la costruzione, ma nel momento in cui decidete di cimentarvi è necessario fare ricerca sul web per capire alla perfezione tutti i passaggi. Si trovano anche dei manuali, sia per lo shaping che per il glassing: se dovessimo scriverlo qui ne uscirebbe un tomo!

Ora siete pronti: se non vi siete troncati le dita con la pialla, se non vi siete segati un polso, se non vi siete riempiti i polmoni di polvere o non siete finiti all’ospedale per aver respirato i fumi della resina e se non avete bruciato il condominio lasciando la stufetta accesa tutta la notte, siete dei Papà!! Potete prendere la vostra bambina per mano e portarla con  voi. Non importa se assomiglierà alla figlia di Fantozzi: vi renderà comunque orgogliosi!

Mammifero di sesso maschile della specie "homo sapiens", sottospecie "goofy foot" (ricordiamo che i goofy sono stati creati dalla scintilla divina, mentre i regular discendono per linea evolutiva dalle scimmie). Esploratore entusiasta classe 1972, ho iniziato a fare surf verso la fine degli anni 80 e ho avuto la fortuna di conoscere delle persone straordinarie e di condividere con loro parecchie esperienze dentro e fuori dall'acqua. Ho un approccio multidisciplinare con tantissimi interessi diversi: vivo a Milano (non ridete) dopo diversi anni passati all'estero come manager di aziende italiane e mi occupo tutt'ora di direzione aziendale. Scrivo di design, altra passione che si unisce alla professione, e da poco grazie ad una "sliding door" anche di surf. A volte prendo dentro, e me ne scuso, ma si vive una volta sola, se vi offenderò non ci sarà niente di personale.