Ho fatto parte della scena del surf italiano per parecchi anni, dalla fine degli anni ’80, ho surfato in parecchi spot in patria e all’estero, Hawaii, Costa Rica, Canarie, Paesi Baschi, Stati Uniti, Francia. Brasile. Mi sono tolto parecchie soddisfazioni, ho conosciuto e surfato con diversi campioni – da Nat Young a Ross Clarke Jones -, partecipato a numerose gare, poi un trasferimento per lavoro in Cina, ma il surf è sempre rimasto tra i miei interessi, anche se non più una priorità. Le cose cambiano.
Oggi faccio surf solo d’estate, in Sardegna, dove ho iniziato trent’anni fa, il posto – che era deserto – ora ha la spiaggia attrezzata, ospita una scuola e diverse competizioni, c’è sempre qualcuno in acqua compresi un certo numero di stranieri, ma non ho mai veramente avuto un problema sulla lineup.
Sarà che ho surfato con gente che mi ha insegnato le regole, sarà che negli spot più difficili non puoi esimerti dal rispettare la legge (scritta) del picco e delle buone maniere, sarà che non sono una persona particolarmente conciliante – se devo urlare urlo, se ti devo passare sopra, beh, ti passo sopra -, sta di fatto che comunque rispettando tutti e rispettando le regole, nessuno a sua volta mi ha mai mancato di rispetto. Certo, qualche coglionazzo occasionale lo si trova, ma niente che non si possa sistemare lì e subito.
Però.
Negli ultimi anni, diversi amici hanno iniziato a dirmi “no, li non ci vengo più, è pieno di imbecilli”, “no là non ci voglio andare, c’è sempre da litigare, non portano rispetto”, addirittura uno mi ha detto “no ho smesso di surfare, troppa gente che non capisce un cazzo in acqua, non mi diverto più”.
Non stiamo parlando di poseurs, di ragazzini o di gente che sta ancora cercando di capire come si parte su un’onda, ma di surfers adulti che hanno attraversato un paio di decenni spesi tutti in acqua. Omoni grandi e grossi, bruti. Ci sono rimasto male, lo ammetto, ma credevo fosse un problema loro.
Poi recentemente mi sono avvicinato ad una comunità di “vecchi surfisti”, e quello che pensavo essere un problema limitato alla personalità e forse al cambiamento di interessi, si è invece manifestato come una vera e propria piaga.
Praticamente, un coro generalizzato di lamentele che rimarcano il fatto che la maggior parte degli spot siano diventati impraticabili a causa dell’ elevatissimo numero di materia organica galleggiante (cit. Sergente Hartman) in varie fogge, che non conoscono o fanno finta di non conoscere la benché minima regola universale che sancisce il turnover e il surf su qualsiasi spot.
Dirò di più: su un vecchio numero di Surfer c’era un articolo scritto da Gary Elkerton (se incontri uno che di soprannome fa Kong probabilmente è una buona idea non rompergli i coglioni, indicazione contenuta nel paragrafo “consigli gratis”) che parlava proprio di questo, già in tempi non sospetti. E’ quello che sta leggendo mia figlia nella foto, sia per fare pratica con l’inglese che per capire che cosa sia il surf, che vuole praticare. Il surf ha senz’altro, o aveva, un risvolto sociale. Si vede che mi sono perso proprio il periodo dell’involuzione, ero distratto.
Lo scenario quindi si complica: come facciamo?
Una prima risposta a chi si lamenta potrebbe essere: interpretate il vostro ruolo di educatori, non rinunciate alla pugna, insistete e fatevi rispettare, il che però include la possibilità di accapigliarsi in acqua, nel parcheggio o di arrivare fino alle vette della banana nel tubo di scarico della macchina del malcapitato. Tutto fattibile, ma l’escalation di violenza o il localismo (che a volte in vari gradi purtroppo ha tenuto le cose sotto controllo per un bel pezzo) rimane comunque una pratica soggettiva e soggetta all’evoluzione del momento: va da sé che non si può pensare di andare in acqua già con l’approccio del picchiatore.
Il fatto di surfare da diversi anni dovrebbe comunque significare che sulla line up ci si conosce un po’ tutti, almeno tra quelli che vanno, e fare parte della gerarchia del picco dovrebbe comunque garantire un minimo di rispetto insieme al diritto di mandare affanculo gli ultimi, irrispettosi arrivati contando su un minimo di supporto.
In ogni caso, più che lanciarmi in una rampogna, vorrei umilmente mettermi al servizio di chi si è approcciato al surf e condividere un estratto di quelle che sono le regole, stabilite dalla ASP (Association of Surfing Professionals) e dall’ISA (International Surfing Association) nella gestione del picco, shakerate con della pratica, codificata e sana esperienza. Nel lontano 1994 ho partecipato al primo corso da giudice internazionale tenuto in Italia nientemeno che da Gary Linden, allora Vice Presidente ASP, pertanto andrò ad attingere al libretto di formazione ASP che conservo tutt’ora, aggiungendo dei principii non tanto di etichetta quanto di gestione della sicurezza, perché è vero che il surf è cool e può essere divertente, ma può diventare anche pericoloso e noioso.
Partiamo dalla scelta dello spot, dando per scontato che ognuno abbia l’attrezzatura più adatta al proprio livello per divertirsi e surfare in sicurezza.
1) E’ ormai assodato che ovunque ci sia mare, c’è onda. Tanta o poca non importa, dove c’è onda, si surfa. Se potete, fate scouting, surfare uno spot deserto è una grande soddisfazione. The Search.
Molti surfers però (come me ad esempio) potrebbero abitare lontano dall’acqua, pertanto la scelta dello spot va fatta prima di partire e può condizionare pesantemente la giornata, scegliere uno spot troppo famoso o troppo difficile non è mai una buona idea. Siate onesti con voi stessi: andate in acqua per divertirvi e per migliorare, buttarsi a Varazze per fare la boa e rompere le palle a chi cerca di prendere le sue onde può diventare un esercizio pericoloso sotto diversi punti di vista. Rocce affioranti, locals spietati, tavole fuori controllo, può veramente andare a finire male.
2) Se scegliete uno spot famoso, invece di buttarvi in acqua con aria saputa perdete un po’ di tempo ad osservare quelli che vanno forte. Cercate di capire quali sono i migliori, i vari livelli della gente in acqua, chi rema e poi si tira indietro lasciando passare l’onda, chi parte su tutto.
Guardate da dove entrano (buttarsi dal molo come un local ma finire impalati su uno scoglio non è cool, meglio il canale!). Perdete cinque minuti a cercare di capire come funzionano le correnti, prendete i riferimenti di dove rompono le serie più grosse, della frequenza, cercate di capire come funziona l’inside, guardate dove l’onda va a morire, dove conviene buttarsi. Spesso anche nelle condizioni peggiori c’è sempre un “buco” e le correnti, nel posto giusto, tra una serie e l’altra vi sparano fuori senza troppa fatica. E’ molto cool. Uscirete come dei professionisti. Osservate.
3) E’ molto probabile che di fianco al vero e proprio spot ci siano altri picchi semivuoti o addirittura, sullo stesso litorale, delle onde niente male che sono completamente snobbate. Se siete già in grado di mettervi in piedi e surfare un minimo, i picchi “laterali” sono una buona scelta, probabilmente vi consentono di prendere molte più onde senza diventare il bersaglio dell’odio – e di conseguenti oscuri riti pagani – di una gran parte dei presenti. Surfare le schiume o i close out nell’inside del picco principale per andare dritti urlando “woooo hooooo!” può sembrare una buona idea, ma non lo è. Siete ancora in mezzo alle palle e farete una fatica mostruosa per niente, perchè quello non è surf. Vi renderete ridicoli.
Scegliete. I picchi. Laterali.
Se poi siete veramente in grado di mettervi in piedi e surfare per la lunghezza dell’onda, potrete provare ad avvicinarvi al picco principale.
4) Il picco. Non importa se ci sono trecento o tre persone, le regole sono sempre quelle. L’approccio al picco deve avvenire più all’esterno possibile, senza tagliare la faccia dell’onda.
Il principio del surf è che “il surfer deve cercare di surfare -con le manovre più radicali – la parte più verticale dell’onda, ovvero più vicino alla schiuma”. Questo vuol dire che uscendo più lontani ed esterni possibile rispetto alla schiuma che si “srotola” dovreste essere ragionevolmente sicuri di non essere sulla traiettoria di chi sta arrivando dal picco. Per inciso, di solito questo punto coincide con le correnti che portano fuori.
Se avete praticato quanto detto al punto 2 (osservazione delle correnti e individuazione del canale) sarete a posto. Nel caso in cui invece abbiate fatto male le vostre valutazioni e vi troviate sulla traiettoria di uno che arriva a duecento all’ora, non andate per la parte aperta della faccia dell’onda tagliandogli la strada. Lui potrà essere magnanimo, ma più probabilmente si incazzerà, passarvi sopra è un suo diritto. Se vi fate male, la colpa è vostra. Quindi dovete ingoiare, andate per la schiuma e cercate di fare una duck dive. Solo nel caso in cui non ci sia nessuno (verificare sempre) nel raggio di una decina di metri in tutte le direzioni, se siete in difficoltà mollate la tavola e andate sotto. Ma è buona norma – la regola – non mollarla mai. Duck dive. Esercitatevi.
5) Una volta arrivati in prossimità del picco, imparate a prendere dei riferimenti. Quasi sempre c’è corrente o vento: guardate dove rompe l’onda (dove vorreste partire) e cercate due riferimenti, uno in spiaggia e uno laterale (un promontorio, una struttura).
Perché è importante? Per due motivi. Il primo è non ammazzarsi di fatica e non stare tra le palle agli altri, evitando di nuotare come anatre senza riuscire mai a prendere un’onda e rimanere intrappolati nell’inside a farvi martellare al grido di “in faccia no!”.
A remare di qua e di là ci si stanca in fretta e presto il divertimento sparisce.
Il secondo è che “fissando” i riferimenti del picco avrete molte più possibilità di essere esattamente dove volete e dovete essere, nel posto giusto per prendere quell’onda non troppo grossa e non troppo piccola sulla quale nessuno è partito. Se siete seduti nel posto giusto vedrete quante onde passano senza essere surfate, nell’economia della giornata fa tutta la differenza tra divertirsi e non divertirsi. Questa è anche la base per la wave selection, una tattica di gara fondamentale che tutti i pro utilizzano. Provare per credere.
6) Siete sul picco principale. A seconda del vostro livello, potreste essere legittimati, oppure state compiendo una profanazione iniqua.
Quando è il vostro turno? Se state leggendo questo articolo la risposta probabilmente è “mai”. Perchè? E’ presto detto. Il picco principale di uno spot affollato è un posto pericoloso, è il punto dove le onde martellano, dove probabilmente c’è poca acqua e nessun margine di errore. L’equazione è semplice: se siete in grado di padroneggiare il take off e surfare l’onda, non avrete bisogno di leggere questa roba, capirete da soli quando è il vostro turno, più onde prenderete e più il turnover si aprirà a voi, perchè la gente vi vedrà andare e piano piano vi lascerà un buco.
Se invece non siete in grado di prendere le onde sul picco principale, semplicemente non vi avvicinate. Nella migliore delle ipotesi avete comprato delle belle tavole con le quali vi fate i selfie, alla terza o quarta volta che le prenderete sulla testa vi deciderete a vendere tutto a una frazione del loro valore e quelli come me saranno lì ad aspettarvi per fare un affare sulla vostra pelle.
Nella peggiore delle ipotesi (fatto accaduto realmente) potreste prendervi una pinnetta sul sacco scrotale, poi quando vi togliete la muta vi cade un testicolo sulla spiaggia e mentre urlate in una pozza di sangue passa un cane randagio che se lo mangia al volo e poi scappa via tutto contento leccandosi i baffi.
A voi la scelta.
Bene, se siete arrivati fin qui è probabile che abbiate letto tutto quello che più o meno c’è da sapere per iniziare ad essere un vero surfer e non un poseur da quattro soldi. Scoprirete che conoscere le regole e avere la padronanza degli elementi nei quali ci immergiamo regala grandi soddisfazioni, ci nobilita e ci permette veramente di prendere molte più onde, di migliorare velocemente e soprattutto vi farà guadagnare il rispetto di chi surfa meglio di voi e/o da più tempo: di conseguenza sarete accettati velocemente anche se non surfate come Kelly Slater. Provare per credere!