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Il Viaggio

di - 30/12/2020

La sveglia suona, impietosa, sono sempre orari da cacciatore e anche se non ho mai fatto fatica a svegliarmi i rintocchi sembrano scanditi come il conteggio dell’arbitro su un ring. Devi alzarti, ma una voce che viene da lontano ti dice “resta giù!“. Le quattro, le cinque, fuori è buio e fa un freddo porco. Finalmente ti alzi, ti butti addosso i vestiti per la giornata e ingoi un caffè. La macchina è stata caricata la sera prima, la borsa preparata con una check list, voci spuntate a mano con una penna (avevo un blocco note apposito): nel manuale del surfista milanese andare a Biarritz o andare a Varazze è quasi la stessa cosa, quando arrivi vuoi solo entrare in acqua e mentre sei lì nel parcheggio, nudo tra una portiera e l’altra mentre ti infili la muta, non vuoi scoprire di aver lasciato a casa un guanto o i calzari, o il leash. Non è che puoi tornare a casa a prenderli.

Siamo nei primi anni ’90 e internet come lo conosciamo oggi è ben al di là da venire. Una telefonata concordata preventivamente con i ragazzi (ci troviamo al solito posto? speriamo che ci siano le onde! ok parto tra cinque minuti), portafogli, soldi, chiavi della macchina, scendo, si parte.

Il ritrovo, a seconda dell’amico che devo passare a prendere può essere sotto casa mia, sotto casa sua, al casello se andiamo con più macchine o a Genova se viene anche Ettore. Si dividono le spese per la benza e l’autostrada, sempre senza grossi patemi.

La musica è abbastanza fondamentale e per quanto mi riguarda definisce anche il mood della giornata. Sono sempre carico per ogni occasione, rock, reggae, heavy metal o qualche italiano alternativo. C’è stato un periodo in cui ascoltavamo solo Sangue Misto, una proposta di Ettore che si era subito radicata anche se io sono sempre stato “straight edge”. A distanza di trent’anni ogni tanto li riesumo per l’orrore di mia moglie, mentre mia figlia grazie al cielo ancora non capisce i testi fino in fondo…

La scelta della destinazione e dello spot è caratterizzata da un rituale al confine con il paganesimo, soprattutto le prime volte, hai la sensazione di sfidare il fato. Probabilmente Annibale quando ha deciso di passare le Alpi con gli elefanti si sentiva così. Vergini sacrificate, lettura delle interiora di animali, allineamento dei pianeti, accoppiamenti proibiti… consultazione di libri segreti… ci saranno le onde?? Per avere una risposta nella maggior parte dei casi possiamo beneficiare di qualche gancio in loco, ma essere in Italia significa che se la sera ci sono le onde, la mattina dopo il mare può essere completamente piatto e nessuno può garantire niente. O vai o stai, non è che puoi chiamare tutti alle cinque del mattino.

Ricordo che allora non c’erano previsioni online, si partiva con una buona dose di ottimismo cercando di non sentirci troppo stupidi, come quando siamo partiti con quattro macchine cariche per andare a Marina di Ravenna, per arrivare con il mare completamente piatto. Qualcuno giurò che il giorno prima ci fosse un metro e mezzo. Abbiamo giocato a fresbee, a calcetto, a bocce, fatto castelli di sabbia ma abbiamo anche bestemmiato per tre giorni.

Per la Liguria, la scelta nel 90% dei casi si manifesta tra Varazze e Levanto. Qui è più facile perchè qualcuno da chiamare lo troviamo sempre e in ogni caso quando scegliamo qualche posto “nuovo” la locale o prossima capitaneria di porto risponde sempre. Varazze è quasi sempre la prima scelta: era più facile da raggiungere (non c’era il traffico mostruoso e perenne di oggi), si trovava ancora ragionevolmente parcheggio, c’era già tanta gente in acqua ma in un modo o nell’altro riuscivamo sempre a divertirci e ci volle poco per fare amicizia praticamente con tutti.

Nel tempo poi uno della crew ha aperto un surf shop con un socio local e quando ho avuto la possibilità ho addirittura comprato una casa, sopra il surf shop. Ma questa è un’altra storia.

Levanto invece agli inizi degli anni ’90 è ancora decisamente inesplorata. Ci sono belle onde di qualità, non è impegnativo come Varazze e soprattutto era quasi sempre deserto. Era un po’ più imboscata.
Ci è capitato diverse volte di andare in acqua ed essere solo noi, tre, quattro persone: mentre a Varazze nessuno si fermava più a guardarti, a Levanto i surfisti facevano ancora girare gli anziani che passeggiavano.

Poi, due della crew hanno rilevato uno stabilimento balneare con un ristorante sulla spiaggia, cosa che per un certo periodo ha facilitato immensamente il risultato della calata da Milano: previsioni di prima mano, parcheggio, un posto dove mangiare e riposarsi. La svolta quando hanno aperto anche un bed and breakfast… ma questa è un’altra storia.

La Toscana è una meta altrettanto gettonata: ci sono più chilometri da fare, ma la scelta degli spot è praticamente infinita e fuori stagione è facile entrare in acqua con non più di dieci persone sulla line up anche negli spot più affollati. Cinquale. Bagni Nimbus. Forte dei Marmi. Piazza Mazzini a Viareggio. A Marina di Pisa e a Livorno siamo scesi solo per le gare, i chilometri iniziano ad essere tanti e solitamente la Versilia ci offre scelta a sufficienza. Si mangia alla grande, abbiamo tanti amici, è pieno di piccoli hotel a conduzione famigliare dove si dorme bene, davanti agli spot, spendendo un’inezia. Ma siamo spesso andati e tornati in giornata. Al Forte ci si butta rigorosamente dal pontile e all’inizio fa un po’ impressione, l’acqua è un pelo più fredda rispetto alla Liguria, le onde sono un filo meno belle, ma un posto dove entrare quasi in qualsiasi condizione – specie quando c’è poca onda – si trova sempre.

Nel Lazio ci siamo spinti solo per la finale dei Campionati Italiani ma probabilmente a causa della tensione per la competizione ho un ricordo molto vago: ricordo i sassi di Banzai e la strana sensazione dovuta al fatto che il romano e il milanese sono probabilmente più agli antipodi rispetto a chiunque altro. Ci sentivamo un po’ come dei barbari in terra straniera. Comunque dei ricordi piacevoli.

Poi c’è la Sardegna, un viaggio che partendo da Milano equivale quasi ad andare all’estero: l’obbligo del traghetto, macchina, diverse ore di navigazione, ancora macchina, nello stesso tempo che ci metto ad andare sull’isola sono andato a Mundaka.
Bisogna pensare di fermarsi almeno quattro o cinque giorni: sia per ammortizzare i costi che per trovare le onde. Non c’è veramente modo di preventivare un risultato: può essere che capiti la piatta totale come può capitare che il traghetto non riparta per qualche giorno a causa del mare troppo formato! Ho trovato di tutto negli anni e l’unica costante, oltre alla bellezza del posto e delle onde, sono le ore di macchina da mettere in preventivo per spostarsi di spot in spot.

Ricordo che allora ad esempio a Marina di Oristano ad un certo punto le strade non erano neanche asfaltate.. tutto chiuso, mancavano solo i cespugli che rotolavano come nelle scenografie del vecchio west. Una volta, la più memorabile, scendo con Marco (ciao Cola!), partiamo da Livorno con un mare piuttosto grosso e non appena fuori dal porto incomincio a vomitare. Sarà una lunga traversata… Una volta arrivati, come prima cosa bacio il terreno, poi da Olbia tagliamo appunto per Marina di Oristano e sullo sterrato per arrivare a Capo Mannu troviamo due ragazzi di Roma, appena maggiorenni, impantanati con l’auto del padre di uno dei due.

Totalmente in panico, fortunatamente noi siamo su un fuoristrada e in un secondo li trainiamo fuori, i due per sdebitarsi ci ospitano per la notte, evitandoci di rientrare in giornata a casa dei miei in Gallura. La mattina dopo, tutte le macchine parcheggiate fuori da casa loro avranno i vetri sfondati, tranne la nostra… probabilmente hanno fatto incazzare qualcuno… il giorno dopo a Capo Mannu una vera merda, vento attivo, onde incasinate: altra macchina, Buggerru, Piscinas, alla fine troviamo un posto dove entrare e ne sarà comunque valsa la pena.

Questo era il mood del nostro surf negli anni ’90. Nonostante sia uno sport individuale e nonostante io sia assolutamente appassionato solo di sport e attività individuali, ricordo certamente alcune giornate, le gare, i momenti particolarmente significativi in acqua: ma le cose che ricordo meglio di tutto, ancora più delle onde, sono proprio i viaggi condivisi con gli amici, gli scherzi, i chilometri percorsi insieme, i momenti passati con gli amici dentro e fuori dall’acqua, gli incontri e le risate.

Chiamatemi nostalgico se volete, ma una cosa del genere non l’ho incontrata più: noi c’eravamo, e ci siamo divertiti, non posso che augurarvi lo stesso.

Per quanto mi riguarda resta ancora una cosa da fare, ma ve la racconto nel prossimo pezzo.

Mammifero di sesso maschile della specie "homo sapiens", sottospecie "goofy foot" (ricordiamo che i goofy sono stati creati dalla scintilla divina, mentre i regular discendono per linea evolutiva dalle scimmie). Esploratore entusiasta classe 1972, ho iniziato a fare surf verso la fine degli anni 80 e ho avuto la fortuna di conoscere delle persone straordinarie e di condividere con loro parecchie esperienze dentro e fuori dall'acqua. Ho un approccio multidisciplinare con tantissimi interessi diversi: vivo a Milano (non ridete) dopo diversi anni passati all'estero come manager di aziende italiane e mi occupo tutt'ora di direzione aziendale. Scrivo di design, altra passione che si unisce alla professione, e da poco grazie ad una "sliding door" anche di surf. A volte prendo dentro, e me ne scuso, ma si vive una volta sola, se vi offenderò non ci sarà niente di personale.