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Giancarlo Brocci. Il ciclismo che mi piace

di - 21/12/2023

Quando si comincia a chiacchierare con il Brocci da Gaiole si sa da dove si comincia ma è una sorpresa dove si finisce. Così, all’ombra di un tendone, a Buonconvento, siamo partiti da Fonzie e ci siamo arrampicati fino a 4.170 metri sulle montagne di Argentina. Nel mezzo, direttori di banca in pensione, polvere, vecchie trebbiatrici e fatica…

Come Henry Winkler sarà Fonzie per tutta la vita, Giancarlo Brocci sarà L’Eroica per sempre. Ti piace questa parte?

Mi piace molto l’idea del Fonzie, perché ha caratterizzato un bel periodo della nostra vita. Però io non sarò mai sempre pettinato come lui (ride… ndr). Comunque stiamo parlando di “happy days” e anche noi stiamo regalando giorni felici. Sempre. Quindi il parallelo mi piace per questo, perché anche noi sappiamo di essere produttori di gioia e felicità.

Quindi non è un ruolo che ti sta stretto, anche se nel tuo futuro so che ci sono tante altre cose.

Innanzitutto spero che ci sia un lungo futuro, poi sulle tante cose hai ragione. Se si dovesse raccogliere per tutto quello che abbiamo seminato, sarà un grande e ottimo raccolto. Però qui c’è già un ottimo raccolto, perché siamo riusciti a selezionare un pubblico che condivide i nostri valori, il nostro sentire, i nostri principi. Il miracolo del movimento Eroica è questo: si è pian piano avvicinata gente che condivide la nostra percezione del mondo e della vita, per cui ogni occasione che riusciamo a proporre loro è un’occasione felice e di gioia.

Hai mai pensato, quando con quel manipolo di amici hai dato vita a L’Eroica, che sarebbe diventata quello che è oggi?

Sicuramente no, però io ho sempre sostenuto, e lo dico a tutti quelli che mi dicono: “Vorrei fare…”, che quando si crede di fare la cosa giusta bisogna farla comunque, a prescindere dal risultato, perché la cosa giusta si può fare anche per pochissime persone e non avere successo. Un esempio? Io ha pagato a caro prezzo il Giro Bio, che ritenevo la cosa più giusta per il Ciclismo e per i giovani. Dimostrare che si poteva fare grande ciclismo anche in modo pulito. Una cosa che ho pagato a carissimo prezzo e che ho volutamente accantonato. Ma sono convinto che fosse una cosa giustissima, di cui sono molto orgoglioso e di cui i risultati hanno pagato in varie forme, anche se non hanno ripagato me… La rifarei domani.

L’Eroica ha trovato una serie di congiunzioni astrali e combinazioni cosmiche ed è diventata quello che è diventata. C’è una storia che mi piace raccontare: se riuscissimo a far sì che il rinoceronte valga più da vivo che da morto, riusciremmo ad assicurare la sua sopravvivenza, ma finché il suo corno vale più di lui, prima o poi il rinoceronte muore. Noi in questo caso abbiamo fatto diventare L’Eroica anche un grande fenomeno di business (una parola molto lontana da me, come sai e te lo assicuro) però è anche vero che quando riscuoti un successo crescente garantisci successo anche alla tua creatura, alle strade bianche, che non era scontato restassero tali. Quando qualcuno mi dice: “Ormai è diventata una moda, una roba commerciale, ora vengono bici elettriche, le moto…”, rispondo vero, però tutto questo ha permesso al territorio e ai piccoli borghi di assicurarsi un futuro e di rimanere tali, perché tutti hanno capito che era proprio questo contesto a piacere e attirare le persone. Chi pedala qui fa un tuffo nella campagna vera, che non si vede più da tantissime parti.
Quando parlo con le mie nipotine, a quella più grande dico che quando andrà nelle grandi città si renderà conto della fortuna di avere vissuto qui, e avere visto il laghetto qui sotto, la sera bianca. Ecco, questo è il senso di quello che abbiamo fatto. E poi c’è anche il tema dell’autenticità, perché il rischio di tanti posti anche molto carini è che perdano la loro identità. Vedi, Buonconvento è uno dei borghi più belli d’Italia, ma questo valore glielo danno i buonconventini. Ci pensavo questa mattina, quando guardavo le capocuoche, i volontari, quelli che scrivono la storia dei 50 anni del GS Buonconvento. Vedi, questo tessuto sociale, questo attaccamento al chi siamo è importante, ma non vuol dire che tutto deve trasformarsi in turismo, però dobbiamo fare in modo che questo ambiente e la sua vita di tutti i giorni diventino un oggetto di interesse mondiale. Non si deve diventare un outlet di lusso, svuotato dai propri contenuti, e credo che con queste manifestazioni e la loro filosofia ci stiamo riuscendo. Anche i buonconventini oggi sanno tutti che qui i turisti vengono perché ci sono le strade bianche, perché a Lusignano d’Asso sotto un fondo ci trovi la vecchia mietitrebbia, le scritte del Ventennio, ci trovi un mondo autentico.

Hai parlato di business. Quanto è difficile far convivere l’aspetto commerciale, indispensabile, con quello genuino dell’Eroica che è ormai diventata un brand?

Certo, l’Eroica è un brand, ma non è stato costruito in un grande studio pubblicitario bensì su valori autentici. Si basa, permettimi, sul Brocci che ha le scarpe di vent’anni fa, con cui feci la prima Parigi-Brest-Parigi. Nonostante abbiamo sponsor di mille tipi, finché ho le scarpe che funzionano non mi interessa di andare dallo sponsor e prenderne un altro paio. Questi calzini delle Generali non sono perché è uno sponsor, ma perché li fece vent’anni fa un agente delle Generali che veniva in bicicletta con me. Tengo a dire che questo tipo di passione che c’è dietro è quella su cui, certo, è stato costruito un business. Ma quando mi permetto di dire – e finché dietro c’è la mia faccia posso dirlo – che noi abbiamo moltiplicato per 100 i primi 92 che c’erano a pedalare alla prima Eroica, chi dice che non è così sbaglia, o non conosce. È chiaro che oggi tutto, a partire dall’organizzazione, deve essere di un altro livello, anche per questioni burocratiche, e ha bisogno di attenzioni differenti, ma sono ancora quei 92 moltiplicati per cento. Questa è la fantasticheria.

Credi sia merito, o colpa, di Eroica se anche nel Ciclismo professionistico si vedono sempre più spesso le ruote dei professionisti sulle strade bianche?

Certo, credo sia merito della sua cultura. Noi, per esempio, quest’anno abbiamo fatto Eroica per gli juniores e la Coppa delle Nazioni juniores ed è diventata subito la tre giorni più bella del mondo. Il fatto che al Tour de France o alla Gand Wevelgem si vadano a cercare le strade bianche, o anche per gare di categorie minori in Italia e Spagna, a noi che non siamo gelosi di nulla fa solo piacere. Ma c’è un altro problema che riguarda il grande Ciclismo e la deriva iper tecnologica e iper preparatoria che ne è derivata, perché se in un Giro d’Italia arrivi a fare Campo Imperatore e ti vengono a dire che oggi quelle salite non fanno più selezione, c’è qualcosa che non va. Mandateci un ciclista normale a Campo Imperatore. Io quest’anno sono abbastanza preparato e in Argentina ho pedalato a più di 4.000 metri di quota, ma se arrivo a fare il finale a Campo Imperatore, ti assicuro che gli ultimi quattro chilometri, dopo aver fatto tanto dislivello, sono molto duri, e se c’è chi ha trovato il modo di eliminare ed eludere questa fatica, grazie ai rapportini, alla tecnologia delle bici, ai materiali, sta in qualche modo offuscando e annacquando la bellezza fondamentale del Ciclismo, che è la bellezza della fatica. Noi abbiamo avuto un Giro d’Italia che, nonostante avesse fatto una tappa da 5.500 metri di dislivello e arrivasse alle Tre Cime di Lavaredo, con il Giau, hanno fatto in cinquanta al seguito di Salvatore Puccio e di chi faceva l’andatura, andavano tutti forte. Sì, ma chi li ha messi in condizione di andare tutti forte, che ormai si fa differenza solo in una rampa di garage… Io ho un filmato che mi ha fatto vedere un amico caro in cui si vede come ieri, su una rampa per andare a Murlo, il buon Vincenzo Nibali andava sù con una gamba e una mano sola, su una ruota e sorridendo, mentre uno dei miei forti faceva una fatica boia per ripigliarlo. Allora mi dico che c’è un errore in tutto questo, perché la gente continua ancora a entusiasmarsi quando la fatica la percepisce. E il Ciclismo è questo. Ma come mai l’immagine di un Colbrelli tutto infangato continua ancora a fare il giro del mondo, come mai un Cadel Evans continua a dire che la sua vittoria più grande fu la Carrara-Montalcino del 2010, uno che ha vinto il Tour e il Mondiale? Come mai un Vinokurov, che ha vinto anche un’Olimpiade, ha nel suo mega studio il poster di quando è arrivato terzo a Montalcino tutto bucherellato di fango? Su questo è chiaro che non si interrogano gli addetti ai lavori, che vivono nel trovare bici sempre più prestazionali, velocità più alte e anche cadute più numerose. Mi chiedo tutto questo stravolgimento in funzione di chi nel ciclismo guadagna quanto abbia fatto guadagnare allo spettacolo nel Ciclismo, perché la gente continua ademozionarsi esattamente sulle stesse cose, comprese le differenze, i distacchi. La strada bianca te li garantisce perché è un elemento che aggiunge la forza, la destrezza, il gioco di squadra conta molto poco e aggiunge anche l’imprevisto, che è un elemento importante perché una corsa la vuoi vedere dall’inizio. La Roubaix la guardi dall’inizio perché può succedere che al primo pavé ci può essere qualcosa che cambia il copione della corsa. Al tempo stesso, ti posso dire che la Sanremo, nel Ciclismo di oggi, se non succede che nevica, aspetti gli ultimi dodici chilometri perché si deciderà tutto al Poggio, e si deciderà ai cinquanta all’ora perché freneranno in salita per curvare. Questo è, per cui io credo che la strada bianca abbia posto il problema di un Ciclismo che, come scrisse una volta il grande Gianni Mura, è guardando al passato che il Ciclismo può progettare il suo futuro.

Biciclette e territorio innescano un circolo virtuoso ormai acclarato, ma non tutti lo capiscono. Quali sono le difficolta, se ce ne sono, a promuovere questo modello?

Tu sai che fu Siena la prima città in Europa a chiudere al traffico il centro urbano? Beh, il sindaco di allora, Fazio Fabbrini, fu costretto a dimettersi nonostante avesse una maggioranza direi bulgara, a causa della rivolta dei commercianti. Era il 1965, e pensa che venne una delegazione della città di Amsterdam per studiare quali fossero gli effetti benefici di una decisione simile. Il fatto che ci sia molta gente che non comprende subito è normale, e non dimenticare che siamo una categoria di automobilisti e stiamo in una nazione in cui, perdonami, ritengo si sia diventati fra i popoli più infelici del globo. Siamo sempre più nevrotici e incattiviti gli uni contro gli altri, è chiaro che la bicicletta è un ostacolo, un problema per mantenere chissà quali velocità sulla strada. Se fai la Cassia da qui a Siena ti accorgi che non riuscirai a mettere più della terza. Però per alcuni la bicicletta è ancora un elemento rompitorio di coglioni…
Qui però il rinoceronte vive e pian piano anche quegli agriturismo che anni fa avevano sul comodino la petizione da far firmare ai clienti per fare asfaltare la strada, oggi sono i primi felici di scrivere: “Siamo sul percorso permanente de L’Eroica”. Ti basti sapere che a Gaiole in Chianti, nel ’98, alla seconda edizione, il rappresentante della Bianchi lo misi in un appartamentino in paese e un pochino me la mugolò, “Ma nemmeno un albergo?”. A Gaiole non c’era neanche una stanza d’albergo e mi toccò spostarlo in un albergo a Radda, il comune vicino. Oggi abbiamo 1.320 posti letto nel comune di Gaiole e sono tutti sul recupero del mattone esistente. È chiaro che poi in un paesino piccolo come questo ci sono tre attività di meccanico ciclista e tutte fanno noleggio, soprattutto online, a una marea di turisti anche con l’assistita, è chiaro che hai due negozi che vendono merchandising ed è chiaro che tutti i ristoranti fanno il conto di quanti turisti in bicicletta si siedono ai loro tavoli.
Poi è vero che qui a Gaiole ci sono un sacco di direttori di banca in pensione, perché era l’unico comune democristiano in tutta la provincia di Siena e facevano ragioneria prima di andare a lavorare al Monte, e a molti di quelli lì probabilmente importa ’na madonna che ci sia tutta questa gente per la strada. Però questo è oggettivamente avvenuto e tutta la gente di qui sa che è stato grazie alla bicicletta, e che la bicicletta è stata una risorsa economica eccezionale.

Qualcuno disse: “Ogni volta che vedo un adulto in bicicletta penso che per la razza umana ci sia ancora speranza”. Sei d’accordo?

Certo! Il concetto è assolutamente codesto e ogni persona che pedala è una persona disposta a prendersi cura di se stesso, perché la bicicletta è indubitabilmente uno strumento per stare bene. Uno come me sarebbe venti chili in più se non andasse in bici, io sono un mangiatore di ogni cosa e dico sempre che ingrasso per educazione, perché a tutti i pranzi e cene di rappresentanza a cui vado sono stato educato a non lasciare niente nel piatto, e oggi ci sono delle portate che andrebbero abolite per legge, tipo l’antipasto e il dolce. Ci sono cose per cui se oggi, in questa opulenza di consumi, non ci fossero momenti speciali, e la bicicletta è un momento speciale, per controllarsi… Il prossimo compleanno faccio 70 anni e penso di essere ancora un buon rappresentante di ciò che dico. Poi “Gaiole lunga vita” è un altro concetto: Forbes ci ha ritenuto il comune più vivibile d’Europa perché in posti dove si vive ancora in questo modo si va in bici, si va nei boschi, si va a pescare, si vive meglio. Poi il cibo di grande qualità fa il resto. I nostri vecchi dicevano: “Tu devi imparare a campare”, e io dico che c’è tanta gente che deve re-imparare a vivere. Noi ci poniamo anche questo obiettivo, modestamente.
Io sono stato timido fino ai trent’anni e me ne sono pentito, ma ora da vecchio posso dire che quelli come noi, che prendono la vita con il sorriso, dovrebbero insegnare a tanta gente a campare, compresi quelli che in questo momento stanno nelle tangenziali e nei raccordi anulari a bestemmiare.

Il segreto di Eroica è tutto nella sua genuinità o c’è dell’altro?

Ci sono tante cose, per esempio noi abbiamo riproposto lo sport fatto per sport. Nessun oggi lo fa più. Oggi qualsiasi forma di sport è stata declinata a produzione di spettacolo, da parte di persone che hanno obiettivo il business e tutto il resto è stato snaturato. Ogni forma di sport che può portare diritti televisivi è passata da questa trasformazione genetica. Noi non competiamo o quasi. A Nova Eroica c’erano anche delle specie di classifiche, ma io non le ho guardate di certo. All’Eroica gli arrivati finiscono in ordine alfabetico, capisci… È un messaggio forte che abbiamo lanciato da tempo e in una regione che a quel tempo era la più corsaiola d’Italia. In Toscana giravano i coltelli per vincere un salame alla corsa del paese. In questo senso siamo stati anche lì dei portatori di valori. E abbiamo anche proposto dei modelli, ricordiamoci che L’Eroica è l’unica cicloturistica o ciclostorica da cui è nata una corsa per professionisti. Ovunque è successo il contrario: dalla Amstel, dal Fiandre, dalla Liegi sono arrivate le cicloturistiche. Non dimentichiamo che dall’Eroica è arrivata quella che oggi è considerata la sesta Corsa Monumento. Poi continuiamo a coinvolgere i giovani. Come ti ho detto, quest’anno abbiamo fatto gli juniores, alla Nova Eroica facciamo la Family, io ho fatto per quattro anni il Giro d’Italia Dilettati “pulito”… Di certo l’impegno del movimento Eroica nasce dalla passione e dall’idea di poter contribuire a progettare un grande futuro per lo sport, che dal mio punto di vista è quello rimasto più vicino alle sue radici e alla sua autenticità, perché il Ciclismo è sempre bellezza della fatica e gusto dell’impresa. Se bluffi su questo non è più Ciclismo, si diceva prima. E credo che l’Eroica sia anche servita a riabilitare agli occhi della gente gare come la Roubaix e il Fiandre, considerate fino a pochi anni fa anacronistiche e che invece, oggi, sono il primo livello televisivo del Grande Ciclismo. Noi abbiamo l’ambizione di poter portare la più bella gioventù possibile a scegliere di fare Ciclismo, uno sport duro, faticoso e pericoloso. La vogliamo mettere su un piedistallo ideale e indicarla come esempio per i coetanei che il venerdì sera vanno a farsi la vodka, che è quella che costa meno, e non sanno come arrivare fino a lunedì…

Cosa ci facevi in Argentina questa primavera?

Mi divertivo come un riccio… Sono stato un uomo fortunato, ho girato tanto nella mia vita e ci ero già stato due volte su quelle montagne del Nord Argentina. Ci sono tornato perché avevo visto dei luoghi in cui poteva essere eccezionale produrre un certo spettacolo di ciclismo per i giovani d’inverno, quando qui non si può fare grande ciclismo, mentre lì ci sono condizioni perfette con belle strade e montagne. Credo che questi nuovi eroi, che sono i ragazzi di 20 o 21 anni, possano andare a fare dei format in quei posti. Abbiamo seminato tanto e vediamo cosa riusciremo a raccogliere. In realtà abbiamo già raccolto tanto, perché quest’anno abbiamo portato in provincia di Siena 25.000 ciclisti fra le tre Eroica, la Strade Bianche e il Tuscany Trail. Nessuno di noi vuole fare solo questo mestiere e questo business, perché ciascuno di noi ha passione. Ho reso l’idea?

Foto: Paolo Penni Martelli / Martina Folco Zambelli HLMPHOTO

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.