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Giona e Nico, due come noi (o forse no…)

di - 13/11/2023

Ogni tanto mi chiamano pazzo, ma penso che i veri pazzi siano coloro che non si impegnano fino in fondo per riuscire in quello che piace loro. Io ho realizzato una cosa che può sembrare strampalata, ma che ho sognato di fare. I veri pazzi sono quelli che hanno un sogno e non lottano per realizzarlo.
(Nico Valsesia)

Nico Valsesia e Giona Uccelli, in rigoroso ordine di anzianità, sono due ragazzi molto simili ma anche tanto diversi. Simili per il rapporto quasi intimo che li lega alla bicicletta e alla sfida, diversi per tutto il resto…
Abbiamo loro chiesto di raccontarsi in una strampalata intervista di coppia, una specie di seduta psicanalitica fatta una sera dopo cena, durante il nostro test Gravel di cui, oltre alle biciclette sulle quali abbiamo pedalato, sono un po’ anche loro protagonisti.

Perché vi piace la bicicletta e perché vi piace pedalare?

Giona: Mi piace viaggiare, quindi la bici è un ottimo strumento per poterlo fare; mi piace inoltre stare all’aria aperta e la bici è quella cosa che mi permette di farlo nel modo migliore, senza pensieri.
Nico: Mi piace viaggiare… (ride, ndr). No, a parte gli scherzi, mi piace viaggiare veramente. Mi piace viaggiare alla velocità della bici, perché credo che sia quella giusta per conoscere il mondo, per stare a contatto con le persone, soprattutto. E poi per fare chilometri, perché comunque anche piedi sei a contatto con le persone ma ti sposti molto lentamente. Inoltre lo faccio da quando ero ragazzino, quindi ho anche una parte di agonismo innato; mi piace proprio il gesto, l’aria, il vento in discesa. Questa è la motivazione principale, poi ce ne sono altre, decine e decine…

Voi che siete abituati a confrontarvi con il tempo, con gli altri e con voi stessi, avete mai fatto una normalissima vacanza in bici?

Giona: Sì, io ho cominciato fin da piccolo con la mountain bike, in seguito ho cambiato sport, poi sono ritornato sulla bici con il triathlon, però mi andava un po’ stretto. Quindi con i miei amici triatleti d’estate andavamo in vacanza in bici, in stile anni Duemila: non avevamo il bikepacking, avevamo i borsoni laterali, vecchi, del papà, una bici con un portapacchi improvvisato, e si andava. L’esperienza del viaggio nasce soprattutto dalla condivisione con gli amici, che poi si è ingrandita e che ti porta a cercare altri obiettivi, oltre al viaggio, che comunque ogni anno provo a fare, in solitaria o con gli amici, un viaggio proprio blando: pedalo quando voglio, mangio quando voglio. Si arriva così a confrontarsi in competizioni che ti danno stimoli diversi e cose differenti. Però alla fine è sempre un viaggio, un’esperienza.
Nico: Assolutamente sì. Devo dire che probabilmente la vacanza in bici la facevo già quando ero un bambino piccolo. La prima bici da corsa mi è arrivata quando avevo 6 anni, prendevo questa bici, andavo e facevo 4, 5, 6 km intorno a casa. Io abitavo a Sauze d’Oulx, in montagna, c’erano solo salita o discesa, quindi facevo già dei viaggi. Un po’ più grande, con una bici un po’ più grandina, abitando vicino alla Francia, partivo, andavo oltre confine e a 12, 13 anni stavo via una giornata intera. Non c’era il telefonino, non c’era nulla, prendevo un gettone, un tubolare di scorta…
Giona: La grande diversità rispetto ad adesso è che c’è il navigatore, c’è il telefono. Anche per me, che sono più giovane, nei viaggi che facevamo le prime volte non avevamo né GPS né Internet, all’estero. Quindi, vai, cartine…
Nico: Io andavo spesso in Francia, cartine alla mano, e poi tornavo indietro, praticamente in autonomia, senza avere il cellulare, senza avere la tecnologia dalla mia parte. Poi ho iniziato a viaggiare: Corsica, nel ’90, forse, sono andato fino in Turchia con le mie borse, sono stato via un mese e mezzo. Ho fatto numerosi viaggi, poi la Patagonia. Da lì ho cominciato a organizzarne anche per amici, quindi si sono unite più persone. Questa passione del viaggio forse è nata prima, o in contemporanea, a quella per l’agonismo. L’agonismo in realtà lo facevo sugli sci, il mio sogno da ragazzino era diventare uno sciatore, abitavo in un posto dove si sciava, però allo stesso tempo volevo fare il ciclista. Mi piaceva vedere in televisione forse più il ciclismo che non lo sci, ma abitando a 1.500 metri era un po’ difficile pedalare, perché non c’erano squadre, non c’era la cultura della bicicletta. Ero considerato l’unico matto del paese che andava in bici. Mi considerano matto anche adesso (ride, ndr), però prima ero da solo, ora siamo un po’ di più.

Com’è che, a un certo punto, scatta il passo successivo e uno decide di andare dall’altra parte del mondo a farsi 4.000 km in autosufficienza? Come avviene questo cambio di orizzonte dalla vacanza all’avventura estrema?

Giona: È un processo. Anch’io, come lui, sin da piccolo facevo gare di canoa ad alti livelli. Era comunque allenarsi, agonismo. Quando scopri una cosa con cui ti puoi allenare, quindi puoi mantenere la componente agonistica e puoi unirla al piacere di scoprire culture diverse, di vedere posti nuovi… Un tipico esempio è una gara di adventure dall’altra parte del mondo: parti, non sai dove vai, non sai chi trovi, non sai se arrivi, non sai se torni… C’è tutta una serie di componenti che in alcuni creano ansia, mentre magari a noi danno adrenalina. A me crea molta adrenalina dire: vado in un posto dove non so cosa c’è, non so cosa faccio, non so come me la caverò, perché qualcosa succederà sicuramente. È un po’ come l’adrenalina che ti dà l’agonismo, però è diversa, è un’adrenalina più a lento rilascio e meno intensa, ma alla fine dei conti ti appaga molto. Andare in autosufficienza ti dà ancora più adrenalina. Se dici:va beh, vado là, siamo 5 amici, abbiamo le tracce, c’è una guida, c’è tutto organizzato… bello sì, però ti manca quel dubbio: chissà come me la caverò? Manca quella parte di avventura, di adrenalina, che ti fornisce forse anche quella concentrazione, quella carica in più rispetto ad andare con una cosa organizzata. Quindi vai, sei concentrato, sai cosa devi fare. Perché un po’ di esperienza prima di andare te la devi fare, se no sei un matto davvero se ti avventuri in posti che non conosci, se non sai come si va in bici, o come si può riparare una bici, insomma tutti i problemi che una persona può incontrare. Tutto questo a me dà molta carica.
Nico: Le due cose sono correlate: alla fine sono dei viaggi, dei viaggi un pochino più veloci. La gara ti stimola ad allenarti, e poi, se hai l’agonismo, ogni tanto devi tirarlo fuori, ne hai bisogno. Io ho fatto un sacco di viaggi, ma tutti i vari allenamenti che ho affrontato per parteciapare poi alle gare sono stati dei viaggi: i miei allenamenti volevano dire andare in Spagna, andare in Marocco, partire con il mio zaino, da solo (non usavo le borse, usavo lo zaino perché mi schiacciava il sedere sulla sella e così mi abituavo al mal di culo). Pedalavo con zaini da 50 litri, carichi. Partivo, andavo in Marocco, in Sud Italia, o a Santiago, ma questo in pochissimi giorni: in 7, 8 o 9 giorni facevo 3.000, 3.500 km, perché avevo l’obiettivo della Race Across America. Questa è stata un po’ la mia prima vera gara (cioè, prima no, perché ho fatto una serie di competizioni prima di arrivarci). La mia prima Race Across America è stata 20 anni fa, quindi non esistevano le gare in autonomia, esistevano solo quel tipo di competizioni, oltretutto in Europa non c’erano neanche le qualificazioni per la Race Across America. Sono dovuto andare là, ho fatto la Four Nights Creek, che è una prova da 800 km che forse non fanno nemmeno più. E quindi, un po’ la voglia di andare dall’altra parte del mondo a vedere un posto nuovo, un po’ l’agonismo, un po’ per mettermi alla prova… Poi avevo già quest’idea da ragazzino: se nello sci non sono riuscito a eccellere – andavo forte ma non abbastanza, dato che per questo sport ci vuole abbastanza tecnica, ci vogliono delle qualità innate –, nell’endurance basta avere una testa di cavolo. Chi mi ferma? In una gara dove devi usare principalmente la testa, devi essere cocciuto, non mi ferma nessuno. È questo che voglio fare, e penso di riuscire a farlo anche abbastanza bene. È comunque un viaggio, un pochino più veloce, più concentrato sul risultato, non solo sul fatto di guardarti intorno. Però le due cose sono sempre state correlate, perché poi per allenare una facevo l’altra, era un continuo viaggio per allenarmi in vista di una competizione. Quando ho fatto la mia prima Race Across America mi sono immaginato di fare un viaggio, mi sono detto: ma se riesco a fare con il mio zaino sulla schiena 400 km al giorno, figuriamoci senza nulla, con una macchina di supporto, li faccio tranquillamente 500! Non è stato così facile, così banale.
Giona: Hai svelato il segreto… basta allenarsi con uno zaino sulla schiena (ride, ndr).
Nico: Esatto. In effetti, per farlo da soli hai bisogno di tanta testa. Poi è chiaro che se metti alla prova, a parte la testa, anche il fisico, se riesci a esasperare prima tutte le problematiche che poi incontrerai, avrai meno problemi. Alla Race Across America la gente si ritira perché ha male al collo, perché ha problemi ai piedi. Io pedalavo con i pesi sul casco per allenare la muscolatura del collo, correvo a piedi scalzi sull’asfalto per farmi il callo sotto ai piedi, mi sedevo su una sella a casa, davanti al computer. Però poi quando l’ho corsa non ho avuto problemi. E la stessa cosa è allenarsi per 400 km con lo zaino sulla schiena, da solo. Secondo me, con una macchina di supporto ti viene tutto facile alla fine.

Riuscite anche a godere dei posti dove pedalate o è solo testa bassa e mulinare le gambe?

Giona: Più gare faccio, più penso a questo discorso. Dico: OK, questa notte ho dormito due ore, dalle 10:00 alle 2:00 non ho visto niente, dalle 2:00 alle 4:00 ho dormito, dalle 4:00 alle 6:00 non ho visto niente, perché comunque magari il terreno è sconnesso, c’è buio. Chiaramente ti perdi 10 ore di viaggio. Lo fai lo stesso, fa parte del gioco, anche la notte ha il suo fascino. Però, per esempio, nell’ultima gara che ho fatto in Africa, l’ultimo giorno, quando ormai vedevo che la classifica era quella, e arrivare 4 ore prima non mi cambiava niente, ho pensato: va beh, dormo 5 ore invece di 2 e parto praticamente quando arriva il sole, così me la godo. Però devi togliere un po’ dalla parte dell’agonismo, devi trovare il giusto compromesso. Se tu invece dici: voglio fare solo gara, dormi il meno possibile, e di notte ti perdi tanto, secondo me. Non vedi la gente, a parte in Africa che è pieno di gente anche di notte, chissà perché. Poi è chiaro che, se sei primo, e hai quello dietro a 3 ore, tiri dritto. Dipende sempre dalle mire che uno ha. Un buon compromesso, secondo me, comunque si può trovare: si può viaggiare e si può gareggiare allo stesso tempo. Io solitamente cerco una via di mezzo, che mi faccia godere del viaggio. A parte alcune gare toste, in cui godi poco. Poi quando ci pensi dici: ah, è stato bello! Si può fare.
Nico: È bello godersi anche il viaggio. La fortuna della bici è che la velocità è molto ridotta, quindi comunque memorizzi i posti. Ciò che patisco di più è non potermi fermare a parlare con le persone, conoscere, perché quando viaggio e vedo qualcuno, mi fermo, chiedo, inizio a parlare, poi magari sto lì a casa sua, mi fermo a dormire. Quando sei in competizione non lo fai, o meglio, lo fai ma un attimo, scambi due parole: succede che ti fermi quell’oretta, mangi qualcosa, però ti dispiace quasi poi lasciare tutto. Dici: cavoli, vorrei tornarci! Spesso, poiché volevo godermela di più, sono tornato dove ho gareggiato, per fare un viaggio lento, per vedere cosa non avevo visto magari la notte, o per fermarmi in posti dove avrei voluto conoscere delle persone. Però devo ammettere che, quando metto un numero per una gara, ho il sangue negli occhi (ride, ndr). È vero che l’età avanza, quindi sei meno performante, rallenti un pochino e a volte ti dici: va beh, se sono già quinto o decimo, rallento un attimino e me la godo un po’ di più. Però patisco anche quella fase, ammettere che rallento e non posso essere là davanti mi dà fastidio. Allora quasi quasi non partecipo, vado a farmi quel viaggio, non mi iscrivo alla gara e me la godo. Perché poi va a finire che è una spiacevole via di mezzo: non sono davanti e non mi godo neppure il viaggio. E questo mi fa arrabbiare doppiamente. Se sono preparato, vado a farla per vincere, per arrivare davanti, se no mi faccio un bel viaggio, me la godo di più.

Vi è mai capitato di trovarvi in una situazione in cui avete detto: “Che cavolo ci faccio qui?!?

Nico: Ma no, cosa ci faccio qui no, perché se l’ho scelto io… La Race Across America è veramente devastante, penso molto più di tutte le gare in autonomia che abbia mai fatto, perché sei molto più stressato: sei obbligato a pedalare con la testa bassa, perché devi fare quello. In autonomia ti rilassi un attimo, vai a comprarti la roba, ti fermi, magari mangi, hai dei ritmi diversi. Qui sei veramente stressato: solo pedalare, perché ti servono, hai tutto. E uno può dire: sì, beh, è più facile; invece no, è molto più devastante, pure mentalmente. Nelle gare in autonomia dormi anche di più, tutto sommato ti rilassi un po’ di più, è più un viaggio.
Giona: Solo una volta, in realtà, durante la Silk Road, mi pare al quinto o sesto giorno. La traccia della Silk Road è molto complicata, ed ero arrivato in un punto, dopo una lunghissima salita, camminata e non camminata, in cui c’era la discesa, che però non era una discesa: era da fare tutta a piedi, era lunga tipo 10 km, e il sasso più piccolo era grande come questa poltrona. Lì un attimo di sconforto l’ho avuto e mi sono detto: potevo fare qualcosa di più easy. Poi dopo sei contento, in realtà, perché abbiamo questa droga, abbiamo il cervello che cancella le cose brutte e che mantiene solo quelle belle, quindi quando poi fai il riassunto devi riconoscere che è stata una figata!. Però in quel momento mi è capitato di pensare che avrei preferito essere da un’altra parte.
Nico: Sono magari in uno dei posti più belli del mondo, sto facendo quello che mi piace, sono strafortunato, sto bene. Ma che cavolo, nessuno mi ha obbligato a farlo. Alla fine non ti puoi lamentare e non devi permetterti neanche, perché se fai anche un minimo di ragionamento vacilli, perché c’è chi fa delle cose che non vuole fare.
Venti, venticinque anni fa questa fase mi capitava, e durava tanto, più invecchio e meno dura. A me dà molto fastidio quando gareggio e sento chi si continua a lamentare, che fa caldo, che è dura… Ma stai a casa tua, sul divano, con il ventilatore! Perché devi farlo? Comunque con il passare degli anni te lo dici sempre meno.

Meglio da soli o in compagnia?

Giona: Da soli. Io ho viaggiato anni con un amico, però in vacanza e ci trovavamo molto d’accordo: riuscivamo ad avere gli stessi ritmi, a fermarci quando ne avevamo bisogno, a dormire quando ne avevamo bisogno. Però è durissima, secondo me, trovare una persona che sta ai tuoi ritmi: quando uno si vuole fermare, l’altro vuole andare avanti, quando uno deve fermarsi per fare pipì, l’altro non vuole, uno è in affanno e l’altro no, uno è stanco e gli viene un colpo di sonno e l’altro invece è sveglissimo… Gareggiare in coppia o in gruppo diventa complicato. Per me è più comodo essere solo perché, se sbaglio una cosa io, so che l’ho sbagliata io e ho il cuore in pace. L’unica volta che abbiamo girato in coppia mi hanno asfaltato, e già quello mi ha fatto ripensare al fatto che io ho sempre preferito dire: piuttosto sto da solo, anche se c’è uno che va come me in gara, stiamo lì assieme, magari ci aiutiamo (va beh che non si può). Però metti che succede qualcosa… Credo che, se uno è concentrato e non rischia troppo e fa le sue cose, forse se è da solo sta più sul pezzo.
Nico: A me piace viaggiare molto da solo. Il viaggio mi piace farlo anche in compagnia, mi adeguo anche: il viaggio comunque vai da qua a là, non ti corre dietro nessuno, anzi magari poi condividi delle cose. Se sei da solo in viaggio, ti rapporti molto di più con le persone che hai intorno, perché chiaramente cerchi appoggio da qualcuno, cerchi di parlare, quindi magari è anche più bello, però è bello anche condividere. In gara, no, assolutamente da solo, non se ne parla: non voglio dar fastidio a chi sta con me, non voglio creare dei problemi, non voglio rallentarlo, e non voglio neanche il contrario. Me l’hanno chiesto diverse volte di fare le gare in coppia, ma assolutamente no, non mi piace.
Giona: Infatti io non l’ho mai fatto. Quando vedo le persone che gareggiano in coppia, dico: bravi!, perché comunque vuol dire che sono riusciti a trovare l’alchimia giusta, il che non è facile. Spesso nelle gare lunghe, magari il quarto o quinto giorno che non sei cotto, se quel giorno lì non stai bene, a me è capitato che ogni ora mi fermo 5 minuti, non dico a dormire, ma a ripigliarmi con la testa sul manubrio; se mi succedesse una giornata così quando sono con un’altra persona, dovrei obbligarla ogni 50 minuti a fermarsi per 10. E diventa ancora peggio.

Una cosa che non avete ancora fatto e che vorreste fare, di quelle che si mettono nella lista dei propositi per il futuro.

Nico: Forse un viaggio molto, molto lungo, di qualche mese, più che gare. Delle gare, tipo la Silk, mi piacerebbe farle, però non è che impazzisco, che la vedo là e dico: sarebbe il sogno della mia vita.
Giona: Anch’io non ho mai fatto viaggi lunghi lunghi, perché alla fine prendevo le ferie, stavo via due, tre settimane. È comunque un viaggio lungo, perché se pedali tutti i giorni… I viaggi che ho fatto li ho sempre fatti un po’ veloci, non ho mai fatto viaggi da 50, 100 km al giorno, che stai via mesi, bensì sempre 200, 300 km al giorno per due settimane, tre. Un po’ il mio pallino è quello di dire: parto, sto via con un po’ più calma, bici un po’ più carica e vado. Però vediamo, mi devo licenziare (ride, ndr).

Nico, una domanda a Giona

Nico: Quando facciamo un viaggio lungo?
Giona: Quando mi licenzio, hahaha…

Giona, una domanda a Nico

Giona: Non so, avrei mille domande… A che ora andiamo a letto stasera?
Nico: Adesso usciamo. Stasera non vorrai mica dormire. Bisogna allenarsi a non dormire!

Nico Valsesia

Anni: 51
RAAM: 4.800 km / 51.800 m D+
2003 – 6° assoluto
2006 – 2° assoluto
2011 – 5° assoluto
2014 – 3° assoluto (9 giorni 12 ore 44 minuti, p.b.)
FROM 0 TO
Genova-Monte Bianco: 16h 35’ / 316 km / 7.211 m D+
Viña del Mar-Aconcagua: 22h 41’ / 235 km / 7.000 m D+
Sulak-Elbrus: 31h 55’ / 510 km / 5.642 m D+
Tanga-Kilimangiaro: 27h / 400 km / 8.000 m D+
Genova-Monte Rosa: 14h 31’ / 316 km
nicovalsesia.com

Giona Uccelli

Anni: 39
Race Across Italy: 780 km / 12.000 m D+
Romagna Ultra Race: 550 km / 13.000 m D+
Utracycling Dolomitica: 600 km / 16.000 m D+
UltraApuane: 600 km / 12.000 m D+
Inca Divide: 1.650 km / 23.000 m D+
Silk Road Mountain Race: 1.863 km / 29.870 m D+
Race Around Rwanda: 992 km / 18.000 m D+
Border Bash Bohemia: 1.300 km / 24.000 m D+
@gionabirds

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.