Pubblicità

Intervista: Simone Panigada, freesurfer e presidente dell’Istituto Tethys

di - 12/12/2020

A cura di Francesco A. Fiorentino | Surfer’s Den

In tempi come quelli di oggi dove il surf-mondo italiano è in veloce mutamento ed ogni xxx si immettono nuovi surfer, è giusto ricordare le origini ed è interessante conoscere i pionieri, ma per evitare di scadere in un ristagno di nostalgia è bene conoscere chi di nuovo entra nel mondo del surf con il proprio contributo.

Per questi motivi ho pensato che potesse interessare a tutti conoscere il Simone Panigada, che oltre ad essere un surfer è presidente dell’Istituto Tethys che si occupa di un importante progetto volto alla protezione dei mammiferi marini e del loro habitat.
Oltre a farci spiegare la storia di questo istituto che esiste da quasi 35 anni e di come opera ci faremo raccontare della sua passione per il surf e della sua amicizia con Skip Frye.

Simone Panigada e sua figlia

Per chi non ha fatto il liceo classico: cosa vuol dire Tethys?
Il nome deriva dalla dea greca Teti (Θέτις), moglie di Oceano. L’Oceano Tetide era un grande mare che separava le attuali Africa settentrionale dall’Europa e dall’Asia. In seguito a movimenti delle placche tettoniche, la Tetide venne chiusa tra Africa, Europa e Asia, formando l’attuale Mar Mediterraneo.

L’Istituto Tethys è stato fondato 35 anni fa quando l’emergenza ambientale c’era già ma la consapevolezza di questa emergenza era ancora poco diffusa nel mondo e soprattutto in Italia. Da chi è nata l’idea?
L’Istituto Tethys fu fondato nel 1986 da Giuseppe Notarbartolo di Sciara ed Egidio Gavazzi, editore della rivista AQVA. Notarbartolo tornava da un dottorato di ricerca a San Diego e sentì la necessità di fondare un istituto che si occupasse di grandi vertebrati marini. Fin dal suo inizio, Tethys ha promosso attività di ricerca e conservazione sui mammiferi marini, in particolare sui cetacei (balene e delfini) e sulla foca monaca mediterranea. Le attività di ricerca si sono svolte principalmente nel Mar Mediterraneo, ma anche nel Mar Nero, nel Nord Atlantico, nei Caraibi, nel Mar Rosso e in Antartide.

Photo: @tethys_research

Te come hai preso coscienza di questa emergenza (preferisco usare la parola emergenza invece della parola problema perché rende meglio l’idea di improcrastinabilità) e quale è stato il tuo percorso?
Ho iniziato ad occuparmi di mare e di cetacei nel 1990, durante la raccolta dati per la mia tesi in Scienze Biologiche, anche se ero abituato ad andare per mare fin da bambino in barca a vela con i miei genitori. Durante una traversata tra la Sardegna e le Baleari ho visto le mie prime balenottere comuni e ho capito che avrei dedicato la mia vita alla conservazione dell’ambiente marino e dei suoi splendidi animali. Dopo la laurea ho iniziato a collaborare più attivamente con l’Istituto Tethys mentre svolgevo un Dottorato di Ricerca presso il Dipartimento di Biologia Ambientale dell’Università di Siena e poco dopo ho vinto una borsa di studio Marie Curie per un post-dottorato presso l’Università di St. Andrews, in Scozia. Alcuni anni dopo il mio ritorno in Italia mi sono state affidate le redini dell’Istituto Tethys e non potrei essere più soddisfatto di quello che l’Istituto sta portando avanti in termini di conservazione.

Raccontaci del progetto dei mammiferi marini e del loro habitat che Tethys sta portando avanti.
Negli ultimi anni, il centro di ricerca che ho l’onore di presiedere (Istituto Tethyswww.tethys.org) si occupa, oltre a diverse altre iniziative di ricerca svolte nel Mediterraneo, di un progetto internazionale per identificare Aree Importanti per i Mammiferi Marini (Important Marine Mammal Areas – IMMAs – https://www.marinemammalhabitat.org/) e organizziamo una serie di workshop regionali nell’emisfero australe. Lo scopo è quello di riunire per una settimana esperti della regione selezionata e identificare quelle zone, che grazie ad une serie di rigidi criteri, sono da considerarsi particolarmente importanti per i mammiferi marini.

Simone Panigada in lineup insieme a Skip Frye

Come si sostiene economicamente un’organizzazione come Tethys?
Sostenere un Istituto come Tethys è difficile e richiede uno sforzo importante da parte di molte persone. Abbiamo una serie di progetti a lungo termine che vengono finanziati tramite la citizen science; ogni estate offriamo la possibilità a partecipanti paganti di venire a bordo delle nostre imbarcazioni da ricerca oppure presso le nostre basi per vivere un’esperienza da ricercatore in prima persona (https://whalesanddolphins.tethys.org/). Riusciamo inoltre ad avere accesso a fondi della Commissione Europea, fondazioni private, collaborazioni internazionali e fondi Istituzionali, ma diciamo che la ricerca fondi, il famigerato fund raising, è un’attività che occupa gran parte del nostro tempo ed energie.

Da milanese a milanese che cosa può fare la nostra città per dare un contributo all’emergenza ambientale?
La lotta contro l’inquinamento deve necessariamente nascere ed essere sviluppata nelle grandi città, e Milano dovrebbe essere in prima fila in questa missione. Tutti i rifiuti che si producono a Milano, che entrano nei corsi d’acqua o nell’atmosfera, presto o tardi arrivano in mare, con gli effetti devastanti che ben conosciamo. Una delle piaghe peggiori al giorno d’oggi è rappresentata dall’uso di plastica mono uso e Milano deve fare qualcosa per diminuirne l’utilizzo. Quando mi capita di andare in un locale e vedo che ancora servono un drink con due cannucce di plastica divento pazzo. Si tratta di piccole cose, che se portate avanti da tutti, rappresentano molto per l’ambiente. Anche il semplice fatto di raccogliere 5 pezzi di plastica a persona ogni volta che si va sulla spiaggia sarebbe un gesto importante; io lo faccio, fatelo anche voi!

Quando e come è nata la tua passione per il surf e come la coniughi con il tuo lavoro?
La passione per il surf nasce a San Diego, città che adoro e dove ho avuto la fortuna di passare diverse estati negli ultimi anni. Ho iniziato a praticare il surf seriamente con la mia seconda figlia qualche anno fa, credo fosse durante l’estate 2016. Da allora il tarlo del surf si è impossessato di me e ogni occasione per fare surf viene sfruttata.
Quando possibile, cerchiamo di coniugare gli interessi scientifici con mete dove sia possibile praticare il surf, privilegiando alberghi sulla spiaggia, possibilmente vicini a qualche bel break. Proprio qualche settimana fa avremmo dovuto essere in Costa Rica, ma abbiamo purtroppo dovuto cancellare il workshop previsto a causa della situazione Covid-19. Con un po’ di fortuna se ne riparla a settembre 2021. La gioia di alzarsi presto e fare una session tra le onde prima dell’inizio del meeting, aspettando la pausa pranzo per un altro paio di onde, è indescrivibile.

Nell’Istituo Tethys sei l’unico che surfa?
Non siamo in molti a praticare il surf presso l’Istituto Tethys, anzi sono praticamente l’unico. Un collega che ha lavorato con noi si è recentemente appassionato, ma avendo intrapreso una strada professionale leggermente diversa, ho poche occasioni per organizzare qualche uscita insieme.

So che sei amico di Skip Frye che è una leggenda sia come surfer si come shaper e titolare dell’omonimo surfboard brand: come è nata questa amicizia?
Il mio sogno era festeggiare il mio cinquantesimo compleanno con una tavola di Skip Frye, e appena arrivato a San Diego all’inizio dell’estate 2019, un altro noto surfer locale, “Bird”, mi ha fatto un regalo speciale, di accompagnarmi a conoscerlo. Ci siamo trovati subito in sintonia e abbiamo iniziato a vederci presso il suo regno – la shaping room – con una certa regolarità. Dopo qualche tempo, mi ha prestato una delle sue tavole, una fantastica ‘eagle’ rossa da 9’8’’, e ogni volta che lo andavo a trovare aveva sempre una delle sue tavole personali da prestarmi. Avere accesso al suo quiver personale è stata un’esperienza indimenticabile e quasi mistica. Ora che sono a Milano ci sentiamo ogni tanto per telefono ed è sempre piacevole scambiare due parole e rimanere in contatto.

Hai surfato spesso con Skip?
Dopo avermi prestato “Jack” – Skip ha l’abitudine di scrivere un nome su tutte le tavole che prepara – ci siamo visti varie volte a Tourmaline Surf Park, zona di spiaggia dedicata a lui. Mia figlia e io abbiamo passato varie sessioni in acqua insieme a Skip ed a un certo punto avevamo in prestito tre sue tavole da utilizzare. Scambiarsi le tavole da surf con Skip a San Diego è un’altra esperienza che difficilmente mi scorderò; un giorno venne a surfare con una ‘eagle’ di quasi 12 piedi e mentre aspettavamo l’onda giusta mi chiese se avessi mai surfato su una tavola così lunga; un minuto dopo avevamo scambiato le tavole, e io stavo prendendo un’onda con la sua ‘eagle’.

Anche Skip Frye è sensibile alle minacce dell’inquinamento ambientale?Assolutamente sì; Skip sente le tematiche ambientali molto vicine e presta grande attenzione alla tutela di tutto l’ambiente marino. Pensa che ogni volta che si trova alla spiaggia pulisce un piccolo spazio e raccoglie le plastiche, e sono oltre 50 anni che lo fa; anche in questo campo è stato, a suo modo, un precursore.

Qual è il posto più bello e con le onde migliori dove hai surfato?
Difficile dire quale sia il posto più bello dove ho surfato; ogni spot ha il suo fascino e la sua bellezza. In Oman, vicino a Salalah, mi hanno prestato una tavola senza cera, e ho dovuto organizzarmi con una piccola candela per rendere la tavola utilizzabile. Stare poi in acqua al mattino presto in compagnia delle suse indiane, un delfino tipico della zona, è stato fantastico. Dividere le onde lunghissime di Waikiki (Hawaii) o Imsouane (Marocco) con mia figlia Viola ha reso ogni surfata bellissima e memorabile. Il mio cuore resta comunque a San Diego e agli spot della costa occidentale degli Stati Uniti. Percorrere la costa degli Stati Uniti da sud verso nord e surfare negli spot citati in “Surfing USA” dei Beach Boys (La Jolla Shores, Swami’s, San Onofre, ecc.) è stata un’esperienza incredibile. Tutto quanto è coronato dall’avere una moglie meravigliosa, appassionata pur da terra, che passa ore sulla spiaggia (quando va bene) a filmare e fotografare ogni onda che prendiamo, garantendo così un ricordo indelebile di ogni session.

Come possiamo noi surfer fare qualcosa per smettere di surfare nella plastica?
Mi ricollego a una domanda precedente; oggi come oggi sono le piccole cose che, quando portate avanti da tutti, possono rappresentate la differenza. Le plastiche monouso vanno evitate al massimo, cerchiamo di non comprare bottiglie di plastica, evitiamo i piatti e le posate di plastica, le cannucce, facciamo il car sharing (anche quando andiamo a surfare), evitiamo gli sprechi, mangiamo responsabilmente, non buttiamo rifiuti per terra (le mascherine iniziano a trovarsi in mare!), stiamo attenti al riciclo, attenzione ai mozziconi di sigaretta… Sembrano luoghi comuni e banalità, ma finché non si crea una politica ambientale condivisa, insegnata fin dall’inizio nelle scuole, non se ne esce.

Prossimo viaggio?
Ho una serie di meeting ai quali non ho potuto partecipare per via del Covid-19 che sono stati al momento posticipati. Spero di riuscire a tornare a San Diego, poi stiamo organizzando un workshop in Costa Rica, dove spero di riuscire a fermarmi per qualche giorno in più per dedicarmi alle mitiche spiagge e onde del Pacifico. Aspetto inoltre con ansia che venga riprogrammata una crociera di ricerca in Antartide, annullata lo scorso marzo. Questa sarà forse una delle poche occasioni in cui non potrò surfare le onde locali, ma ne varrà comunque la pena.

Puoi seguire Tethys anche su instagram: @tethys_research

Skip Frye surfboards