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Marco Olmo: il signore del deserto

di - 03/08/2022

marco olmo

Il nostro direttore Daniele Milano Pession ha intervistato Marco Olmo. Negli ultimi trent’anni l’atleta ha dominato le distanze ultra. Ha corso per oltre 9.000 chilometri di deserto. Il suo palmarès è da brividi, comprese le due vittorie all’UTMB nel 2006 e nel 2007.

 

Marco, sei un’icona per il mondo intero del trail running, hai realizzato imprese straordinarie, ma sei sempre rimasto una persona umile. 

Sì, ho vinto tanto, gare “abbastanza importanti”, però ricordo sempre un detto: “Un topo che vince, anche se vince, rimane un topo”. Non è che perché hai vinto cambia qualche cosa. Rimani sempre quello che sei, hai i tuoi problemi come tutti, e il giorno dopo una vittoria sei com’eri il giorno prima, tutto lì.

 

Che cosa hai provato quando hai fatto il tuo ingresso a Chamonix da vincitore dell’UTMB?

Certo, un’emozione indescrivibile, in particolare la prima vittoria all’UTMB nel 2006… C’era un pezzo non transennato. Quando ho lasciato il sentiero e sono arrivato sull’asfalto la gente si apriva per farmi passare. E mi sono detto: “Questi sono qui per me, tutti ad applaudire, a cercare di farmi le foto”. Il secondo anno era più transennato, quindi più lungo il percorso a Chamonix, tutta la gente che si sbracciava, e in quel momento quello che provi è difficile da dire, perché non senti neanche più la fatica delle ventidue ore di corsa che hai fatto. E ti dici: “Ma è vero o me lo sto sognando tutto questo?”. Gli incubi vengono dopo, che non sia vero e altre cose così. Non ti rendi neanche conto di quello che hai concluso. 

 

 

Il titolo che ho voluto dare a questa intervista, “Marco Olmo, Signore del Deserto”, per me è perfetto. Che rapporto hai con il deserto? 

Io adoro il deserto! Il Mal d’Africa dell’Africa desertica. Un po’ di tutti i deserti, non solo quelli dell’Africa. Ho corso in molti deserti, ho fatto circa 9.000 chilometri di gare nel deserto, in cui ho sempre trovato un grande fascino. 

C’è una frase di un certo De Foucauld (Charles Eugène de Foucauld, visconte di Pontbriand – Esploratore del deserto del Sahara, studioso della lingua e della cultura dei Tuareg, 1858-1916, n.d.a.) che dice: “Chi va nel deserto non è più lo stesso”. Quindi, forse perché qui non ce lo abbiamo, abbiamo il verde, vai a cercare il fascino del luogo con il nulla, il grande vuoto che è nel deserto.

 

Ti ricordi della prima volta in cui hai corso nel deserto?

Ricordo bene la mia prima tappa della prima Marathon des Sables nel 1996. In quell’occasione avevo anche il peso di essere ospite tramite un’azienda italiana che aveva pagato tutto il pacchetto di partecipazione, quindi già quello era motivo di pressione. Oltre a questo, l’incombenza emotiva di trovarmi in una gara a livello internazionale, mentre io ero abituato a correre qui nelle prove in montagna o nelle altre competizioni quindi, rispetto ai 231 km della Marathon, semplicissime. Ricordo benissimo la prima tappa. Siamo partiti in 185-190, poi mi sono trovato tra i primi sette o otto, in seguito ho rimontato sino al secondo posto dietro al russo Dersein che ha vinto nella graduatoria assoluta. È stato un sollievo perché mi sono detto, nonostante le insicurezze: “Sono qui e ho appena concluso al secondo posto la prima tappa. Se mi succede qualcosa che non riesco a finire, un po’ una bella ‘figuretta’ l’ho fatta”. Alla fine, ho concluso al terzo posto assoluto, uno dei miei tre podi alla Marathon in carriera.

 

La Marathon des Sables, secondo te, è una gara o un viaggio nel tempo? Come essere sulla Luna? 

La Marathon des Sables è secondo me la gara nel deserto per antonomasia, copiata poi un po’ da tutti sotto molte forme. Penso che sia la meglio organizzata in assoluto, con regolamenti molto seri e altrettanto seri organizzatori. Il paesaggio più o meno è sempre lo stesso. Si corre ai confini con l’Algeria, dalla zona di Marzuga in giù. Io ne ho fatte 22 ed è un po’ la mia passione, sebbene non abbia mai vinto. Ho conquistato tre podi. Poi, passando gli anni, cominciavo a faticare anche per la “vecchiaia”. Oggi è comunque una gara che rimpiango veramente per non avere più le condizioni fisiche per poter partecipare.

 

 

Tu sei sempre stato molto legato al tuo territorio, al luogo in cui vivi. Come ti alleni di solito, al mattino, alla sera e perché? Ci spieghi se hai cambiato le tue abitudini da quando hai iniziato?

Naturalmente Robilante è il mio paese, quindi mi sono sempre allenato qui, a parte qualche percorso di gara da provare da altre parti. Corro sempre nelle mie zone, con salita e discesa. Corro tutti i giorni i miei 10-12 chilometri con 300-400 metri di dislivello. Oramai, vista l’età, va già bene così. Cos’è cambiato negli anni? Finché lavoravo, mi allenavo nel pomeriggio o quando potevo. Da quando sono in pensione, visto che mi sveglio presto al mattino, vado al mattino. È molto più fresco e tranquillo. Sono già quasi 20 anni che sono in pensione e mi sono abituato così, per me è l’orario migliore.

 

 

Qual è il posto più bello in cui hai mai corso e perché?

Essendo un patito del deserto, il posto più bello dove ho corso è l’Acacus nel sud-ovest della Libia, vicino all’Algeria. Un deserto affascinante, le sue guglie sono uniche. Ogni deserto è diverso dall’altro, con le sue peculiarità, e questo per me è il più bello.

 

Da anni sei il testimonial principale di CMP, ormai sei come uno di famiglia. Che rapporto hai con loro?

Da anni sono il testimonial principale di CMP, il Brand ambassador, perché oggi se non si parla in inglese non va bene… hehehe! È un’azienda italiana dove la presenza famigliare è ancora molto forte. Il rapporto è molto buono, basato non sui risultati, ma sul valore che può avere la mia presenza e sulla mia storia. Con loro ho ottimi rapporti, con Fabio Campagnolo in particolare, che condivide con me il pensiero che per emergere bisogna impegnarsi e tenere duro. Il mercato outdoor è difficile e non si può scherzare. 

 

 

Tu hai la fortuna di seguire con CMP anche lo sviluppo del prodotto. Ce ne parli?

Ho la fortuna di provare i prodotti e capirne pregi e difetti. So che ciò che va bene a me non è detto che vada bene per il grande pubblico, e io poi do comunque qualche consiglio sempre. 

 

Ci racconti del tuo rapporto con Dino Bonelli?

Con Dino mi conosco dal 2007, anno della mia seconda vittoria all’UTMB. In quell’occasione Dino mi aveva aspettato al traguardo, perché lungo il percorso non eravamo riusciti a “beccarci”. Da lì è nato un rapporto che dura ancora adesso. Abbiamo fatto gare insieme, gli ho dato consigli “sbagliati” naturalmente… heheheh nelle competizioni da lui organizzate. Abbiamo fatto diversi servizi fotografici insieme, abbiamo un bellissimo rapporto. Ci sfottiamo a vicenda insomma!

 

 

Che cosa hai imparato dalla corsa per la tua vita privata? Che cosa ti ha insegnato correre?

La corsa e la vita sono più o meno una simbiosi. Da una s’impara per l’altra. Non devi mai osare… Mia nonna mi diceva sempre di non fare il passo più lungo della gamba sia nella corsa sia nella vita. Molte cose si assomigliano. Devi saper gestire una famiglia, devi essere un piccolo imprenditore per occuparti dei tuoi affari e della tua famiglia. Io dico sempre che in corsa devi essere il pilota, la macchina e il meccanico. Devi portare la macchina a fine gara. È tutta una questione di gestione. 

 

 

C’è un messaggio finale che vuoi lasciare a chi ci legge?

Lasciare un messaggio finale è un po’ dura, perché io non sono né un preparatore né niente. Tutti sanno tutto di tutti. Io posso dire di arrivare alle gare con i piedi di piombo poi, se si vuole allungare, bisogna farlo poco alla volta. Avere pazienza e metodo, per poi arrivare a distanze più lunghe. Sicuramente non partire dalle lunghe distanze subito, sarebbe una follia. Pensare sempre che la paura è nostra amica, non è il nemico. Senza la paura non si va da nessuna parte. Se non avessimo paura andremmo a schiantarci o a buttarci giù da un ponte. Sempre citando la paura… “Meglio avere paura, che avere il danno”. Quindi non voglio che la gente “si tocchi” per quello che ho detto, però un po’ di timore ci vuole sempre. Un’altra cosa che dico sempre alla fine delle mie presentazioni in giro è che spero che la gente che è venuta lì per me non abbia poi cambiato idea nel conoscermi meglio!

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Di Daniele Milano Pession | foto: Dino Bonelli

Corro quanto basta, pedalo a giorni alterni, parlo troppo. Nelle pause mangio. Instancabile sostenitrice di quanto lo sport ti salvi. Sempre. Le mie giornate iniziano sempre così: un caffè al volo e il suono del GPS che segna l'inizio di un allenamento. Che corra, pedali o alzi della ghisa poco importa: l'importante è ritagliarmi un momento per me che mi faccia affrontare la giornata nel modo migliore.