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Paola Santini

di - 13/03/2024

Se Ciclismo è sostantivo maschile, Passione è sostantivo femminile… Ecco perché nessuno dei due può avere senso senza l’altro.

Abbiamo incontrato Paola Santini durante l’inaugurazione della nuova, modernissima, sede del maglificio creato nel 1965 dal padre Pietro. Paola e la sorella Monica, rispettivamente responsabile Marketing e CEO, sono al timone dell’Azienda, che dal 1988 realizza tutte le maglie iridate e dal 2022 le quattro maglie del Tour de France e della Vuelta di Spagna.

Il 77% dei dipendenti di Santini sono donne e donne siete voi che guidate questa società. Come è lavorare in un mondo ancora prettamente maschile e, a volte, maschilista?

Quando mi sveglio la mattina, non penso di essere una donna, ma di essere una imprenditrice e di fare bene il mio lavoro. Non mi dico sono una donna, devo fare le cose in un modo diverso, devo dimostrare qualcosa… Quindi, il fatto di essere donna non cambia il modo di vivere il mio lavoro. Forse, la giornata un po’ di più, perché ho dei figli.
Quando ho iniziato, dodici anni fa, allora sì che mi rendevo conto di essere una delle poche donne in questo mondo. Quando, con mia sorella, andavamo alle fiere, mi capitava di sentirmi giudicata. Come se qualche sguardo mi dicesse “sei una donna, in più sei bionda, cosa ne vuoi sapere di bici?” Ma non ci ho mai dato molto peso e poi, bastava che si parlasse due minuti e anche quegli scettici capivano che, forse, qualcosa di bici ne capivo…
Poi, nel corso degli anni, siamo aumentate e comunque ti dico che chi è in questo ambiente è mosso da una passione intrinseca che va oltre l’essere donna o uomo. Quello che davvero conta è la passione per il ciclismo. Non entro mai in una sala dove sono tutti uomini e mi dico oddio sono l’unica donna… Entro e faccio al meglio quello che so fare.

C’è stato in questo ultimi anni un grosso passo avanti, anche a livello sportivo, delle ragazze. Le atlete hanno fatto importanti conquiste a livello mediatico, di sponsor e compensi.

Questa è una cosa che mi fa molto piacere. È Chiro che il Ciclismo femminile ha avuto una grossa spinta perché chi gestisce le gare gliel’ha voluta dare e non è una cosa che è stata dettata dall’interesse e, per come la vedo io, non è stato il pubblico a chiedere di vedere di più le donne. È quindi stato un po’ il contrario. La spinta è arrivata da UCI, tour e i grandi gruppi che organizzano gare, che hanno deciso di trasmettere le dirette delle gare femminili, di far correre la Parigi Roubaix alle ragazze. Questo ha significato tantissimo e vedrai che arriverà anche l’interesse del pubblico. Cosa che in realtà già accade e che crescerà. Da donna sono molto contenta e spero che questo si traduca anche in un maggior numero di donne che avrà voglia di salire in bici, non necessariamente per fare il Tour ma per farsi un giro e capire che pedalare non è solo un modo per tenersi in forma ma, e lo dico da mamma, anche per sentirsi un po’ libere, di prendersi del tempo per sé. È chiaro che stiamo parlando di due mondi differenti, ma che si posso tirare l’un l’altro.

A proposito di vento fra i capelli, riesci a ritagliarti un po’ ti tempo per pedalare?

Io faccio Triathlon da tanti anni, anche se in questo momento sono un po’ ferma perché mi sto dedicando di più ai figli, ma la bici in casa nostra è sempre stata una presenza importante. In realtà ho cominciato con il nuoto, per “colpa” di mio padre. Da genitore piuttosto ansioso, quando è stato il momento di scegliere che sport far fare a sua figlia ha detto “Non la bici. Troppo pericolosa…” E quindi ho cominciato a fare nuoto, arrivando a buoni livelli agonistici, anche se con mio papà sono sempre andata in bici, ma senza fare gare. Al Triathlon sono arrivata più avanti.

Com’è stato avere un papà così importante. Ha rappresentato un vantaggio o ti sei sentita obbligata a dimostrare qualcosa?

Una delle cose che riconosco a mio padre è la capacità di fare un passo indietro, Cher non è una cosa così vista nell’ambito delle azienda familiari. È stato molto lungimirante, el momento in cui io e mia sorella abbiamo raggiungo l’età lavorativa, allo spingerci fuori. E quindi, né io né mia sorella abbiamo cominciato qui. Ci ha spinte a fare esperienze altrove, addirittura all’estero, così mia sorella è stat tre anni in Brasile e io sei in Inghilterra, in aziende diverse, in settori diversi. Questo denota molta intelligenza: è chiaro che mi padre ha sempre detto “vorrei che lavoraste qui, ma cosa potete dare sui se non avete visto niente fuori?” Ecco, è partito da questo presupposto e, nel momento in cui Monica, per prima, è tornata e, anni dopo, anche io, questo ci ha aiutato tantissimo. Quando siamo entrate noi, abbiamo fatto un po’ di anni (lei più di me, abbiamo undici anni di differenza) abbiamo dimostrato quello che sapevamo fare. Devo dire che nostro padre non è mai stato invadente. Lui ci ha sicuramente osservate, all’inizio con un po’ più di peso, ma già prima di fare il passaggio delle quote, ci aveva già passato la gestione dell’azienda.

È stato difficile all’inizio, perché abbiamo avuto bisogno di un po’ di tempo per capire e soprattutto in un mondo che cambia così velocemente, però ti devo dire che mio papà viene sì qui tutti i giorni, anche perché non saprebbe cosa altro fare (sorride…), però si vede poco, a volte viene e ci chiede perché vuole capire, anzi a volte siamo noi che chiediamo a lui cosa ne pensa di certe idee, ma tende sempre a lasciare che siamo noi a prendere le decisioni: “ormai l’azienda è vostra…”

Hai parlato di un Ciclismo che sta cambiando. È vero e, aggiungo io, con il Ciclismo sta cambiando anche la gente che lo pratica. Che direzione sta prendendo? Sta seguendo delle mode o è vera evoluzione?

Bella domanda… Se avessi la sfera di cristallo ti darei una risposta precisa. In tutta onestà, è un cambiamento che mi piace molto, nel senso che, per noi che amiamo la bici, il fatto che più persone si approccino ala bici, anche se in modo differente, è una cosa molto positiva. D’altra parte, quello che vediamo in questo momento è un disinteresse da parte di chi prima usava la bici per allenarsi e andare a fare le granfondo, verso quel modo di pedalare. Cresce invece la voglia di divertirsi, di partecipare a eventi in cui l’idea di gara è addirittura assente. Lo abbiamo visto benissimo perché abbiamo sempre fatto le maglie per tante granfondo e le facciamo anche per L’Eroica e si è completamente ribaltato il paradigma. Eroica ed eventi Gravel stanno prendendo il posto che era delle granfondo e, secondo me, non si tratta di un fuoco di paglia né di una moda. Io stessa ho venduto la mia bici da strada, non facendo più gare di triathlon e ho comperato una Gravel. Mi basta uscire un paio d’ore e mi diverto più di prima Chi oggi usa la bici da strada lo fa sempre più come un allenamento finalizzato ad altro. Voglio dire che in questo momento, forse anche per via del Covid e perché pè cambiato davvero il mondo, la gente si sta più rilassando ed è anche meglio. Mi capitava, in passato i vedere certi personaggi alle granfondo e pensare Va bene soffrire, ma i professionisti lo fanno per lavoro e li pagano, ma tu domattina devi andare al lavoro…” Probabilmente tornerà ancora un po’ di quel movimento legato alle gare, ma sarà comunque sempre una nicchia.

Come azienda, siete molto attenti a questo mondo, sicuramente più legato a un modo di guardare alla bici come uno stile di vita, tuttavia siete sempre molto legati al vostro DNA e quindi quasi “obbligati” a proporre prodotti per il mondo delle corse, che resta sempre un traino.

Sì, però moltissime delle persone che guadano le corse, non è detto che vadano in bici o magari ci vanno ma la domenica a fare la scampagnata con la famiglia. Quello che vedo io, a livelli di mercato nel Ciclismo è una serie di brand, con una lunga e importante storia, come noi, che si sono sempre focalizzati continuano a farlo, su prodotti tecnici altamente performanti, dedicati a un consumatore che però è in questo momento di nicchia. Dall’altra parte ci sono tutti questi brand nuovi, i cosiddetti Instagram brand, che non hanno una storia, non hanno una produzione loro, sono essenzialmente degli uffici marketing e design che creano il prodotto e lo fanno produrre e che puntano invece su un consumatore completamente diverso, più giovane, che magari non guarda nemmeno i pro, ma che va in bici perché si diverte e perché e figo. Quello che stiamo tentando di fare noi, non è spostarci da qui a là, perché non saremmo più noi, ma posizionarci nel mezzo. Abbiamo un prodotto altamente tecnico, e lo dimostrano i migliori al mondo, che ci corrono otto ore al giorno, tre settimane consecutive, ma con un occhi allo stile, al design, alle mode, che alcuni brand del nostro settore che hanno la nostra età o sono anche più vecchi, non stanno seguendo. Noi è da dieci anni che stiamo facendo questa transizione, prima ancora che arrivassero alcuni di questi marchi. Non è facile, soprattutto perché questi partono da un B2C, vendendo online, mentre noi abbiamo una rete distributiva molto strutturata e certi passi non possiamo farli dall’oggi al domani ma sicuramente Fergus (il direttore creativo di Santini, ndr) sta recitando un ruolo fondamentale in questa evoluzione. Crediamo di essere sulla buona strada e la nostra grande passione per il Ciclismo ci sarà di grande aiuto.

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.