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Prova Merida Scultura Team

di - 18/07/2023

merida scultura team foto in movimento discesa laterale

Appartiene a quella schiera di bici race di nuova generazione, che abbinano contenuti aero a eccellenti prestazioni in termini di comfort ed efficienza. Ci stiamo avvicinando alla bici totale con cui correre un Grande Giro dall’inizio alla fine (crono escluse…)

Un nuovo concetto

La “bici aero”, nel concetto che l’ha ispirata fino a un paio di stagioni fa, ha fatto il suo tempo e così pure la bici “da salita”, quella che aveva senso solo fra i tornanti e pendenze a due cifre. Biciclette agli antipodi per filosofia di fondo e per risultato, a partire dalle geometrie, che costringevano gli atleti a doversi adattare a due mezzi completamenti differenti per comportamento e sensazioni, da abbinare a seconda del profilo altimetrico delle gare o delle tappe di un Giro. Ora che questo approccio si è rivelato poco conveniente, che la tecnologia è sempre più accessibile e che c’è la necessità di sfoltire i cataloghi road, i progettisti stanno dando forma a biciclette che avvicinano i due mondi.
Ci stanno arrivando tutti i grossi marchi, chi da una strada chi dall’altra, e Merida lo ha fatto partendo dalle geometrie della Reacto (la sua aero) e costruendo un telaio che avesse anche doti aero, ma senza sacrificare la guidabilità e il comfort.
Ecco, questa è il riassunto molto sintetico, ma esaustivo, della genesi dell’ultima versione della Scultura Team. Una bici nata per poter attaccare in salita, spingere forte in discesa e giocarsela anche in volata, al termine di un tappone da 250 km.
Noi, il tappone da 250 km non lo abbiamo fatto, ma sotto le ruote della Merida abbiamo messo 511 chilometri e 6.208 m di dislivello, facendo girar ala testa a un sacco di persone, perché in questa livrea la Scultura è una bici davvero fantastica.

I numeri non mentono

Come detto, la geometria della Scultura Team è la stessa della Reacto, aero di casa Merida, scelta che i progettisti hanno fatto per due motivi, il primo è che si tratta di una geometria di ultima generazione, ossia equilibrata, il secondo è che in questo modo i corridori, pur cambiando bici, non modificano il loro modo di pedalare.
Le Merida calzano larghe e la Scultura non fa eccezione: noi che di solito guidiamo una taglia 56 (che corrisponde per la maggior parte dei casi a una L), in questo caso abbiamo virato su una M, poiché la L è un 57 abbondante.

Stack e reach sono rispettivamente 557 mm e 395 mm, con angoli sterzo e sella di 73,5°. Il cockpit è integrato, con attacco da 110 mm e manubrio da 420 mm, dimensioni che soddisfano i nostri gusti. Un accenno al peso, che abbiamo misurato in 7,185 kg: non è un valore strabiliante ma comunque molto buono, considerato anche i profili generosi dei tubi.

Sappiamo bene che sono tutti bravi a raccontare quanto sia eccezionale la propria creatura. Sulla carta molti sono anche convincenti, ma quando si mettono le ruote sulla strada i nodi vengono al pettine e sui scopre dove sta il confine fra marketing e realtà…

La strada neppure

In Merida, dobbiamo dire che il fumo è molto poco, rispetto all’arrosto. Hanno fatto una bicicletta che mantiene davvero ciò che promette. Velocità, comfort, piacere di guida. Confortevole, anche dopo 4/5 ore in sella, trasmette subito un buon feeling generale.
Non sappiamo quanto del merito sia da attribuire alla costruzione e quanto al disegno, fatto sta che il retrotreno è granitico e sui percorsi “mangia-e-bevi”, affrontando da seduti brevi strappi con pendenze fra il 4% e il 6%, si ha la sensazione di assoluta trasmissione della potenza. Non si percepiscono torsioni, la bici risponde immediatamente alla spinta senza bisogno di alzarsi sui pedali. Una volta lanciata sopra i 35 km/h, tiene la velocità senza sforzi apparenti, merito anche dell’imprinting aero? Probabilmente sì.
Il feeling è notevole e deriva anche dalla facilità e dalla precisione di guida in inserimento e percorrenza di curva in velocità. Ma soprattutto è in discesa, ad alta velocità e con pendenze importanti, che la Scultura Team sorprende: sembra su una rotaia, risulta facile da guidare, prevedibile, stabile e trasmette molta sicurezza.
Quando si guida veloci, diventa cruciale la frenata. E anche qui le sensazioni sono ottime. La bici non si scompone, lo sterzo non fa una piega e consente frenate precise anche in situazioni al limite.

Tutto favoloso? Quasi… Forse perché le bici race sono fatte per rendere al meglio quando le si guida veloci. Battute a parte, quando le velocità sono basse e la si deve rilanciare, la Scultura Team sia dimostra un po’ pigra. Sia in pianura sia in salita, quando ci si alza sui pedali, si ha la sensazione che la bici non sia lesta nel prendere velocità.
Siccome però ci piace vederci chiaro, abbiamo accolto il dubbio che fosse più un comportamento legato alle ruote piuttosto che al telaio. Abbiamo quindi fatto la prova del nove, montando un paio di Lightweight Meilenstein T-Disc con tubolari e… la Scultura ha cambiato passo.

Tiriamo le somme

Cominciamo con un commento frivolo. Lo abbiamo già detto, ma ci ripetiamo: la Scultura Team è molto bella e la livrea del team Bahrein Victorious la rende un oggetto che non ci si stanca mai di guardare. Venendo al sodo, invece, appartiene a quella ristretta schiera di biciclette che, una volta lanciate, hanno la capacità di mantenere molto bene la velocità di crociera, e risulta particolarmente efficace su quei percorsi vallonati in cui ci si trova a spingere sempre a testa bassa. In questo è davvero eccezionale, la risposta del carro è notevole e trasmette la sensazione costante di trasferire ogni watt delle gambe all’asfalto. Una sensazione che viene meno quando le velocità scendono e ci si trova a dover rilanciare la bici: in questa situazione la Scultura non è altrettanto efficace.

Un altro grande pregio, oltre alle prestazioni discesistiche fuori dall’ordinario, è la capacità di non stancare chi la guida, anche se si resta in sella molte ore. Nonostante le doti di comfort offerte dal telaio, però, gli pneumatici da 25 (che oggi rappresentano il limite inferiore delle dimensioni, anche per i professionisti) non sono il massimo in termini di assorbimento, però il telaio accetta misure fino a 30 mm. Il nostro consiglio è quindi cambiare le “calzature” e magari allestire le ruote in configurazione tubeless: i benefici saranno maggiore comfort e ancora più feeling in discesa. Segnaliamo, però, che la configurazione più aggiornata della Scultura Team prevede una combinazione ruote/pneumatici differente (e più congrua) da quella che abbiamo avuto in prova: ossia Vision Metro 45 SL e Continental GP5000 S da 28 mm.
La chiusura è sul prezzo (9.990 euro in promozione), un’altra freccia molto appuntita al suo arco…

Scheda tecnica

Telaio: fibra di carbonio CF5 V
Forcella: fibra di carbonio CF5 disc
Gruppo: Shimano Dura Ace Di2, 12V, guarnitura 52/36 con powermeter, cassetta 11-30
Cockpit: integrato Merida Team SL
Ruote: Vision 40 SC Disc
Gomme: Continental Grandsport Race, 25 mm
Peso (rilevato): 7,185 kg
Prezzo: 11.590 euro (in promozione a 9.990 euro)

Geometria (M)
Stack: 557 mm
Reach: 395 mm
Foderi: 408 mm
Interasse: 990 mm
BB drop: 66 mm
Angolo sterzo: 73,5°
Angolo sella: 73,5°
Taglie: XXS, XS, S, M, L, XL

PRO
-Feeling
-Comfort
-Precisione
-Trasmissione potenza
-Rapporto prestazioni/prezzo

CONTRO
-Lenta nei rilanci a bassa velocità

Foto Martina Folco Zambelli | HLMPHOTO

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.