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Red Bull Mottarone: “Grazia, Graziella, Grazie a… Nico”

di - 14/06/2023

Nato quasi per gioco lo scorso anno dalla mente fantasiosa di Nico Valsesia (e subito sposato da RedBull), l’evento legato alle Graziella è diventato una di quelle cose che si segnano sul calendario un anno prima.
Se nel 2022 avevamo seguito la prima edizione da spettatori, con la curiosità che ci contraddistingue soprattutto per le cose meno scontate, quest’anno abbiamo deciso di entrare nel gioco per viverlo da protagonisti.

Un evento che cresce

Il format è tanto semplice quanto efficace: si scala il Mottarone partendo dal Omegna, sulle rive del Lago d’Orta, poi si scende e ci si tuffa nel lago da una rampa costruita per l’occasione. E questa semplicità è una delle cose che è piaciuta al brand che “mette le ali”. Red Bull infatti non è solo auto da corsa, salti dalla Stratosfera, tuffi dalle scogliere… ma anche divertimento, come accade con le Soap Box race e il Flugtag, eventi alla portata di tutti, che hanno come denominatore la voglia di mettersi in gioco, la creatività e un pizzico di follia.

Se il piatto principale della Red Bull Mottarone è rimasto lo stesso, è il contorno della seconda edizione a essere più ricco. A cominciare dalla rampa con landing bag (materassone gonfiabile) allestita in vetta al Mottarone, per mettere davvero le ali alla Graziella e provare a spiccare il volo in sicurezza. Nuove anche le strutture in riva al lago, con tre rampe super, per il lake jump e una passerella galleggiante, lunga trenta metri, per la gara di impennate. Una trasformazione che i trecento partecipanti hanno gradito…

Una strana famiglia

L’appuntamento è per le 8 alla Coop di Omegna, per completare l’iscrizione e ritirare il numero. Un orario che mi ha obbligato a puntare la sveglia alle 6, così da programmare la partenza da casa prima delle 7 per non tirare il collo alla mia Agila. Accortezza di cui avrei potuto fare a meno, perché una incredibile e immotivata tensione pre-gara (quale gara?!?) mi ha fatto dormire malissimo e svegliare di agitazione naturale con largo anticipo.

Resto comunque a rotolarmi sotto il lenzuolo fino al suono sgradevole del telefono. Doccia, colazione da campione, ultimo controllo alla borsa e via. La cosa bella di eventi come questi è che si ha la sensazione di fare qualcosa di diverso e unico. Di figo…
Ho fatto decine di gare più o meno importanti, sia su strada sia fuoristrada, ma mai mi era capitato di strombazzare e salutare un altro tizio incontrato per strada, che come me era inconfutabilmente in viaggio verso la stessa meta. Ebbene, questa cosa mi è invece capitata ben due volte in quaranta chilometri, mentre facevo rotta verso Gravellona Toce: sono stato superato da due auto, una con una Graziella attaccata dietro il portellone, impacchettata con un cellophane svolazzante, la seconda con due Graziella incastrate nel bagagliaio. Io non avevo la bici con me, perché mi aspettava alla partenza, ma che facessi parte anch’io della tribù dei graziellisti lo garantiva un inequivocabile adesivone “Red Bull Wake the City” appiccicato sul retro dell’Agila. Ci siamo immediatamente riconosciuti e scambiati colpi di clacson e ampi gesti di intesa. In quel momento, la tensione è sparita.

La fatica non esiste

Il parcheggio della Coop sembra il set di un film di Fellini. Personaggi più o meno singolari, che non si capisce chi sia in costume e chi al naturale, vagano in compagnia di bici anch’esse curiose, nell’attesa che due attempati ometti li facciano passare attraverso le forche caudine del Controllo Tecnico… le ruote girano, i freni frenano. Bene, avanti un altro.
Io non sono vestito strano e addirittura salto le forche perché Nico mi fa trovare una Graziella moderna, che ha fatto realizzare apposta per l’evento in una ventina di esemplari per amici, sponsor e per chi, all’ultimo momento, ne avesse avuto bisogno. Rossa fiammante, con la forcella piena di disegnini bianchi, dipinti a mano da un amico tatuatore. Ruote vere, freni veri, sella vera… gomme tassellate! Come tassellate, e la scorrevolezza?!? Si apre un’anta dell’armadio e l’ansia torna a fare capolino. La ricaccio dentro e chiedo a uno degli ometti se ha per caso una chiave per smontare i pedali, che devo attaccare i miei, con le tacchette. Ma che tacchette, non si può. Si usano i pedali piatti e le scarpe da tennis. Questa volta si spalancano entrambe le ante dell’armadio e l’ansia esce tutta intera…

Vabbé, mi metto il cuore in pace e penso che anche il Miglio (Stefano Migliorini, amico d’infanzia di Nico Valsesia, che avevo convinto a venire insieme a me a fare questa cosa) si troverà nella mia stessa situazione e sarà comunque obbligato a rispettare il patto di fare la salita insieme e sostenerci moralmente. A riportare la calma definitiva nel cervello e nelle cosce, è stato infine il motto di Nico “la fatica non esiste“, anche se lui stesso un giorno mi ha confessato essere un’affermazione di cui non è convinto fino in fondo…

Eran trecento, eran giovani e forti

Il seguito della poesia lasciamolo perdere… Dietro l’arco Red Bull, gonfiato sul lungolago di Omegna eravamo proprio in trecento, molte facce già viste lo scorso anno e molti volti (e costumi) nuovi. Riconosco il tipo salutato in autostrada e capisco perché la bici era tutta protetta con sacchetti di plastica: attaccato al manubrio c’era uno stupendo ET, con tanto di copertina, infilato in un cestino di vimini. Per me, la Graziella più bella di tutte.
Il Miglio era già in posizione, teso come alla partenza di una DH di world cup perché la gomma posteriore (anche la sua bici era by Nico, con pneumatici tassellati) sfregava nel telaio e si bloccava. Per fortuna un intervento sulla linea di partenza da parte di un ragazzino con una ferramenta nello zaino ha parzialmente risolto il problema.

Comincia a piovere, ma gli speaker e il dj a bordo del monster truck Red Bull scaldano il pubblico e i graziellisti: 3… 2… 1… via! La marea delle pieghevoli si muove fra due ali di folla e dopo poche centinaia di metri usciamo da Omegna e cominciamo a puntare il manubrio all’insù. Non abbiamo ancora completato il primo dei 22 i chilometri della salita, ma abbiamo già capito che non sarà una passeggiata. Pedaliamo più o meno tutti allo stesso ritmo, quello imposto dal rapporto della Graziella, ad esclusione dei primi, quelli che in posizione da crono arriveranno in cima dopo un’ora e nove minuti (pazzesco…). I nostri compagni di salita sono una coppia (lui + bambola gonfiabile), un Fred Flintstone, il ragazzino con ET, due frikkettoni con le collane e le parrucche afro, un tamarro con una enorme radio in cartapesta attaccata davanti al manubrio, una Cappuccetto Rosso con due treccione bionde lunghissime e il cestino pieno di oggetti luccicanti indistinti (che perderà causa ribaltamento dopo due chilometri), una ragazza con mezzo d’epoca, giunta dalla Toscana, fiero membro del gruppo “Disagio a pedali” e uno svizzero ticinese in borghese.

La tecnica dello ZigZag

La prima vera difficoltà è il temibile e continuamente evocato dai compagni di ascesa “strappo di Cheggino”: qualche centinaio di metri al 18%. Lo attacchiamo in piedi sui pedali, ma l’andatura en danseuse non è praticabile con il rapporto della Graziella e senza i quadricipiti di Lou Ferrigno, quindi dopo venti metri smontiamo e lo facciamo a piedi, come il 98% dei graziellisti. Non siamo neppure a un terzo di salita e le gambe sono già compromesse
Una volta risaliti in sella, io e il Miglio ci guardiamo e negli occhi, ci diamo un cenno d’intesa e ricominciamo l’ascesa ricorrendo alla tecnica dello ZigZag. Un escamotage nato prima dell’avvento delle guarniture “super compact”, che spiana le percentuali della pendenza ma al prezzo del raddoppio dei chilometri percorsi…

Facciamo proseliti fra gli altri ciclisti in un batter d’occhio, ma ci inimichiamo per sempre i driver di un gruppo di “porschisti”, che hanno scelto il sabato sbagliato per venire a sgommare sul Mottarone. Comunque la tecnica dà i suoi frutti e la nostra scalata alla vetta continua costante e inesorabile. Fino a che, a sei o sette chilometri dall’arrivo ecco il secondo, e soprattutto imprevisto, ostacolo fra noi e la vetta: sull’ultimo tornante prima di uscire dal bosco c’è un posto di blocco con due auto, tipo fast&furious, con più altoparlanti e woofer che cavalli nel motore. La musica che sparano le fa sobbalzare e vibrare come in preda a un attacco epilettico e, mentre noi ciclisti siamo storditi dal frastuono, ci vengono incontro gli ospitali organizzatori del mountain rave party, offrendo birra e spritz che accompagnano panini con hot dog e salame piccante. Rifiutare non è una opzione e la ripartenza è impegnativa…
Ma la tecnica a ZigZag ci ha preservato la gamba e da qui fino alla vetta è solo questione di resistenza mentale e di voglia del risotto che stanno cucinando all’arrivo.

Graziella (o Godzilla) town

Alla flame rouge do il via libera al Miglio (e alla immancabile Stefy, che ci ha incitati e fotografati per tutta la salita, dal sellino della sua Thok), che sente il traguardo e alza il ritmo. Poi, ai -500 metri mi fermo ad assistere un graziellista rantolante a bordo strada, che si tiene una gamba biascicando “crampi… crampi…“: gli offro una delle boccette miracolose che avevo nel marsupio e proseguo. Ormai ci sono.
Vuoi per il cielo plumbeo e la nebbiolina, vuoi per il tifo da stadio e per il pensiero di avere portato a termine una cosa alla quale tenevo, scollinare e passare sotto l’arco dell’arrivo mi è sembrato l’epilogo di un’impresa epica, manco avessi scalato il Mont Ventoux.

Il piazzale del Mottarone sembra piazza Jemaa el-Fnaa a Marrakech: musica, odore di cibo, saltimbanchi, equilibristi, animali, gente che urla, il tutto su un tappeto di Graziella e di avanzi di Graziella. Il programma prevede di aspettare l’arrivo dell’ultimo concorrente per poi tornare a valle, dietro la safety car di Nico per il gran finale nelle acque del lago d’Orta. Ah, prima di scendere ci sono anche le premiazioni. Se lo spirito della Red Bull Mottarone è puramente goliardico, esiste pur sempre una classifica stilata in base ai tempi della salita, anche se la più attesa e partecipata è quella che premia, per acclamazione popolare, il miglior travestimento. Un po’ come al carnevale di Rio.

Epilogo

Se la soluzione della discesa a velocità controllata è imprescindibile per garantire la sicurezza di tutti coloro che pedalano bici con ruote e feni d’antan, noi con le Graziella 2.0 infrangiamo il protocollo e partiamo prima. E, senza troppo faticare per convincere il Miglio, ci concediamo anche qualche divagazione off-road, per dare un senso alla gommatura tassellata… I 22 chilometri, che qualche ora prima ci sono sembrati interminabili, passano sotto le ruote fin troppo velocemente (complimenti a chi ha messo insieme queste bici!) e in mezz’ora siamo di nuovo sul lungolago di Omegna.
Per fortuna, la giornata si è trasformata da novembrina a estiva, così da rendere meno traumatico il lake jump, degno epilogo dell’avventura a ruote piccole. In realtà, come prologo al tuffo, ci sarebbe la gara di impennate sul pontile galleggiante, specialità nella quale sono ho sempre avuto gravemente insufficiente, così lascio il palcoscenico al Miglio e al suo curriculum. Le cose però non vanno nel verso giusto e, lasciato in fretta alle spalle uno scenografico ribaltone, si cerca di salvare l’onore sulla rampa del salto nel lago. Dopo tre salti, Miglio quasi chiude un 360 e se non fosse per la Stefy che lo riprende come si fa con i flglioli, quando a stare troppo in acqua gli vengono le mani bianche, lui sarebbe ancora lì a fare tuffi nel lago. E io? Una terribile facciata il primo tuffo e una discreta facciata il secondo: non c’è stato bisogno di dirmi “Ora basta” per farmi smettere…
Grazia, Graziella, Grazie a… Nico!

Foto: Martina Folco Zambelli | HLMPHOTO e Gabriele Seghizzi

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.