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Rick Griffin: surf e arte psichedelica

di - 23/07/2019

Di Francesco De Luca (autore del libro Karma hostel e fondatore di Chinasurfreport)

Ogni occasione è buona per parlare di Rick Griffin. Anche oggi, nel 2019, a cinquant’anni di distanza da quegli anni Sessanta, in cui accadde tanto, molto, forse troppo.
Dal l Monterey Pop Festival del 1967 ai tre mitici giorni di Woodstock, nell’agosto 1969, di cui cade la ricorrenza tra qualche settimana.
In quell’America e in quel mondo, grandi cambiamenti stavano per sopraggiungere: l’intera società era in subbuglio per la guerra del Vietnam, per le pubblicità televisive lavacervelli; e i surfisti?
I surfisti vivevano un’era di fertile sperimentazione: nuovi stili, nuovi shapes, nuove visioni. E poi gare campionati e tanta tanta mercificazione.

Ma nel frattempo avvenivano cose…
Jim Morrison urlava “You got the guns, we got the numbers…” mentre sulla battigia si srotolavano le dolci onde californiane e a Saigon cadevano bombe e napalm sulle colline.
La California era diventata scenario mitico per il surfing e per le arti, gli artisti, la comunità hippie internazionale, la beat generation, Ginsberg, Ferlinghetti; la musica con tutte le sue acide sperimentazioni di stati alternativi di coscienza avrebbe cambiato milioni di giovani.
Jerry Garcia e Frank Zappa plasmavano, con la chitarra e i loro movimenti chimici, ispirazioni sideree.

Lo so qualcuno starà pensando: ma che cazzo sta dicendo questo? Stiamo leggendo una rivista di surf o un pippone schizoartisticofattone?
Ma il surf, specialmente agli albori, era molto diverso da quel che è diventato oggi con le varie wave pool, culi youporn style velocemente presi dalla Reef (intendiamoci piacciono a tutti! 😉 ) e poserismo avanguardistico.
Il surf era anche e soprattutto altro. E lo è ancora.

Il surf era ed è una emanazione della realtà e collabora al “crowning of creation” di nuove possibilità di vita. Cambia. Questo lo sappiamo, ma va ribadito per controbilanciare, e queste due pagine non sono altro che un modo per riammirare insieme la bellezza del lavoro di uno dei più grandi e prolifici artisti che il surf abbia mai avuto: Rick Griffin, l’apritore di porte!

L’originale Murphy di Rick Griffin

Rick era un surfista vero, un credente, un biker, un filosofo, un visionario e, ovviamente, un artista che, alla Hieronymus Bosch, è riuscito a toccare l’intoccato entrando in un mondo di sogno.
Nasce nel 1944 in California e comincia a fare surf e a dipingere già da teenager, a 14 anni.

Quando gli fu presentato John Severson, l’editore e fondatore di The Surfer Magazine, Rick fu immediatamente assunto e bazuchizzato nella neonata surfing industry divenendo un faro d’ispirazione.
Subito inventò Murphy, il personaggio buffo e divertente che troviamo sui migliaia di copie  di Surfer Magazine  sparpagliati sulle spiagge di mezzi USA. Murphy spopolò tra i giovani, diventando già quasi un cult nel 1964: Rick aveva appena venti anni.

Quando Rick però  si sfracella la faccia in un grave incidente stradale la sua vita cambia. Non muore, è vero, ma l’occhio e parte del viso rimangono deturpati. Questo evento lo condiziona fortemente. Non solo dal punto di vista del look (si fece crescere i capelli e iniziò a portare cappello e occhiali da sole), ma anche e soprattutto dal punto di vista artistico: cambiò il lettering, e il suo stile: diventò più “mostruoso” e psichedelico allo stesso tempo.

I suoi lavori attraevano l’interesse dei grandi musicisti dell’epoca. Tutti sembravano volere i suoi poster, le sue copertine. Tutti volevano Griffin! Da Jimi Hendrix ai Grateful Dead (la cover del famosissio Aoxomoxoa è sua, uno dei più famosi dischi psichedelici della storia del rock).

Nel 1969 lo troviamo stabile a San Clemente. John Severson gli chiede di creare il poster del suo film divenuto poi generazionale “Pacific Vibrations”. Siamo nel 1970.
Rick viene immortalato nel film, assieme a John, a dipingere un bus modello into the wild. “Woodstock on a wave” rimane uno dei poster di più ampio successo nella storia della cinematografia surfistica.

E pensare – se non erro – che Rick lo fece in una sola notte, dopo una massiccia dose di LSD o qualche altra sostanza divina a sua disposizione.
John e Rick crearono un trend artistico e surfistico senza eguali. Loro più di tutti hanno saputo inserire tematiche sociali, culturali, ecologiche e di protesta, nel surf. Parlando alla comunità surfistica. Mostrando cose riflesse sulle pareti delle onde, come in un cinema liquido.
Severson sapeva che era possibile usare il surf come veicolo del bello, e Rick concordava senza dubitare.

Rick Griffin surfing

Negli anni successivi viaggia in Europa: lo troviamo nel 1976 ad Amsterdam, Londra e Sunderland, nel nord dell’Inghilterra.  Segue  esibizioni in un tour per qualche mese surfando nel frattempo tutta la costa atlantica europea, da nord a sud. Rimasta storica una mareggiata sui 12 piedi a Mundaka, in Spagna.

Ma Rick non era un businessman. Le persone che lo hanno conosciuto lo intendevano più come un druido, un mago, un vangogh moderno.

Muore il 18 Agosto 1991 dopo tre giorni in ospedale a seguito di un altro incidente in moto. Sbalzato via dalla sua bellezza a due ruote,  perché un van aveva forzato la strada,  atterrò senza casco tra rocce e terra.  Aveva 47 anni.

Uno dei più influenti artisti psichedelici della storia del surf e della musica, uno spirito visionario a metà tra bambino e negromante.

Da pochi giorni è online il nuovo sito ufficiale di Rick Griffin, su cui è possibile ammirare parte delle sue numerosissime opere. E non si poteva dire solo questo quando si parla di lui, no, non si può.
Quindi teniamo alto lo stoke, quello bello! Giusto Murphy? E come direbbe Severson: Go surfing!

www.rickgriffindesigns.com

IG: @hrickgriffindesigns

“All of the best artwork is accidental. It happens when the artist works through his self control and goes beyond, into the realm of the unexpected and the unknown. That’s when the great stuff happens” (Rick Griffin)