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Thok Tribe, la tribù a pedali

di - 02/07/2022

70, 150, 300, 360… Non sono i numeri fortunati da giocare sulla ruota di Alba. Sono i numeri che raccontano una storia di successo. Quella di Thok. A questi numeri aggiungerei anche il 6, il numero degli anni (meno uno e mezzo di Covid) in cui il marchio italiano si è costruito una forte credibilità nel mercato delle biciclette a pedalata assistita. Fondata sulla qualità e le prestazioni delle sue bici, ma non solo: la cosa che più mi piace di Thok, ma soprattutto delle persone che stanno dietro a questo nome, è lo spirito che le anima. Quando chiacchiero con Miglio, Stefi, Livio, Ambrogio, Pippo o qualsiasi altro del gruppo, mi sembra di fare un salto di trent’anni nel passato (con alcuni condivido età e storia), quando lo stadio evolutivo della Mountain Bike era quello di un teenager brufoloso. Ci si sentiva tutti parte di un movimento quasi rivoluzionario, un po’ snob e un po’ hippy. E le prime gare erano eventi a metà fra il raduno di Woodstock e “Giochi senza frontiere“, in cui poteva capitare di trovarsi alla partenza di uno slalom insieme a un campione di Coppa del Mondo.

Aria buona

Ecco, in Thok si respira ancora quell’aria ed è il motivo per cui soltanto fra le scrivanie del suo quartier generale poteva nascere l’idea di dare vita al Thok Tribe. In realtà, l’idea di Livio Suppo (uno dei padri fondatori del marchio), era di replicare a pedali la formula vincente del World Ducati Week, che lui aveva vissuto nella sua vita precedente come team manager a Borgo Panigale. Una formula semplicissima: portare chiunque possedesse una Thok a pedalare e fare festa per un weekend… Ma senza il substrato  giusto sarebbe stato impossibile.

Il primo Thok Tribe, fu organizzato nel 2018 a Fanano, sull’Appennino modenese. Ci stavamo tutti in una foto. Eravamo in 70 a pedalare nei boschi di casa del “Randagio” Pippo Marani, una delle icone del movimento MTB italiano, nonché “amico intimo” di Thok. Il seme era stato gettato e si è capito subito che sarebbe germogliato senza difficoltà: l’entusiasmo, la goliardia e la condivisione che vivemmo in quel weekend erano quelli di un passato che avevo scordato, in cui la bici era solo il tramite e il catalizzatore di energie generate da una comune passione. Un’altra idea, significativa della filosofia dietro il Tribe, era stata vincente: ogni Thoker aveva ricevuto una tabella porta numero con il suo nome. La differenza fra un numero e un nome è abissale ed è la stessa che passa fra un’amicizia e un incontro. E quando lasciammo Fanano, per fare ritorno ai nostri luoghi di partenza, ci salutammo tutti per nome, come dopo una numerosa riunione di famiglia. Come quelle cene di Natale in cui vengono proprio tutti, anche i nipoti che vivono in America…

Assente giustificato

Alla seconda edizione non sono riuscito a partecipare, non ricordo per quale impedimento, così quando ho ricevuto l’invito per la terza, ho subito fatto un circoletto con l’evidenziatore rosa intorno alla data sul calendarietto che tengo sulla scrivania. Il 25 e 26 settembre erano lontani ancora mesi, ma non volevo rischiare di scordarmene… Quando venne il momento, ci ritrovammo a Bardonecchia (anch’io con il cane, come Pippo!), seconda casa di Miglio e co. Difatti, complice anche il “fuori stagione”, la zona di Campo Smith si è trasformata per tre giorni, due dei quali benedetti dalla pioggia, in Thok City. Bagnati e contenti. Appagati dalle pedalate in quota, sopra il mare di nuvole da cui uscivano solo le vette più alte del confine Italia/Francia. E dalle discese con “passaggi interessanti“, come dice Stefano quando stai per mettere le ruote su un terreno ai limiti della praticabilità per i biker normali. E la consapevolezza che i Thokers (ma questo vale, senza distinzione, per tutti i biker) sono come dei bambini portati al luna park e lasciati liberi con free access everywhere, l’ho avuta il sabato, quando Thok City si è popolata di figure di fango con sorrisi a tutta bocca.
Il Tribe di Bardonecchia mi ha lasciato una sensazione molto bella. Mi ha riportato alla memoria gli anni del Triumph Day, in cui l’autodromo di Varano de Melegari indossava i colori del marchio inglese e veniva abitato dal suo popolo, in stile in realtà poco british… Oppure, per restare in tema due ruote a pedali, il Thok Tribe mi ha ricordato il Funky Day organizzato dalla “nostra” rivista Tutto MTB, nel 1998. Una geniale intuizione di Paola sull’onda dell’entusiasmo manifestato dal popolo del Tutto MTB Club. Per darvi un’idea di ciò che eravamo riusciti a mettere in piedi già alla seconda edizione, immaginate di pedalare in compagnia dei Froriders (Richie Schley, Wade Simmons e Brett Tippie), di Franck Roman, Jacquie Phelan sui sentieri del Finalese (quando ancora pochi li conoscevano) o di cenare fianco a fianco con Joe Breeze e Richard Cunningham (non quello di Happy Days, quello di Mantis…).

Ricetta che piace

Quest’anno, il Tribe, si è spostato ancora. Lo ha fatto sia per raggiunti limiti di capienza – avendo esondato dagli argini numerici della “festa privata” -, sia per volontà di aumentare sempre di più il piacere del riding. Ad accoglierlo è stata Molveno, con tutto il suo favoloso comprensorio di trail e bike park, che sconfina sull’altopiano della Paganella. Uno dei paradisi dei biker, mica pizza e fichi…
Il numero dei Thoker, limitato a 360 iscritti, è stato raggiunto in un battuto di ciglia, dal momento dell’annuncio della data sui social e a ingolosirli sono stati i soliti apprezzati e collaudati ingredienti. Villaggio/campo base (in riva al lago dell’acqua azzurrissima), tanto riding in compagnia di Miglio, Ambrogio, Stefano, Pippo e gli altri ragazzi di Thok, cena, festa e divertimento: la ricetta perfetta.
Per noi giornalisti, come al solito, la possibilità di un ride speciale il venerdì, su un trail così “incagnito” (in stile Mig), che nonostante il motore nessuno è riuscito a fare tutta la salita sui pedali… Ma, soprattutto, un cena con grossa sorpresa, al punto che prima di sederci al tavolo abbiamo dovuto giurare di non spifferare cosa Stefano e Ambrogio ci avrebbero mostrato e raccontato… (lo scoprirete anche voi, ma dopo l’estate e vi assicuriamo che l’attesa sarà valsa la ricompensa).
Il sabato, invece, giornata intensa di discese nei park di Molveno e Paganella, esperienza che ha aperto la porta di un mondo nuovo e divertentissimo in cui a ogni discesa apprendi qualcosa di nuovo, a cominciare dai nomi: Willy Wonka, Mad Max, Big Hero sono solo alcuni di quelli che ricordo.

Nomi e numeri

Domenica sveglia comoda, colazione da hotel trentino e cofano dell’Agila di nuovo in direzione casa. Mentre guido al piccolo trotto, con i finestrini aperti, faccio le mie considerazioni. Sono contento di aver vissuto un altro Tribe e, anche se non sono un Thoker, Stefano e la Stefy mi fanno sempre sentire come uno di famiglia. Rispetto alle precedenti edizioni (quelle più caserecce), questa volta ho vissuto meno la sensazione della “tribù”, vuoi per l’inevitabile crescita del numero dei partecipanti, vuoi per la naturale commistione con tutti gli altri turisti che nella bella stagione arrivano a Molveno. Dieci e lode, invece, alla qualità del riding e alla solita, deliziosa compagnia e disponibilità dei padri fondatori e dei loro discepoli, per i quali sarai sempre un nome e non un numero.

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.