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Tom Ritchey, il sogno americano

di - 03/09/2023

La storia di Tom Ritchey è un classico d’Oltreoceano. A tredici anni ripara gomme e bici nel garage dei suoi genitori. A quindici disegna e salda il suo primo telaio. Nei cinquanta successivi diventa uno dei riferimenti del mondo della bicicletta e oggi è uno dei pochissimi che ha ancora in mano il destino del suo marchio.
lo abbiamo intervistato in una lunga e divertente telefonata attraverso l’oceano.

Tom, perché ti piacciono le biciclette?

Credo che la bici sia la cosa che più si avvicina a un tappeto magico. L’unica altra cosa che nella storia è stata capace di catturare l’immaginazione degli uomini così tanto è il volo. E per me, la bici può regalare una sensazione davvero simile a quella che ti regala un volo. Inoltre, quando migliori nella guida e acquisisci esperienza, arrivi a un certo punto in cui ti sembra davvero di volare.

Come si fa a restare in sella alla propria azienda per 50 anni?

Il merito è delle persone che mi hanno circondato. Durante tutto il mio percorso ho sempre avuto degli ottimi collaboratori. Non è una cosa così scontata. Poter contare su un team composto da persone tutte orientate verso una direzione precisa e comune è fondamentale. Come potersi affidare a un gruppo composto da individui talentuosi e molto diversi, che portano ciascuna la propria esperienza e quindi una crescita costante e la sicurezza che stiamo seguendo la strada giusta.

Ti ritieni ancora un artigiano?

Certamente. Punto sempre a fare le cose con una visione sia moderna sia tradizionale. Credo che avere alle spalle 50 anni fatti anche di capacità di risolvere problemi e individuare soluzioni mi ha fatto capire che non c’è mai una sola, facile, risposta per qualsiasi cosa, ma una gran quantità di risposte che si ritrovano nel passato. Non sono molte le persone che hanno alle spalle così tanti anni di esperienza e il passato che ho io.

A parte quelle che fai per te, quante e quali biciclette escono ancora dalle tue mani?

Si tratta per lo più prototipi. Fondamentalmente bici esclusive per amici, familiari e per fini promozionali. Ne costruirò una molto presto, che ho chiamato Outback V3. E realizzerò anche nuovi accessori e componenti per questa bici. Quando riesco a saldare un telaio e a dare vita a un nuovo progetto, provo una intensa sensazione di felicità perché faccio ciò che più amo.

⌈Guarda il video del nostro Gravel Test⌋

Perché ti piace l’acciaio?

Ritengo che nulla sia vivo e bello come l’acciaio. È il materiale più autentico e genuino che ci sia. Se guardo indietro alla mia storia personale, posso dire che, qualsiasi cosa mia sia capitata e ovunque io mi sia trovato, non ho mai dovuto chiedere aiuto e rinunciare a continuare, perché sono sempre stato in grado di effettuare una riparazione. Con l’acciaio si può fare davvero qualsiasi cosa e con i materiali che ho trovato intorno a me sono sempre stato in grado di risolvere qualsiasi problema.
Credo che l’acciaio, non solo in termini di materia prima per costruire telai da bici, sia l’ultimo materiale nobile.
A questo proposito, mi è venuto in mente il vecchio spot pubblicitario di una catena di pizzerie. Lo slogan recitava: “The last honest pizza”… Ecco, posso immaginare che, come tutti gli italiani, sappiate benissimo giudicare se una pizza è buona davvero, quando la assaggiate. Sarebbe una cosa davvero gratificante essere in grado di farlo e soprattutto saper riconoscere anche quando è disgustosa (ride di gusto…)

Quali sono le difficoltà nel disegnare una bicicletta?

Ritengo che l’unicità di ciascun design sia sempre una sfida. È una combinazione di soluzioni moderne, fedeltà a determinate e precise specifiche, la sfida di sviluppare nuove metodologie come le microfusioni, gli attacchi flat mount e altre caratteristiche come per esempio i colori e le nuove richieste che provengono dal mercato. E integrare il tutto con i processi di realizzazione di tubi che vanno sagomati in modo da avere maggior luce per gli pneumatici è una nuova sfida. L’intero pacchetto è lo è sempre.
Perseguire la leggerezza nei differenti modelli, senza perdere di vista le moderne necessità è senza dubbio un grande obiettivo con cui misurarsi, ed è molto più interessante da affrontare lavorando con l’acciaio piuttosto che con la fibra di carbonio.

Qual è la bici alla quale sei più legato e perché?

È una domanda piuttosto difficile. In realtà non so quale sia davvero la mia bici preferita. Beh, ieri io e Mark stavamo pedalando in tandem lungo un percorso molto difficoltoso. A un certo punto ha cominciato a piovere forte, eravamo tutti inzuppati, sporchi… Mi sono messo a pensare alla bellezza del momento che stavamo vivendo insieme, un’esperienza intensa e profonda. Ecco, in quel momento, la mia bici preferita era di sicuro il tandem. Non credo di saper rispondere a questa domanda perché non esiste una bicicletta preferita, dipende dal tipo di esperienza che stai vivendo, dalla persona con cui la stai condividendo. Credo che a questo punto della mia vita, la bici si possa considerare secondaria rispetto a questi aspetti.

Quanto è importante per te continuare a pedalare e quali sono le bici con cui preferisci uscire?

Direi che è stato molto importante, per me ma non solo. Mi sento molto in forma in questo momento e lo è anche mia moglie. A 65 anni è una benedizione poter uscire in bici: ci fa sentire forti e bene. Mio papà ha 93 anni e cerca ancora di pedalare ogni giorno, ma deve fare i conti con il meteo… sai, vive nella East Coast.
Direi che continuare a pedalare è vitale, proprio come lo è mangiare. E poi mi piace ancora molto andare in bici e cerco di farlo spesso.

Quanto è stato importante il mondo delle gare? Lo è anche oggi?

Il mondo delle corse definiva ogni cosa e ogni aspetto dello sport. Il mondo delle gare è unico e stabilisce, in termini di tecnologia su cui puoi contare, la capacità di raggiunge qualcosa che ti sei posto come obiettivo. Credo che attualmente l’ambiente delle competizioni sia molto più affollato e che ci sia troppa burocrazia. La burocrazia, in un certo senso, rovina tutto. Le persone creano regole ma realmente non capiscono cosa stanno facendo. È un passo ulteriore in una direzione che non mi piace, rispetto ad anni in cui le gare eraano il momento in cui si rompevano le regole. Le persone che creano le regole sono gli ingegneri, degli “antiscenziati”, e lo sport deve invece essere proprio il momento che serve a superare le barriere e infrangere le norme in termini di evoluzione dei materiali, dei mezzi e anche delle prestazioni.
È quello che invece sta accadendo oggi graazie al Gravel, alle biciclette per praticarlo in tutte le sue diverse sfaccettature e alle gare. Un mondo che si sta sviluppando fuori dai paletti e dai confini.

Si può ancora costruire una bella bici senza chiedere a un computer come farla?

(Sorride…) Certamente! Credo tu ti stia riferendo in modo particolare alle bici costruite in fibra di carbonio. È una delle strade che il mercato ha preso e lì le cose funzionano così. In realtà i computer sono molto utili quando si tratta di realizzare un prototipo in 3D, di progettare uno stampo o una lavorazione a CNC. Posso dire che la storia di Ritchey è diversa. La nostra storia è fatta di fabbricazione, di esperienza. Il tocco umano è migliore di un computer, e non dimenticare che il computer ha bisogno degli imput dell’uomo: bisogna sempre dirgli cosa fare e da solo non potrà mai disegnare una bicicletta. A me piace guardare la natura, ogni animale è una macchina perfetta, che si è evoluta adattandosi, grazie all’esperienza. A me piace lavorare così, scegliere la strada più lunga e, forse, anche meno facile.

È più difficile costruire un bel telaio o un buon componente?

Direi che si tratta di una risposta molto simile. Realizzare buoni componenti richiede molta storia alle spalle e, soprattutto quando si tratta di sviluppare componenti complicati, la velocità alla quale avanza il mercato è la vera sfida. Non importa che tu sia una grande azienda come Shimano o Sram, o una piccola realtà come Ritchey. Un buon componente deve possedere un’ottima affidabilità. Per sviluppare componenti occorre confrontarsi con diversi parametri orientati all’ottenimento di prestazioni e affidabilità, e credo che l’esperienza sia il miglior strumento per costruire prodotti performanti e affidabili. Non importa che si tratti di pedalare da 50 anni o di avere 50 anni di consapevolezza nel design e sviluppo. Se parti da un livello più alto, evolverai più in fretta il tuo design e raggiungerai in tempi più rapidi anche una grande affidabilità.

Quali sono stati i passaggi più importanti nell’evoluzione della bicicletta?

Bella domanda… Osservando i telai, in senso moderno, per me una grande pietra miliare sono state le tubazioni Logic.
Ho saldato almeno un migliaio di bici prima di progettare una serie di tubi che rispecchiassero le mie idee. Sino ad allora le cose erano rimaste immobili per decenni. Certo, in giro c’era del buon acciaio, ma i nuovi tubi Logic segnarono un cambiamento radicale grazie alle tecnologie degli spessori differenziati e dello studio della direzionalità delle forze. Credo di non esagerare se dico che è stato grazie a quella pietra miliare se oggi si possono disegnare bici in acciaio così complesse. Un altro passaggio importante è stato lo sviluppo delle gomme Z-Max e la Vector Force Analisys che lo ha ispirato. Il senso di rotazione, il disegno parabolico dei tasselli. Tutte cose che non solo erano nuove per il mondo della bicicletta, ma addirittura per quello delle auto e delle moto. Poi i cerchi asimmetrici OCR, un’altra piccola rivoluzione, che si sarebbe dimostrata sempre più preziosa negli anni a venire. Già a quei tempi, con cassette a soli 5 e 6 pignoni, era difficile tensionare bene i raggi, pensa oggi che siamo arrivati a 12 e non è finita… Anche se attualmente Ritchey non è depositaria della tecnologia e tutti gli altri marchi usano cerchi asimmetrici, sappiamo bene dove tutto ha avuto inizio. Anche la trasmissione 2×9, che ha poi sostituito la “tripla” nella MTB e che è sfociata nella “singola”. Ci sono idee che si impongono, poi passano e ritornano anni dopo. Una rivoluzione non sempre si trasforma in un’evoluzione, e solo queste diventano passaggi chiave della storia della bicicletta.

Cosa ti piace e cosa non ti piace nell’evoluzione del mondo della bicicletta, in termini di prodotto e mercato?

(Sorride…) Non mi piace l’evoluzione guidata dal marketing e dalle vendite. Lo sviluppo dei prodotti è una cosa seria e deve essere anche affrontata con una certa sobrietà. Deve procedere in modo graduale e metodico. Non credo alle novità “splash”, a effetto, costruite per far colpo. È un modo di fare che non condivido, un cane che si morde la coda. Ci sono piccole realtà come la nostra che hanno dato contributi molto importanti all’evoluzione della bicicletta, ma non hanno un marketing paragonabile a quello dei grandi brand, quindi il grande pubblico non ha idea di ciò che abbiamo fatto.

Il Gravel ha dato un nuovo e grande slancio al mondo della bici. Cosa ne pensi?

La mia sensazione è che la sua attuale popolarità sia una sorta di sviluppo circolare, perché rappresenta davvero i miei inizi. Ero sempre molto combattuto nello scegliere tra le corse su strada e il gravel, tra le gare e l’off-road. Agli inizi, pedalare fuoristrada era una parte importante del mio allenamento. Una bici era destinata a essere usata in tutte le condizioni, sia sull’asfalto sia sullo sterrato. Facevo off-road proprio agli inizi della mia carriera, 50 anni fa, e constatare che il ciclismo ha un ritorno di popolarità proprio grazie alla riscoperta di questo modo di viverlo è molto gratificante, molto importante per me, specialmente nel territorio dove vivo. Sapere che il ciclismo e il gravel sono stati riscoperti e la loro importanza perdura nel tempo soddisfa nel profondo l’animo umano.
Pedalare su strada è bello e divertente nella misura in cui si riesce a evitare il traffico, diventato insopportabile per l’esperienza che si vive in bici. Non c’è niente di più odioso che raggiungere con le proprie forze un luogo meraviglioso e trovarsi a contatto con un mondo che strepita ed è anche pericoloso.
L’augurio che faccio è che il mercato del Gravel regali alle persone ottime bici con cui andare a pedalare e divertirsi su percorsi straordinari e senza traffico.

Foto: Ritchey Design, Inc.

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.