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Wavegarden Dystopia

di - 09/09/2014

Si sente molto parlare di Wavegarden, in molti lo sognano, per alcuni è forse diventato un incubo

A cura di Tommaso Mammini

La frenetica ricerca dell’onda perfetta ha mosso l’ingegno dell’uomo. Tutto è iniziato con i simulatori di onda da parchi acquatici e crociere fino ad evolversi in qualcosa di più serio. Un’onda vera, anzi due, una destra e una sinistra perfette. Il sogno di ogni surfista. Il Wavegarden sembra questo. Certamente l’onda perfetta tutti i giorni, a tutte le ore e con tutte le condizioni meteo potrebbe fare gola a molti. Si apre quindi un forte dibattito tra due correnti di pensiero, che vedono rispettivamente in queste macchine una totale negazione di ciò che il surf rappresenta, ma allo stesso tempo una grande possibilità di crescita di questo sport in paesi a bassa frequenza di onde come il nostro.

In Italia un progetto del genere porterebbe sicuramente ad una grande crescita di atleti veri e propri, capaci di eccellere a livello europeo e perché no, internazionale. A quale prezzo? Due aspetti che non possono essere sicuramente trascurati sono quello economico e quello strettamente affettivo. Partendo da quest’ultimo è interessante vedere le reazioni delle comunità surfiste in paesi in cui il Wavegarden è diventato una realtà. In molti lo criticano, in molti ritengono che il surf non possa essere un qualcosa comandato dalle macchine. In effetti il surf è forse di quanto più lontano dalla comune definizione di sport, è una passione. Non è mai qualcosa comandato dall’uomo, è l’uomo che si adatta alla natura, l’uomo che cerca il più possibile di contrastarne la forza e di apprezzarne la bellezza.

C’è chi ha definito le onde come il parco giochi di Dio. Ecco non c’è da stupirsi se allora in molti si sono detti contrari alla realizzazione di un qualcosa che l’uomo adatta a sé. Addio sveglia all’alba, addio chilometri in macchina da soli o con gli amici, addio ricerca delle condizioni migliori, addio delusioni da giornate di piatta e addio attese frenetiche. L’onda in sé è bella perché non è un qualcosa di sicuro, è in costante cambiamento. Anche nello stesso spot, con lo stesso vento e lo stesso fondale ogni volta sarà una sorpresa. La soddisfazione di sapere che l’onda dopo può essere ancora più bella di quella prima è ciò che spinge ogni surfista ad entrare in acqua a prescindere da tutto.

Come ci si può allora immaginare di uscire di casa come per andare in palestra dopo la scuola o il lavoro, cambiarsi in uno spogliatoio ed entrare in acqua? Niente più sale sulla pelle, niente più freddo, niente più fatica per raggiungere la line up. In un mondo in costante cambiamento e in apparente miglioramento forse è bene lasciare qualche cosa al suo posto e il surf dovrebbe essere una di queste. Certo poi a chi è favorevole all’apertura di un Wavegarden in Italia, andrebbe posta la seconda questione, quella economica. In Italia si sa, le amministrazioni comunali e regionali non dispongono di una quantità infinita di soldi e l’idea di investire in un progetto che riguarda il surf non è la più apprezzata. Ah perché si fa surf in Italia? Ebbene sì, ma non per questo se ne ha una grande considerazione. Il popolo surfista è visto come dalla pubblicità del simpatico Pif, qualcuno così strano che si diverte solo con l’acqua fredda. Allora perché andrebbe finanziata un’opera del genere? Si parla di un investimento non da poco. Gli inventori e costruttori del Wavegarden parlano di 3 milioni di dollari solo per la costruzione del macchinario e della piscina, senza considerare poi le spese per le infrastrutture. Il guadagno futuro non è assicurato, ma prevedibile. Con l’aggiunta di ristoranti e palestre diventerebbe una sorta di circolo sportivo.

La possibilità di avere onde a poca distanza da casa e sempre era stata presa in considerazione da qualcuno; Circa tre anni fa su Facebook era nata una pagina chiamata Wavegarden che si proponeva come portatrice della struttura in Italia. Dopo averla seguita, averne seguiti gli aggiornamenti e il tentativo concreto di realizzare l’opera, improvvisamente non se ne è più parlato. Tanto l’interesse, ma poca la concretezza economica. L’unica speranza sarebbe forse quella di trovare un ricco imprenditore disposto ad investire, perché i fondi pubblici praticamente non esistono e sarebbe difficile per qualcuno vedere i soldi delle tasse finire in un’opera così costosa e per molti così inutile. Non sarebbe meglio concentrare le finanze per la tutela del mare? Evitare di costruire scogliere artificiali davanti agli spot migliori, finanziare attività di pulizia delle spiagge come recentemente avvenuto? Il frenetico bisogno di onde non deve indurre ad una rivoluzione totale del surf. Poi basta stare tranquilli, le onde prima o poi arrivano, la frequenza non sarà altissima, ma tra webcam, previsioni sempre più accurate e passaparola le session decenti sono sempre più assicurate.

Tommaso Mammini