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Dinamo e i ragazzi della Palla

di - 18/06/2019

Testo: Michele Cicoria, Lucio Vardabasso e Claudio Zanotti
Foto: archivio Dinamo surfboards

E’ una sera di inizio autunno, la prima mareggiata fredda da N-E ha spezzato l’estate ottobrina che insisteva ormai da troppo tempo in costa est. Dopo una bella session in uno spot non lontano dalla foce del fiume Metauro, a Fano, ad attendermi un’altrettanto bella serata in compagnia di Lucio e Claudio, pronti a narrare con un pizzico di nostalgia la storia di una scena surf tra le più prolifiche della costa est.
Come molti episodi surfistici italiani degl’anni ’80 anche quello cresciuto attorno alla Palla di Pomodoro, in quel di Pesaro, nasce da un gruppo di ragazzi emozionati dopo aver visto “Un mercoledì da Leoni”.

Lucio, Filippo, Claudio, Filo, Alberto, poi il giovanissimo Chicco e di seguito gli altri, tutti ragazzi poco più che adolescenti…la prima tavola di Lucio è arrivata dalla Prochima, azienda chimica dell’entroterra che produceva tavole da windsurf e per sbaglio aveva realizzato un modello senza longherone. Lucio, appena 16-enne, lo comprò nel 1987 per poi riverniciarlo con colori fiammanti. Parallelamente, in pieno centro a Pesaro, di fronte al monumento realizzato da Arnaldo Pomodoro e posizionato per la prima volta a pochi metri dal mare nel 1971, durante le giornate di scirocco srotolavano destre lunghe, potenti e praticamente perfette.

Lucio cominciò a surfarle seguendo le orme di Filippo Sparacca e Alberto Gelsi, due tra i primi surfisti di Pesaro; quest’ultimo lo aiutò poi a costruire la prima vera tavola in polistirolo e resina epossidica (tagliata rigorosamente con la sega a motore).
La passione per il surf di Lucio aumentava costantemente insieme a quella per lo shaping e durante il servizio militare subì una svolta importante, essendosi trasferito a Roma. Lucio conobbe Fabio Giacomini, uno dei primi shaper italiani e con grande esperienza, il quale gli insegnò alcune tecniche; così, terminato l’obbligo di leva si trasferì per due anni a Roma per svolgere uno dei primi tirocini italiani in “shaping” presso la factory Pike.
L’idea del simbolo del pupazzo di Dinamo si sviluppa grazie all’estro di Claudio Zanotti, grafico che oltre a curare l’immagine del brand svolgerà anche un periodo lavorativo in shaping room. Nel contempo Lucio inizia a mandare fax all’estero per formarsi ancora meglio con altri tirocini, riceve l’ok dalla CHP (California Hawaii Promotions) e dalla local motion surfboards Australia. Così anche per lui inizia l’avventura nell’emisfero meridionale, 6 mesi di lavoro e surf in Australia. Dopo il suo rientro passa poco tempo prima che da un capannone dell’entroterra nasca la factory Dinamo surfboards. Un’azienda bella, produttiva e molto conosciuta in Italia, la storia di shaping più importante della costa est, un’attività imprenditoriale durata 6 anni.

Un articolo su Dinamo Surfboards nelle primissime edizioni di Surfnews Magazine

Il web non esisteva negl’anni ’80 – ’90, così per farsi conoscere Dinamo inizia ad investire nella carta stampata (Surfnews e Surf Latino) e parallelamente con la creazione di un surf team, sponsorizzando numerosi riders provenienti da tutta Italia.
All’inizio Lucio shapava da solo ma con la crescita della domanda ben presto assume diversi collaboratori partendo proprio da Zano (Claudio Zanotti). Negl’anni a seguire si sono alternati mediamente due dipendenti oltre al titolare della factory, ognuno diviso fra compiti diversi che comprendevano progettazione, carteggiatura, stesura e resina.
La gamma dei modelli Dinamo contava tavole funboard, mini malibu, fish e le tavolette super tirate richiestissime a quell’epoca le quali purtroppo, non adattandosi al tipo di onde mediterranee, rallentavano la curva di apprendimento del cliente.
I competitor principali in quel periodo erano pochi ma tra i più importanti a livello italiano c’era X surfboards, mentre la concorrenza sleale iniziava ad affacciarsi a causa di importatori improvvisati, personaggi che ordinavano container interi di tavole low cost dal Brasile. Ma Lucio si era comunque creato un nome importante e un bel mercato, riuscendo così a vender bene soprattutto tra Liguria e Toscana. Per dare qualche numero la factory ha prodotto, durante il suo apice, circa 380/400 tavole all’anno ed al termine della sua storia si contavano un totale di circa 1350 surfboards shapati.
Per fortuna oggi possiamo anticiparvi anche una buona notizia: il nome Dinamo surfboards non esiste più ma lo shaper dietro questa bellissima realtà è ancora attivo e più motivato di prima! Presto vi presenteremo il nuovo progetto nato sempre da Lucio Vardabasso…stay tuned! 

Lineup della Palla in una giornata di onde da S-E

Palla di Pomodoro. Il main spot pesarese probabilmente ci ha messo del suo per la crescita della factory Dinamo; perché in fondo per il surfista, dietro una buona attività, è quasi indispensabile che ci sia anche un’onda di qualità. I ragazzi della palla hanno scoperto lo spot in modo atipico, poiché prima erano abituati a surfare altre secche nella zona. La prima volta di Zano è stato un momento ancestrale, uno spot scoperto grazie alla “colonizzazione” di alcuni surfisti provenienti dal ravennate. Un allora perfetto forestiero su una destra da 1 m lunghissima, proprio di fronte casa, in una giornata in cui non saresti passato a vedere lì. Da quel giorno sino alla chiusura dello spot Claudio e gli altri ragazzi della palla non hanno perso alcuna mareggiata. La baia, circondata da scogliere, funzionava sia con swell da S-E sia con mare dal N-E: nel primo caso a destra della palla srotolavano destre lunghissime di discreta potenza e con ottima parete, specie nelle giornate con mareggiata formata; nel secondo caso si surfava sul lato sinistro della baia, dove generalmente si formavano onde più corte (destre e sinistre) ma altrettanto potenti grazie al buon dislivello del fondale nell’inside.
Tante le giornate da calendario vissute nel city spot: quando la mareggiata da S-E era buona sembrava di essere in California, con un folto pubblico sempre presente sulla passeggiata ed una crescita costante di una nuova consapevolezza, quella che “in Adriatico si poteva fare surf”.

90′ style

Ma anche le storie belle, a volte, sono destinate a finire. Il declino della Palla è stato abbastanza lento e doloroso: dalla sinistra della baia è iniziata a comparire senza troppi preavvisi la nave draga, che giorno dopo giorno integrava la scogliera semi-soffolta appena nata. La linea di chiusura parallela alla costa aumentava lentamente ma in modo inesorabile e molti surfisti la percepivano, al contrario, come l’apertura di una ferita da taglio.

La baia si chiudeva sempre di più ma, essendo a fine stagione estiva, le mareggiate da scirocco iniziavano ad entrare con maggiore frequenza: in lune-up si creava una dicotomia quasi perfetta. Da un lato il molo soffolto che chiudeva la baia, dall’altro i surfisti che godevano del poco spazio ancora aperto, in grado di lasciar entrare le destre portate dallo scirocco.
Un periodo molto triste per tutta la comunità surf pesarese, per Zano è stato come assistere agli ultimi giorni di un malato terminale.
Dopo la chiusura della Palla la comunità surf locale si è un po’ disgregata, divisa fra chi ha smesso e chi è stato costretto a ripiegare su altri spot distanti dall’epicentro pesarese. Ma il pensiero di quell’onda non si è mai cancellato in ognuno di loro. Mentre i riminesi e ravennati, che si spostavano volentieri per surfare la Palla, sono rientrati nei loro home spot, la comunità di Pesaro si è alternata fra le secche di Cattolica, Fiorenzuola e Fano.

Claudio Zanotti alla Palla in copertina su Surfnews Magazine

Mentre finisco la birra offerta da Lucio negl’occhi dei ragazzi, ormai un po’ cresciuti ma con i ricordi così lucidi che sembra ieri, noto un mix tra sconforto e illusione; il vuoto creato dalla morte di uno spot così bello non è stato certo colmato.
Tale vuoto è stato trasmesso alla mia generazione ed i ricordi di giornate epiche ancora riecheggiano nelle menti di molti. E’ anche per questo motivo che di recente è nata una speranza chiamata Surf x Pesaro: un gruppo facebook (CLICCA QUI) che conta oltre 3,000 iscritti, il cui motto è “Less rocks, more surf”.
Zano, Lucio, io e tutti gli altri, partendo da Rudy e Diego, ci crediamo in un ritorno della palla. La speranza è dettata dal fatto che in questo contesto, oltre al danno procurato dalla messa in opera della scogliera, c’è anche la beffa: mentre l’amministrazione locale pensava di risolvere il problema dell’erosione costiera nulla è cambiato dal giorno di chiusura della Palla, la spiaggia che tanto si sperava tornasse non si è allargata.

Oggi noi tutti stiamo facendo voce grossa per far togliere queste inutili scogliere, poiché nulla si è guadagnato ma molto si è perso. Mentre la surfabilità di Pesaro è scomparsa da molti anni, altre realtà in giro per l’Italia hanno sfruttato le onde di casa per aumentare l’indotto turistico, specie in un contesto di destagionalizzazione.
Realtà come Levanto, Varazze, Santa Marinella, Livorno e un po’ tutta la Versilia sono solo alcuni degli esempi che, soprattutto da ottobre a maggio, sfruttano il surf da onda per riempire le strutture alberghiere limitrofe e far mangiare i tanti surfisti affamati, provenienti da molte regioni italiane e da Francia, Svizzera ed Austria.
Anche l’Adriatico ha una storia profonda, anche l’Adriatico può vivere meglio grazie al surf.
Less rocks, more surf.

Leggi anche: Il Surf a Pesaro (di Filippo Sparacca)

Claudio Zanotti
Palla Di Pomodoro nelle vecchie cartoline di Pesaro
Lucio Vardabasso e Claudio Zanotti oggi

La Factory
Filippo Contardi
Filippo Sparacca
Chicco alla Palla