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Friends will be friends (right till the end!)

di - 29/11/2020

Il surf è senz’altro uno stile di vita, o almeno lo è stato per me: per natura tendo a rifuggire dagli sport di squadra e dalle attività che vedano coinvolte più di una persona (me incluso), ma il surf ha rappresentato in maniera concreta qualcosa di più profondo, mi ha offerto molto di più rispetto ad una qualsiasi attività sportiva.

Se vogliamo dire che il surf ha anche una funzione sociale, per me possiamo anche dirlo: il legame tra il surf e la costruzione di nuovi rapporti di amicizia, secondo il mio punto di vista, è una costante. Senza voler scendere nel filosofico credo che dipenda in parte dal fatto che è una attività il cui svolgimento e le cui regole sono lasciate ai surfers e tanto più questi sono corretti l’uno verso l’altro, tanto più la comunità in acqua ne beneficia. La correttezza e la gentilezza hanno sempre funzionato e quando si accoppiano tra loro sovente partoriscono l’amicizia.

Mettiamoci poi il tempo che si passa a chiacchierare tra un’onda e l’altra, il fatto di trovarsi al tavolo di fianco a mangiare una pizza dopo la session, i viaggi, gli scambi di informazioni, il fatto che sia uno sport dove per imparare è altamente raccomandabile se non necessario avere qualcuno che ti fa da tutor, insomma, anche per il più sociopatico degli orsi è difficile sfuggire alla naturale funzione aggregante che il surf porta in dote.

Una delle tante, impagabili amicizie che mi ha regalato è quella con Enrico, figura mitologica e piuttosto nota del surf italiano, e non solo, grande amico ormai da quasi trent’anni.

Enrico, conosciuto come Henry, lo zio Henry o Il Zio per i più intimi. Ben oltre il metro e novanta con un fisico da world wrestling federation e il viso da attore ammeregano, Henry si trasferì in tempi non sospetti in Sardegna, dove ci incontrammo. Fu un incontro del tutto casuale, amicizia a prima vista.

Le cose andarono più o meno così: a quell’epoca ero nel pieno della mia attività surfistica e passavo l’estate in Sardegna dove avevo casa sulla costa nord.
Avevo iniziato a fare surf in una spiaggia che consideravo “mia”, perché a parte l’unico surfer che avessi mai visto occasionalmente (un tizio di Genova, grazie al quale mi venne l’idea di provare) non avevo mai visto nessun altro con una tavola.

C’era, è vero, un bravo windsurfer resident che usciva in windsurf con le onde di maestrale, ma nei due mesi che passavo lì (luglio e agosto, bei tempi dell’Università) allora uscivo solo io a surfare, o almeno così credevo.

Il fatto di frequentarla assiduamente dal ’78 poi mi dava questa sensazione di essere un local: allora non era usuale incontrare altri surfisti anche perché il posto regala un colpo d’occhio magnifico ma il fondale sabbioso non produce un’onda di particolare qualità, onda che però conoscevo come le mie tasche.

Una mattina di luglio, con maestrale attivo, mi organizzo e decido di uscire. Lo spot è all’interno di una baia piuttosto profonda e protetta anche con vento attivo: a patto di avere voglia di fare fatica, si possono surfare delle vere bombe. Arrivo sullo spot e come sempre in acqua non c’è nessuno: la spiaggia oggi è attrezzata con bagni, bar e scuola di surf, ma allora non c’era assolutamente niente e le persone che venivano in spiaggia in giornate come quelle potevano essere qualche decina al massimo.

Dario ed Enrico (a destra)

Con la solita frenesia e un pizzico di paura mi preparo, chiudo la macchina, chiave al collo e via: osservo per qualche minuto le serie e decido di andare a prendere le onde più grosse che rompono a centro baia. Sono quelle più regolari. Lo spot non offre delle onde molto ripide, fa tanti close out, ma la quantità di acqua che muove il fondale è impressionante.

Mi butto nel canale e quasi subito sono dietro il primo picco. Remo ancora e dopo un po’ mi trovo molto fuori, praticamente a centro baia: sono uscito con il long pintail Takayama, inconfondibile, facente parte del famoso lotto di venti tavole che Nat Young portó in Italia durante il suo tour per Oxbow (leggi la storia QUI). Ad un certo punto sulla spiaggia semideserta vedo uno in lontananza con un longboard sotto braccio che sta entrando nell’altro canale, in pochi secondi è già a livello della line up e sta remando verso il picco. La cosa accende la mia curiosità, è una novità, ma non riesco a non pensare “E adesso chi caz..”!

Lo vedo arrivare e mi sembra di notare una certa spavalderia: non c’era aggressività nei nostri atteggiamenti, ma comunque ci stavamo indubbiamente annusando il culo a vicenda. Stiamo remando l’uno verso l’altro, proprio non lo riconosco… ma quando mi avvicino vedo che ha una tavola come la mia… Lui si ferma a una decina di metri, ricambia lo sguardo e capisce esattamente a cosa sto pensando!

E’ allora che scoppiamo simultaneamente a ridere… “ma c’eri anche tu??” “si, anche tu??” Incredibilmente, nonostante la stazza e la prestanza fuori dal comune, non lo avevo visto al week end con Nat Young in Versilia ma andando a spulciare le vecchie foto poi in effetti lo trovai. Fu l’inizio di una grande e indissolubile amicizia, nonostante la differenza di età e la lontananza.

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, Il Zio oggi è prossimo ai sessanta e in quella spiaggia non ci viene più. Non ha digerito i cambiamenti e l’affollamento che si è creato, ma va anche detto che oltre a vivere in Sardegna e avere a disposizione tutti gli spot per tutte e quattro le stagioni non si risparmia anche qualche viaggetto: non gli mancano senz’altro le alternative.

Purtroppo un paio di anni fa è uscito anche da Facebook, ma ne abbiamo fatte di cotte e di crude, ci siamo frequentati parecchio nei mesi estivi e ci siamo visti anche a Milano. Una vera amicizia che spero possa durare per altri trent’anni, quando lui ne avrà novanta e io ottanta e ci troveremo ancora in spiaggia a dirci quanto sono stronzi gli ultimi arrivati che infestano la line up.

In ogni caso, mi toccherà chiamarlo.

Mammifero di sesso maschile della specie "homo sapiens", sottospecie "goofy foot" (ricordiamo che i goofy sono stati creati dalla scintilla divina, mentre i regular discendono per linea evolutiva dalle scimmie). Esploratore entusiasta classe 1972, ho iniziato a fare surf verso la fine degli anni 80 e ho avuto la fortuna di conoscere delle persone straordinarie e di condividere con loro parecchie esperienze dentro e fuori dall'acqua. Ho un approccio multidisciplinare con tantissimi interessi diversi: vivo a Milano (non ridete) dopo diversi anni passati all'estero come manager di aziende italiane e mi occupo tutt'ora di direzione aziendale. Scrivo di design, altra passione che si unisce alla professione, e da poco grazie ad una "sliding door" anche di surf. A volte prendo dentro, e me ne scuso, ma si vive una volta sola, se vi offenderò non ci sarà niente di personale.