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Dino Lanzaretti, la curiosità è il motore

di - 25/08/2022

Sono un cicloturista professionista…” Lo dice con orgoglio, Dino Lanzaretti, che in questa lunga intervista ci fa capire quanto sia facile alzare il sedere dal divano, posarlo su un sellino e partire. A patto di essere curiosi e avere tutto l’entusiasmo che traspare da ogni suo pensiero.

È nata prima la passione per il viaggio o quella per la bicicletta?

Quella per la bici è abbastanza recente. Ho sempre amato viaggiare. Ho fatto un sacco di viaggi zaino in spalla, seguendo le grandi mete che ho sempre sognato, dall’India al Messico. Il motore sono sempre state le passioni: mi piacevano lo yoga e il Vasco Rossi che cantava “vado in Messico…”.
Poi è arrivato l’alpinismo. Ho cominciato a fare spedizioni in giro per il mondo, dall’Himalaya alle Ande, ma senza troppo successo perché avevo cominciato tardi. Poi un giorno in India ho incontrato una ragazza che si muoveva in bicicletta e ho capito che si poteva farlo anche così. Una volta tornato a casa, ho ripreso a lavorare per mettere da parte dei risparmi (tutti i miei viaggi li ho sempre pagati con i soldi guadagnati lavorando), e qualcuno mi regalò una bicicletta da 50 euro. Non avevo mai avuto una bici, se non da bambino, così quella fu la mia prima vera bici, e dopo una settimana passata a pedalare, con le piaghe sul sedere, ho capito che sarebbe stata la cosa che avrei fatto per il resto di miei giorni.

Se il tuo incontro in India, invece che con una ragazza, fosse stato con un ragazzo, sarebbe andata ugualmente così la storia o il fascino femminile ha avuto il suo peso?

Guarda, anche i ragazzi tedeschi con il sandalo e il calzino che vedevo pedalare sul Lago di Garda, con le bici cariche di borse, mi avevano fatto effetto. Certo, non proprio lo stesso effetto: là eravamo in India e lei era una ragazza bellissima, israeliana (che è poi diventata la mia fidanzata…), quindi le cose hanno preso quella piega. Ma è stata una cosa totalmente casuale, non esistevano siti Internet che parlassero di viaggi, anzi non c’era nemmeno Internet. Tutto si apprendeva on the road e quell’incontro è stato una somma di concause, una fortuna. Insomma, un gran culo…

Qual è stato il tuo primo vero viaggio in bicicletta?

Di solito, lavoravo sei mesi per mettere da parte i soldi per poter scalare una vetta. Una di quelle che non richiedevano spedizioni costose, quindi di solito Sudamerica. Al ritorno da una di queste, avevo ancora del tempo, così ho deciso di fare un viaggio in bici. Ho comperato per una somma ridicola un biglietto per Bangkok, che a quei tempi era il centro del mondo, e oltretutto lì era possibile fare i visti per tutti i Paesi confinanti. Così sono partito, da solo, senza sapere bene cosa mi avrebbe aspettato, ed è finita che ho passato 8 mesi nel Sudest Asiatico con una bici da 50 euro, le borse legate dietro in qualche modo, delle mappe praticamente inutili da 1:2.000.000… Sembravo uno scappato di casa. Anzi, ero uno scappato di casa! In quel bellissimo e, nonostante tutto, facilissimo viaggio, ho capito molto di come ci si deve muovere in bicicletta. Ho capito che se non sai qual è la strada per raggiungere il confine con il Laos, basta chiederla e, per la prima volta, sono rimasto sconvolto da quanto sia facile entrare in contatto con le altre persone se si viaggia in bicicletta. Cosa che non succede con qualsiasi altro mezzo.

Quando ti muovi in bicicletta, spacchi le catene del turismo e diventi un VIAGGIATORE. La gente capisce che sei arrivato lì con le tue gambe, con la fatica, il sudore, senza una lira. E questo ti apre davvero le porte delle case di qualsiasi popolo, in qualsiasi parte del mondo.
Poi, una volta tornato a casa dal primo viaggio, ho pian piano cominciato a fare l’upgrade in fatto di mezzo e attrezzatura. Ho iniziato a scegliere mete più esotiche, scomode, difficili, e da allora non mi sono più fermato.

Secondo te, dunque, la bicicletta è il vero strumento da viaggio?

Sì, assolutamente. Guarda, li ho provati tutti, ma come la bici non ce n’è. Non esiste un altro mezzo così onesto, che ti permette di portare la casa con te e di percorrere così tanta distanza in un tempo relativamente veloce. Io sono tornato dal mio viaggio in bici in Siberia dopo un anno: credo che a piedi non sia fattibile, perché ce ne vorrebbero cinque. E poi, la bicicletta è anche il mezzo più curioso, quello che richiama di più l’attenzione. Io non ricordo di qualcuno che non abbia risposto a un mio saluto per strada o che qualcun’altro non mi abbia chiesto chi fossi, da dove venissi e cosa ci facessi lì. La bicicletta, spesso, ha anche un effetto stupefacente: ci sono genti che non ne hanno mai vista una, e quando arrivi nel loro villaggio diventi subito un personaggio.

Cosa ti ricordi di più del tuo primo viaggio? È vero che la prima volta non si scorda mai?

In realtà, non mi scorderò mai nessun viaggio e nessuno dei suoi momenti. Quando vivi emozioni così intense, queste vengono incise a caldo nella tua memoria. Non è come un martedì di luglio in ufficio, che non ti ricorderai mai cosa hai fatto. La fortuna di chi viaggia e vede luoghi e persone sempre diversi è che associa i suoi ricordi a tantissimi episodi differenti, quindi per me è facile ricordare cosa ho mangiato a Ulan Bator il giorno che ci sono arrivato, perché è stato un giorno particolare. Non ti scorderai mai i giorni che hai vissuto in viaggio.

 

La cosa che ricordo più distintamente del primo viaggio è la facilità. Andare in bici è facilissimo, puoi andare dove vuoi, sei tu che decidi quanto lontano e veloce. Non sei un’alpinista che deve per forza saper fare un 7a se vuole percorrere una certa via. La libertà assoluta. Di quel viaggio ricordo anche quanto fossi inadeguato. Una sella sbagliata, che ancora ho le cicatrici, manubrio sbagliato, bici sbagliata… Ricordo che avrò bucato quaranta volte, ora faccio giri di mesi senza una sola foratura.

Preferisci viaggiare da solo o ti piace anche la compagnia?

Ho fatto tantissimi viaggi in solitaria, ma ho anche viaggiato molto in compagnia. Tant’è che adesso ho un’agenzia proprio per portare in giro le persona e fare viaggi sul tipo dei miei. Sono andato verso l’India in tandem con un amico non vedente, ho attraversato l’Africa con una fidanzata e il Centro America con un’altra fidanzata, sono appena tornato dalla Siberia dove ho pedalato insieme al mio socio Stefano.
Tieni conto che viaggiare da solo è molto più facile, perché non devi scendere a compromessi con nessuno, devi badare solo a te stesso, e qualsiasi decisione è solo tua. A differenza di quello che dicono tutti nei loro racconti, dove “solo” fa figo, per me “solo” vuole dire libertà assoluta. Trovo che viaggiare in due sia estremamente più complesso.

Avere una persona con cui condividere sia le emozioni sia le difficoltà non aiuta?

Io adoro tantissimo una cosa come l’altra. Non mi sono mai stato antipatico, quindi da solo sto veramente da Dio e quando progetto dei viaggi da solo, so esattamente cosa sto andando a fare. Ho tanta esperienza e un background che aiutano molto. Anche quando sono stato in Siberia, e ho fatto una cosa che mai nessuno aveva fatto, sapevo cosa mi aspettava. Avevo messo insieme l’equipaggiamento giusto, quello più figo che c’era. Ci sono certe volte che mi godo un tramonto meraviglioso nel deserto tanto da solo quanto in compagnia, sono due facce della stessa medaglia e adoro tantissimo entrambe.

Ora porto clienti in posti in cui da solo mi sono commosso e mi accorgo che si commuovono anche loro. Le emozioni le cogliamo dalla potenza della natura o dagli incontri con le persone, e ti posso garantire che gli incontri con le persone, se sei da solo, sono di più e più intensi. Da solo ti basti. Due persone sono già un gruppo. Se entri in un ristorante in Cina in due, fai due chiacchiere e finisce li, se entri da solo tiri su un mercato, fai un casino che arriva il mondo. Il fatto di viaggiare da soli ha una marcia in più a livello di rapporti personali e, se per me viaggiare è il rapporto con il prossimo, viaggiare da solo è il massimo.

Dove sta per te il bello di viaggiare, nei luoghi o nelle persone?

Per me viaggiare significa radere al suolo ogni stereotipo. Non c’è mai stato un Paese nel quale ho pedalato che abbia rispecchiato quello che mi aspettavo. A me piace fare un gioco: quando raggiungo la frontiera di un Paese che mi ha particolarmente emozionato e sto entrando in quello successivo, metto insieme tutte le più alte aspettative che potrei avere. E ogni volta, quando entro in questo Paese, tutte queste aspettative, che sono sempre positivissime, vengono annichilite da ciò che mi succede. Oltre alla cultura, alle religioni che non conosco e che poi studio, oltre alla geopolitica che vengo a conoscere stando con le persone, le situazioni che si creano sono sempre incredibili, e ti sto parlando del contadino che mi invita a casa e che mi ubriaca di latte di cavalla fermentato. Sono tutti eventi inaspettati che si creano perché ho deciso di lasciarmi assolutamente andare.

Agli inizi, quando in Iran mi invitavano a casa loro, mi dicevo “occhio, questi qua sono iraniani, attenzione che saranno i nostri prossimi nemici…”, poi, quando accetti l’invito, tu non toccherai più il portafoglio per tutto il tempo in cui starai in quel Paese. Sono stato a matrimoni, feste e funerali per giorni interi, quando arrivi nei paesi, la gente litiga per invitarti a dormire da loro, quindi ti trovi a fare da paciere, promettendo di dormire da uno ma di fare la colazione da un altro. Mi è capitato di essere fermato per strada, buttato giù dalla bici per essere invitato a pranzo. Queste cose non le avresti mai immaginate prima di mettere piede in un Paese, quindi io adoro proprio abbattere questi miei stereotipi (e non ne ho molti…).

Certo che, quando attraversi le Ande, l’Altipiano Boliviano, rimani letteralmente sconvolto dalla natura, ammaliato da quello che vedi intorno. Dopodiché, quando arrivi in un villaggio Quechua, non puoi fare a meno di sederti a mangiare con loro un pezzo di pollo. Quindi le due cose, natura e persone, si intrecciano. Da una parte una cultura che non conosci e una lingua che addirittura non è riportata dai libri, e dall’altra la potenza assoluta del paesaggio. In Namibia mi ricordo di quando ho pedalato con le zebre, però anche lì, ricordo tutti i villaggi e il tempo passato con i bambini. Ci sono luoghi in cui, se non ci fossero le persone, ti tireresti un colpo in testa: nell’Africa Nera non ti accorgi del paesaggio che cambia ma dell’erba della savana che cresce. Sarebbe uno dei viaggi più noiosi del mondo se non ci fossero le persone, se non dormissi nelle capanne con loro. L’Africa è un continente meraviglioso, che abbiamo diviso noi per convenienza, ma che è una terra unica, fatta di culture e menti incredibili.

Ti senti un po’ esploratore, nel senso classico del termine?

A me non interessa assolutamente essere il primo a fare una cosa o a visitare una terra. Tutto ciò che non ho ancora visto per me è nuovo, a prescindere dal fatto che qualcuno ci sia già stato e lo abbia già visto. Sono stato il primo a girare la Siberia d’inverno perché io non ero mai stato in Siberia d’inverno, perché davanti a una mappa geografica aperta non trovavo più stimoli. Quella zona del mondo mi mancava, e siccome sapevo che d’inverno le temperature sono incredibili, ho deciso di andare a vedere di persona com’era l’inverno siberiano…

Il motore che mi porta a esplorare è solo il mio. Poi quel viaggio mi ha cambiato la vita, perché la gente si è accorta che avevo fatto una cosa che nessuno prima aveva mai nemmeno pensato. Ma non c’entra: ho fatto quel viaggio perché avevo voglia di farlo, avevo voglia di vedere cosa mi sarebbe successo dentro, in una situazione così difficile. Adesso, che siamo appena tornati da un altro viaggio in Siberia, ma con condizioni differenti, ci sentivamo proprio come esploratori dell’800, perché stavamo sperimentando materiali, equipaggiamenti, piste, strade. Sono consapevole che ho pedalato in luoghi dove probabilmente nessuno lo farà più, però non è il record che cerco, né il curriculum. Per me è quindi un’esplorazione, ma interiore, di me stesso.

Uno come te, che ha girato tutto il mondo, dove trova gli stimoli per un nuovo viaggio?

Io mi adeguo a tutte le cose che vengono. Per esempio, il bikepacking, che è arrivato dopo che io avevo già consumato i mezzi con cui pedalavo, ha portato tante innovazioni sia nei mezzi sia nell’attrezzatura, e per me adattarmi alla tecnologia è uno stimolo. Collaboro con diverse aziende nello sviluppo dei loro prodotti, perché ho praticamente messo il sedere su qualsiasi cosa a due ruote e usato qualsiasi tipo di bagaglio, e per me fare un viaggio con un altro tipo di assetto ha già un sapore diverso. Fare un viaggio con le borse dietro, davanti e roba attaccata ovunque è un discorso, pedalare con assetto da bikepacking è tutta un’altra cosa e mi permette di percorrere sentieri diversi, vedere luoghi differenti, incontrare altre persone, andare più veloce e lontano.

Io lo stimolo lo trovo anche nel continuo migliorare la qualità dei miei viaggi: per esempio, adesso faccio viaggi che dieci anni fa non mi sarei mai immaginato potessero essere possibili. I vestiti che mi tenevano caldo allora, ora hanno la metà dell’ingombro e del peso. La bici con cui pedalo oggi mi permette di andare in salita con meno fatica e di fare i 25 all’ora in pianura. E mi diverto, perché non è più un cancello in acciaio, ma una bici progettata per trasformare al massimo la spinta muscolare.

Tutte queste cose mi sbarellano. E poi anche la navigazione e la sicurezza: tracciatura, gps, reti di sicurezza… Cose che sono indispensabili quando porto in giro i miei clienti, e di cui loro non si accorgono, pensando di fare l’avventura più estrema della loro vita; ma se succede qualcosa e io schiaccio un bottone, arriva l’elicottero a tirarci fuori dai guai. Tutte cose che ho imparato con il tempo e l’esperienza, parlando con i più grandi esperti di sopravvivenza, ma anche con gli indigeni come nella tribu di Aymara che sanno dove mettermi in salvo, dove trovare l’acqua. È un mondo che è appena stato scalfito. Ora la bici è diventata una moda mondiale, con questo Gravel che sta spopolando, e io sono qui da vent’anni, quindi venite che vi guido e vi spiego cose che so fare benissimo.

Di tutte le esperienze che hai vissuto, ce n’è una che ti ha lasciato qualcosa in più delle altre?

Sicuramente la prossima. Vivo tutte le esperienze come un grande sforzo di volontà. Tirar su le chiappe dal divano e partire richiede una grande determinazione. E non sono solo i sogni il carburante, ci sono investimenti, rapporti. Ogni volta che parto per un viaggio, quello è il focus della mia esistenza in quel momento. Ho sempre avuto la fortuna di portare a casa molto più di quanto mi aspettassi al momento della partenza, e ogni volta che parto mi sento come un bambino che scarta i pacchi di Natale.

Quanto è cambiato il tuo modo di viaggiare in tutti questi anni?

Tantissimo, per fortuna… Avrò montato e pedalato una trentina di biciclette, e ogni volta è una cosa nuova e stimolante. Diceva Terzani che è un’occasione meravigliosa quella di non ripetersi mai. Non mi interessa fare una cosa cercando la strada più facile, anzi, ho spesso cercato quella più difficile, infilandomi in situazioni in cui poter sperimentare nuove soluzioni e nuovi prodotti. Adesso sto lavorando a un progetto per portare la fibra di carbonio nel mondo dei viaggi come i miei. Non so chi altri lo farebbe, è un po’ folle però, stimolato da un bel progetto e da un ingegnere anche lui folle, ho voglia di vedere dove si può arrivare. Lo stesso vale per le borse, e alla fine questo è il mio lavoro. Sono un “ciclo viaggiatore professionista” e con questo pago le bollette e faccio la spesa…

In tutta la tua storia di viaggiatore, hai commesso errori che avrebbero potuto anche costarti caro?

Ci vorrebbe un libro per raccogliere tutte le monate che ho fatto. Ho rischiato di non tornare da quasi tutti i miei viaggi per qualche imprevisto, e ho sbagliato anche a livello professionale, capendo troppo tardi che avrei potuto monetizzare questo mio enorme bagaglio di esperienze. Però dai miei errori ho imparato una cosa molto importante: se mentre percorri una strada ti trovi a un bivio e decidi di prendere la strada a sinistra, non ti capiterà mai di voler tornare indietro per prendere quella di destra, perché su quella strada ti capiteranno comunque cose meravigliose, che ti faranno crescere. Gli errori non li ho segnati come errori, ma come esperienze. Quando in Siberia mi si sono rotti i fornelli e stavo per morire di fame, mi hanno salvato dei camionisti, che mi hanno raccolto. E adesso, che storia ho da raccontare…

Un pigro potrà mai diventare un cicloturista?

Non c’entra la pigrizia, ma la curiosità. La cosa che mi fa imbestialire è quando uno mi scrive “consigliami un posto dove andare…”. Io ho i tatuaggi dei posti dove voglio andare, ho la cartina piena di bandierine, è da quando avevo 15 anni che sogno di viaggiare per il mondo. Se hai bisogno di un consiglio per partire, forse è inutile. Per faticare, masticare bile, dormire sotto una panca, a monte ci deve essere una grande passione. La curiosità è il motore che ti fa partire, se non sei curioso è meglio che resti a casa. Se prendi e parti per un posto che conosci è perché vuoi assolutamente vedere quel posto. Deve importarti del mondo, avere una sinergia con la natura. Io lavoravo nei rifugi perché a monte c’era già stata una scrematura nei clienti: se invece di andare allo stadio decidi di camminare sei ore per guardare un tramonto o un’alba, allora abbiamo un sacco di cose in comune. Se a vent’anni decidi di fare le tue vacanze in bici anziché andare a Ibiza con gli amici, chapeau… Solo Dio sa quali saranno i tuoi limiti nella vita. E di ragazzi così ce ne sono tanti.

Si può essere viaggiatori senza stare in sella per mesi e migliaia di chilometri come te?

Assolutamente sì. Io ho sempre avuto la fortuna di avere tempo e mi sono scelto la vita per poter fare quello che faccio. Quando la gente mi chiedeva che lavoro facevo, mica dicevo “faccio il cuoco”, perché io facevo il cuoco per viaggiare, quindi ho sempre risposto che “faccio il viaggiatore”. E ora, finalmente, sul mio codice Ateco, quello della partita IVA, c’è scritto VIAGGIATORE…

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.