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Io, la Tavola e il Van, ch. 2: viaggiando sull’onda della quarantena

di - 17/06/2020

Viaggiando sull’onda della quarantena

Testo: Giacomo Spigariolo & Enrica Marra | Photo: Giacomo Spigariolo
LEGGI LA PRIMA PARTE DELLA STORIA QUI: Io, la Tavola e il Van: chapter 1
A causa del Coronavirus il Paese chiuse e tutto si bloccò in una maniera surreale, sembrava di essere in un film apocalittico. Mi affrettai a trovare un luogo sicuro dove stare tranquillo e sereno per cercare di capire cosa stava succedendo; ero al corrente della situazione, parlavo costantemente con la mia famiglia, ma volevo capire qual’era il piano del governo spagnolo, sapendo che prima o poi sarebbe arrivato anche qui.

Non potevo immaginare le dimensioni di questa cosa, in pochi giorni tutti si chiusero in casa; io come tanti feci la spesa di sopravvivenza e cercai riparo in qualche campeggio, non nego che vista la situazione presi tante porte in faccia fino a decidere di restare su strada, fronte mare. Lì c’erano altri van e camper, restammo qualche giorno tutti insieme e con le dovute precauzioni cercammo di vivere quel poco di libertà ancora concessa.

Giorno dopo giorno la situazione si faceva sempre più cupa e la città deserta, il parcheggio iniziava a svuotarsi e si parlava solo del virus e dei numerosi morti. La paura iniziava a farsi sentire sempre di più e la Guardia Civil bussava ogni giorno al furgone, ormai i poliziotti erano gli unici a tenermi compagnia, oltre alle onde.
Soffrivo nel vederle così maestose e allo stesso tempo così intoccabili, ma uscire di casa era proibito e anche di surfare non se ne parlava proprio.
Vedere il mare dal finestrino mi faceva stare male, così male che con la mente iniziai a ripercorrere il cammino verso casa; mi stavo arrendendo, i giorni di solitudine erano eterni.

Cercavo di pensare che in fondo avevo la possibilità di vivere una quarantena diversa rispetto a molti altri, aprivo gli occhi e vivevo in un paradiso fiorito con onde e immerso nella natura, vivevo in pura semplicità, ma mi rendevo conto di dover prendere una decisione: tornare a casa o restare.
Mi accorsi che in questo periodo il tempo per surfare mi veniva tolto, ma mi veniva regalato molto tempo per fare altro. Iniziai ad apprezzare ogni piccola cosa come scaldare l’acqua la mattina per lavarmi; era un dettaglio, ma prendermi cura di me stesso mi faceva tornare il sorriso.

Chiesi consigli alla mia famiglia e agli amici, surfisti che sicuramente avrebbero capito le mie riflessioni, ma fu difficile. C’era chi mi consigliava di tornare e chi di restare, i motivi erano tutti validi e non riuscivo a fare una lista dei pro e dei contro.
Intanto anche il meteo mi metteva a dura prova, 6 giorni di pioggia e vento fortissimo mi costrinsero a rinchiudermi nel furgone. La quarantena mi stava dando tutto il tempo per riflettere… ma pensare troppo non è sempre produttivo. Così spensi il cervello, presi un respiro, ascoltai una canzone e decisi: io questa libertà non la volevo perdere! Viaggiare e surfare erano i miei obiettivi.

Decisi quindi di cercare un posto tranquillo dove passare il resto di una quarantena che si prospettava lunga e impegnativa. Girai un po’, finché entrai nel vialetto d’entrata di una casa, un bel giardino e un pezzetto di orto, provai a suonare il campanello. Mi accolse un uomo sulla quarantina, chiesi timidamente se potevo stare parcheggiato lì e magari fare una doccia ogni tanto. L’uomo era simpatico e forse vedeva in me un suo sogno nel cassetto, mi sorrise e non ci furono più problemi, Maite, Caio e la piccola Lola diventarono la mia seconda famiglia.

Passavamo molto tempo insieme, cercavo di dare una mano con le faccende di casa e piccoli lavoretti nell’orto, nel giardino e l’infinita sistemazione del muretto; ma la parte più divertente era disegnare con la piccola Lola. Ogni giorno ci inventavamo un colore nuovo, fatto al 100% naturale, una volta con il caffè, una con la carota, con il pomodoro. Non c’era tempo per annoiarsi.
Una volta ogni 10 giorni uscivo a fare la spesa, era una situazione veramente strana, mascherine, guanti, distanze di sicurezza; era l’unica occasione per fare un giro, ma non c’era niente di bello.

Dopo quasi 72 giorni di quarantena, il mio pupazzo di Bob Marley, che sta seduto al posto del passeggero, era diventato il mio migliore amico, confidente, con lui avevo condiviso tutto di quei giorni; la tavola invece stava lì inerme ad aspettare, con lei chiacchieravo guardando il tramonto e sognavamo di tornare in acqua al più presto.
Il 4 maggio fu il primo giorno della fase zero! Finalmente ricominciammo ad avere un po’ di libertà, le attività sportive individuali, quindi anche il surf, erano autorizzare ‪dalle 6 alle 10‬ e ‪dalle 20 alle 23‬; se questo voleva dire svegliarsi all’alba ero più che disposto a farlo.

La sera prima salutai la mia famigliola, bastò un abbraccio per dirci che nonostante la situazione era stato veramente bello conoscerci; poi mi spostai davanti allo spot: Fuente del Gallo.
Le onde… le onde… come vi posso descrivere quelle onde dopo tanti giorni di attesa? Mi sentivo respirare di nuovo, pronto per mettere la muta, entrare e sentire l’acqua fresca sui piedi, poi sulla faccia… ero così emozionato che non riuscivo a controllarmi.

Feci tutto velocemente senza mai togliere lo sguardo da quell’immenso blu, scesi in spiaggia e mi trovai con due ragazzi nelle mie stesse condizioni, incantati dal mare.
Yanich, ventiseienne svizzero snowboarder, dopo aver viaggiato per due anni in Marocco, si è innamorato del surf e ha convinto la sua famiglia a trasferirsi a Conil, bravissimo e pazzo da legare.
Luca, dopo aver fatto un master in America, si è trasferito qui per lavoro, è biologo marino e le sa davvero tutte, nel surf non è bravissimo, ma non ha paura di niente.
Abbiamo iniziato a ridere insieme come bambini davanti alle schiume di piccole onde, ci siamo buttati in acqua e abbiamo surfato tutto, onde di 1 metro glassy, quasi soli. In quel momento provavo una felicità indescrivibile. Ancora una volta: la libertà … ritrovata.

Io, Yanich e Luca siamo diventati velocemente amici e anche la sera coglievamo l’occasione di bere una birra insieme davanti al tramonto, è incredibile come tanti giorni di isolamento ti aiutino a dare valore a tutto, anche alle cose più semplici.
Una sera, dopo la surfata del secolo, ho messo come sempre la tavola sotto al furgone, sono entrato per cambiarmi e appena ho sfiorato il letto ho ceduto ad un pisolino, avevo surfato almeno 3 ore ed ero davvero stanco. Dopo un pò mi sono svegliato con le grida impazzite di un uomo, ho aperto il furgone per vedere che cosa stava succedendo e…cavoli, una persona incappucciata se ne stava andando con la mia tavola!!! L’ho rincorso, ma non sono riuscito a prenderlo e disperato me ne sono tornato in furgone.

Con le mani tra i capelli, cercavo di controllare la rabbia, avrei distrutto tutto! I miei nuovi amici mi hanno aiutato ad analizzare la situazione, in Spagna eravamo ancora limitati negli spostamenti quindi la mia tavola doveva essere lì vicino, non avrebbero potuto venderla. Nei giorni successivi ho girato con un radar al posto degli occhi, chiedevo alla gente in giro, mi fermavo in ogni casa e buttavo lo sguardo dentro i capanni, ma niente non vedevo tracce e mi stavo rassegnando a comprare una tavola nuova.
Una volta accettata la resa, mi sono indirizzato verso un negozio. Il proprietario è stato di grande supporto anche psicologico. Io, abituato a surfare con la mia tavola da sempre, non avevo idea di cosa prendere questa volta.
Gli ho detto le mie misure, ho descritto il mio stile e soprattutto il mio livello di surf e lui mi ha proposto un bel fish. Ero emozionato all’idea di cambiare, ma un po’ intimorito dal fatto che sarebbe stato inevitabilmente diverso.

Tra una tavola e l’altra gli raccontavo la mia avventura, nonostante il mio spagnolo si era così immedesimato che alla fine ha voluto regalarmi leash e pinne. Me ne tornai felice al mio parcheggio fronte mare con un nuovo regalo tra le mani, ero pronto per tornare in acqua. Fortunatamente tutta la settimana il mare ci regalò onde piccole ma regolari, sulle quali potei sperimentare la mia nuova tavola. In effetti era un’altra cosa rispetto alla precedente, ma una volta fatto il take off acquisiva un’ottima velocità e io mi divertivo tantissimo.

Le onde però non bastavano a farmi andare giù quell’arrabbiatura, rubarmi la tavola era stato un gesto meschino e se avessi trovato il colpevole… Un giorno passando davanti ad un casolare la vidi, era lei! Ne ero sicuro, lo shape e le misure lo confermavano. Presi un bel respiro e controllai l’istinto. A quel punto dovevo assolutamente trovare il modo di incastrare quel maledetto che l’aveva presa.
Non volevo fare troppo casino e mettermi nei guai, io non sono uno che fa a botte e sicuramente ne avrei prese di più di quante sarei riuscito a darne. Decisi di andare dalla Guardia Civil, ormai li conoscevo, ma mi dissero che non avrebbero potuto fare niente se non avessi trovato delle prove davvero agghiaccianti. Nessun problema, la notte io e Yanich andammo al casolare per riuscire a fare una foto da vicino… non potete capire che delusione quando mi resi conto che non era lei. Mi sentii male ad aver accusato un innocente e decisi di lasciare perdere e godermi il resto.
Nuova tavola, nuova avventura.

La mia nuova avventura però iniziava ad essere troppo statica, avevamo ancora diverse limitazioni e, oltre all’orario ristretto di libertà, le onde stavano diventando piccole, ma io non potevo uscire dalla provincia per cercarne di migliori. Il mio umore stava cedendo alla solitudine, scrissi dei messaggi agli amici in Italia, chiesi consiglio, ma mi sentii molto lontano, non solo fisicamente. Stavamo iniziando a parlare dei linguaggi diversi, avrei dovuto prevederlo.
Una mattina decisi di spostarmi verso l’interno, prendermi dei giorni di pausa dal mare e riflettere su quello che volevo fare. Non ero abituato ad aspettare le cose accadessero da sole e, a dirla tutta, neanche a rispettare troppo le regole.

Sono arrivato al Parco Naturale Sierra de Grazalema, ho corso 5 km sui sentieri e in vallata con mucche, pecore, asini; era un luogo meraviglioso per fermarmi a pensare. Passare il confine? Restare in montagna, lontano dal mare? Finchè il mio cervello lavorava su queste idee la Guardia Civil si appostava fuori dal mio furgone. La mattina seguente me li ritrovai davanti, mi chiesero che cosa ci facessi e mi dissero che non potevo stare all’interno del parco. Anche questa volta raccontai brevemente la mia storia e alla fine mi dissero che in effetti non c’era posto migliore per vivere il resto della quarantena.

Quel silenzio rotto solamente dalla natura mi diede la risposta che volevo, scesi a Conil, salutai Yanich, Luca, la famiglia che mi aveva ospitato nel vialetto e impacchettai tutto per un lungo viaggio. Per scaramanzia non diedi indicazioni, ero consapevole che stavo facendo una follia… e se avessero preso la mia targa? Mi avrebbero multato se fossi uscito dalla provincia? E se mi fermavano? Basta, mi dissi! La storia non si costruisce sui SE, io vado!
Le prime 4-5 ore le ho fatte su stradine di montagna, speravo di non incontrare la polizia, poi però non avevo alternative, gli ultimi 150 Km dovevo farli in autostrada. Non c’era nessuno, nessuna macchina né in una direzione né nell’altra; la cosa mi intimoriva e mi chiedevo se ci fosse un muro alla fine di quei pochi Km.
In effetti un muro immaginario c’era: la frontiera. Bem vindo a Portugal!

Editing testo: Enrica Marra | @enrica2670

Sotto: il primo capitolo del diario di viaggio

Io, la Tavola e il Van: chapter 1