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La Competizione.

di - 16/12/2020

Ad essere sinceri, non ho idea di come sia strutturato il surf in Italia al giorno d’oggi: ho smesso di gareggiare ben oltre una decade fa, e già era tutto diverso rispetto ai tempi gloriosi degli anni ’90, era già cambiato tutto.

Ho sentito dire tante, troppe volte, che il surf non è competizione, non è agonismo, ma posso affermare che non è assolutamente vero. Si, certo, il surf rispetto a tanti altri sport offre un ineguagliabile punto di vista: è quello che noi vogliamo che sia, ha questa innegabile duttilità, ci concede la prospettiva che preferiamo vedere. Che siamo lupi solitari, free surfers, animali social, agonisti, quello che ci piace essere, nel surf possiamo specchiarci a nostro piacimento.

C’è anche un lato più pratico però: dal punto di vista tecnico, l’agonismo – un discorso a parte va fatto per il tow in – ci permette di osservare il limite superiore, le manovre più radicali eseguite dai migliori surfers del mondo negli spot più impegnativi.

Che piaccia ammetterlo o no, dal primo momento in cui abbiamo preso in mano una tavola abbiamo anche cercato di capire come funzionasse il meccanismo che sta dietro al fatto di poter prendere delle onde e surfarle con soddisfazione: nel fare questo credo che tutti abbiamo giocoforza fatto riferimento a quello che l’agonismo ci consegna. Oltre allo spettacolo, come già detto ci consente di vedere le migliori manovre effettuate dai surfers più talentuosi del mondo in posti spesso inaccessibili ai comuni mortali.

Chi non ha mai studiato il bottom turn di Tom Curren, i floater di Martin Potter, lo snap di Tom Carroll, i tubi e le manovre di Kelly Slater o Andy Irons? Anche nel free surf abbiamo avuto diversi esempi di atleti che hanno cercato il limite, ma quando gli atleti hanno la possibilità di essere messi a confronto tra loro, è allora che emergono i confini dello sport ed è li che vengono superati.

Free surf e competizione sono due facce della stessa medaglia: il free surf è bellissimo, ma la competizione aggiunge sempre quel pizzico di sale in più, quel mettersi in discussione in uno sport da autodidatti, uno sport da trial and error. Proprio per questo secondo me la competizione ha un valore paragonabile ad un master, una full immersion.

Personalmente ho sempre collegato il surf alla ricerca, dagli spot alle manovre, allo stile: nelle gare ho trovato il momento in cui ho potuto verificare se quello che avevo imparato funzionava veramente e ho potuto osservare gli altri. Assomigliavo a Tom Curren? Manco per le palle! Assomigliavo a Kelly Slater? Impossibile, avevo troppi capelli.

Il mondo delle competizioni però si porta dietro anche qualcosa in più, soprattutto nel nostro paese dove il livello, con poche eccezioni, è ancora paragonabile ad un contesto amatoriale non viziato dai soldi che girano nel circuito professionisti.

Non ho infatti, ormai, dei ricordi precisissimi sulle gare alle quali ho partecipato, ma ricordo molto bene la compagnia, le bevute, gli scherzi, i viaggi, le amicizie che sono nate sul campo di gara.

Alcune gare sono state particolarmente significative: ricordo qualche manovra, qualche turno passato, ricordo quello che ho imparato. Le tattiche di gara: ricordo ad esempio una gara in condizioni piuttosto impegnative a Viareggio, in piazza Mazzini, dove ho assistito con una certa incredulità al fatto che qualche competitor anche piuttosto navigato non riuscì ad arrivare sulla line up per quanto casino c’era in acqua.

Frozen Open, Sardegna

Ricordo i sassi di Banzai e Sandro “Er Cane” Maddaleni. Un longboard festival a Marina di Pisa, veramente divertente. Ricordo le gare a Forte dei Marmi dove c’era mezza toscana in acqua e tutti i migliori di allora si sfidavano in tutte le discipline possibili, kneeboard incluso.

Ho fatto anche l’esperienza da giudice: Alessandro Dini invitò Gary Linden, allora Vice President ASP, a tenere un corso per giudici a Viareggio e fu a casa di Alessandro che in un interminabile week end di teoria ci diplomammo, in cinque o sei, andando a costituire il primo zoccolo della struttura giudicante di allora. Un bagaglio di conoscenze e di esperienze che è difficile – ed è proprio questo il punto -, se non impossibile, accumulare senza passare dalla promiscuità che offre il panorama dell’agonismo, fino ai campionati del mondo in Brasile nel 1994. [qui l’articolo]

Molto di quel bagaglio è rimasto, le amicizie sono rimaste tutte, la forma fisica direi meno, ma soprattutto ad un certo punto mi sono sentito gratificato e completo.
Ricordo benissimo, invece, l’ultima gara alla quale ho partecipato, in quella che considero la “mia” spiaggia, dove ho iniziato a surfare quando ancora in acqua non si incontrava nessuno.

Avevo smesso di competere da un pezzo, ma nel “mio” spot da qualche anno si era insediata una (ottima) organizzazione che aveva portato una scuola molto strutturata e soprattutto una gara di ottimo livello, con un vero montepremi in denaro, degli sponsor importanti e partecipanti dai quattro angoli della terra. In anni alterni c’era sempre qualche competitor dal Sud Africa, dall’Australia o dagli Stati Uniti..

In tempi ancora lontani dai droni, c’era pure l’elicottero per le riprese aeree! Così, in un impeto di nostalgia e incoscienza, considerandomi a casa mia decisi di seppellire la vergogna e di iscrivermi.
Ci trovavamo in Sardegna, da anni avevo mollato le shortboard e mi ero portato solo long, così a casa dei miei dovetti “prendere in prestito” la tavola che avevo regalato a mia sorella per il suo compleanno, una vecchia Spider Murphy 7’0″ con una enorme riparazione nel centro. La tavola, che era più un wall hanger, sarebbe andata anche bene per me: non avevo alcuna velleità e non potevo presentarmi con un long sulla line up.

Nonostante fossi totalmente fuori forma, ritrovai tutta l’emozione delle competizioni: le farfalle nello stomaco, quel pizzico di eccitazione mista a paura, la concentrazione nell’osservare le condizioni e nell’elaborare una strategia di gara.

Era l’inizio di agosto e la gara era stata parecchio pubblicizzata: sulla spiaggia ci saranno state un migliaio di persone, molti amici e le condizioni erano piuttosto impegnative, una mareggiata di maestrale in piena regola con onde veramente grosse e incasinate. Il timing e il posizionamento in una giornata come quella erano fondamentali: quando chiamarono la mia batteria ero completamente concentrato, trovai subito il passaggio nel canale e arrivai sulla line up per primo, esattamente dove avevo preso i riferimenti per le onde più grosse.

Poter partire per primo scegliendo l’onda era un bel vantaggio perchè in quelle condizioni sarebbe stato difficile prendere più di 3-4 onde nella heat, nel migliore dei casi. Poi successe l’imprevedibile: eravamo già molto fuori e stavo esercitando il diritto di precedenza quando arrivò una serie enorme. In quegli anni c’era una competizione per l’onda più grossa surfata in Italia e la vinse l’amico Luca, proprio in Sardegna, su un’onda stimata ben oltre i 4 metri.

Conoscevo bene quelle serie che rompevano a centro baia, ma stavolta per non perdere il picco eravamo tutti dentro. Remammo come dei pazzi ma non servì a nulla, la prima onda veramente enorme si ruppe davanti a noi e fummo costretti ad andare sotto lasciando le tavole. Fu una cazzata quella che mi fregò… infatti non avevo calcolato che con la tavola avevo regalato a mia sorella anche un vecchio leash completamente cotto. Snap! Quando riemersi, in mezzo alle onde e lontanissimo dalla riva, la mia tavola se n’era andata da sola e stava surfando a tutta manetta verso la spiaggia. Sperai che le dessero un buon punteggio.

Non mi persi d’animo e cominciai a nuotare sfruttando le onde e la schiuma per farmi spingere a riva, ma c’era una corrente pazzesca. Tutta la spiaggia era in piedi e la folla urlava, mi incitava, potevo sentirli da dove mi trovavo e mi ci vollero dieci minuti per arrivare, con la lingua a penzoloni, sulla sabbia. Mi veniva da vomitare. Recuperai al volo la tavola che mi venne offerta da uno sconosciuto e mi ributtai nel canale che mi sparò fuori, di nuovo sulla line up, quando una volta arrivato a destinazione… Boooooooo! Il segnale che la heat è finita! Uscire subito! Maporcaputtana, pensai… che figura da sfigato, cadere così senza essere riuscito a prendere nemmeno un’onda… alla fine avevo avuto comunque il mio pubblico e come nuotatore feci senz’altro un figurone, ma quella fu decisamente l’ultima volta che mi presentai ad una gara di surf!

Mammifero di sesso maschile della specie "homo sapiens", sottospecie "goofy foot" (ricordiamo che i goofy sono stati creati dalla scintilla divina, mentre i regular discendono per linea evolutiva dalle scimmie). Esploratore entusiasta classe 1972, ho iniziato a fare surf verso la fine degli anni 80 e ho avuto la fortuna di conoscere delle persone straordinarie e di condividere con loro parecchie esperienze dentro e fuori dall'acqua. Ho un approccio multidisciplinare con tantissimi interessi diversi: vivo a Milano (non ridete) dopo diversi anni passati all'estero come manager di aziende italiane e mi occupo tutt'ora di direzione aziendale. Scrivo di design, altra passione che si unisce alla professione, e da poco grazie ad una "sliding door" anche di surf. A volte prendo dentro, e me ne scuso, ma si vive una volta sola, se vi offenderò non ci sarà niente di personale.