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Prova Canyon Ultimate CF SLX 8 Di2

di - 27/12/2022

bici da corsa Canyon Ultimate SL foto in azione in discesa

Non è facile mettere mano a un progetto che funziona bene e che gli atleti, giudici più esigenti, considerano ottimale. Da quando ha toccato l’asfalto, nel 2004, la Ultimate ha vinto praticamente tutto: Campionati del Mondo, Grandi Giri e Classiche Monumento. Quando Canyon ha cominciato l’evoluzione della Ultimate, lo ha fatto con l’obiettivo di renderla ancora più efficiente in tutte le situazioni che si possono incontrare durante un’uscita (salita, discesa e pianura), non importa che sia pedalata senza ciclocomputer fra amici, o una corsa con il coltello fra i denti in una tappa del Tour.
Sono infatti finiti i tempi in cui esistevano le bici aero e le bici da salita, ognuna capace di eccellere solo in quella situazione: le bici da gara di oggi devono essere efficaci su qualsiasi terreno perché la stessa Corsa si può vincere scattando in salita, aggredendo una discesa, scappando in pianura o sprintando in volata.
Al vertice della famiglia Ultimate si colloca la versione CFR, in tutto e per tutto identica alla bici con cui corrono i ragazzi e le ragazze professionisti del World Tour. A differenziare la nostra SLX c’è solo la stratificazione della fibra di carbonio con cui è realizzato il telaio, che paga qualcosa in termini di leggerezza.

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ANIMO RACE

Dalle geometrie alla componentistica, tutto sulla Ultimate CF SLX parla la lingua delle gare. Stack e reach sono gli stessi che porta in dote la Aeroad (l’altra bicicletta pedalata dai pro team) e gli angoli sono quasi uguali: scelta che permette agli atleti di avere un feeling pressoché identico quando cambiano mezzo fra una tappa e l’altra. La nuova Ultimate monta anche lo stesso cockpit della Aeroad, si tratta del CP0018, in fibra di carbonio, integrato ma regolabile. Permette infatti, intervenendo sugli spessori e sul fissaggio dei semi manubri, di variare rispettivamente l’altezza di 15 mm e la larghezza di ± 20 mm. Oltre a migliorare l’aerodinamica e consentire di integrare completamente il passaggio dei cavi di comandi e freni, offre un discreto comfort, e il fatto che sia stato utilizzato anche alla Parigi-Roubaix ne è la prova.
Come detto, pure la componentistica segue questa linea, a partire dalle ruote, le ottime DT Swiss ARC 1400 Dicut, tubeless ready con profilo da 50 mm. Il gruppo, completo, è Shimano Ultegra Di2 a 12 velocità, con misuratore di potenza 4iiii Precision.

Leggi il test della Canyon Aeroad

UN BEL VESTITO

Esteticamente, la Ultimate di quinta generazione poco si discosta da quella precedente, ma osservandola con attenzione si può notare che tutti i tubi sono stati rivisti nel loro profilo, ora più squadrato. Inoltre, la scatola del movimento centrale è più generosa, il wishbone sui foderi obliqui meno marcato, i forcellini posteriori più snelli e l’innesto del tubo obliquo sul tubo sterzo irrobustito. Scelte dettate dalla volontà di migliorare l’aerodinamica e la rigidezza per ottenere maggior precisione e trasferimento di potenza. È cambiato anche il sistema di serraggio del reggisella, riposizionato davanti al piantone (e non più dietro) ed è aumentata la luce del passaggio ruota, che permette di montare gomme fino a 32 mm. Queste due ultime soluzioni sono finalizzate a un incremento del comfort in sella.
A proposito di pneumatici, inusuale è l’abbinamento di sezioni differenti: 25 mm all’anteriore e 28 mm al posteriore; una soluzione che, a detta dei progettisti, rappresenta il migliore compromesso tra aerodinamica, leggerezza e comfort.
Concludiamo con un cenno sulle finiture che, eccezion fatta per un paio di particolari (il bottone di chiusura dell’alloggiamento filettato dei perni ruota e il gommino di guarnizione in uscita del cavo freno, sul fodero forcella) sono buone, verniciatura compresa. Poco comprensibile, invece, la decisione di montare due portaborraccia, peraltro belli e in fibra di carbonio, di diametro compatibile con le sole borracce Canyon, che sono più larghe di quasi tutte le altre al mondo…

FEROCE MA NON CATTIVA

Quello che la scheda tecnica lasciava intendere, la strada ha confermato. Ci aspettavamo una bici tremendamente efficace e così l’abbiamo trovata. Efficace in salita, grazie al peso, alla rigidezza della scatola del movimento centrale, al disegno del carro. La posizione in sella è aggressiva, ovviamente, come dicono le quote di reach e stack; mi ha dato un po’ noia, impugnando alto e centrale il manubrio, quel piccolo scalino che si forma dove i due semi manubri si innestano nel blocco integrato, in corrispondenza del limite della nastratura.

La Ultimate CF SLX c’è e si fa sentire, lì sotto: a ogni colpo di pedale corrisponde un immediato e sensibile balzo in avanti. Scalpita e risponde pronta quando le si impartisce il comando, e in uscita di tornante, quando ci si alza sui pedali, parte a fionda. Ci mettono del loro anche le ruote, super scorrevoli e rigide. E il profilo da 50 mm è un buon compromesso perché non paga pegno in fatto di rilancio e di conduzione/correzione in curva e si comporta in modo eccellente in velocità. Se la scelta di montare pneumatici dalla sezione differenziata può piacere ai pro, che hanno gambe e watt differenti da noi, a me non ha trasmesso particolari benefici. Se questa Ultimate fosse la mia bici, opterei per il 28 mm anche all’anteriore, per avere ancora più feeling in discesa, soprattutto sullo sconnesso, e più comfort in generale. Ma la scelta di avere un avantreno rigido, che trasmette al rider tutto ciò che accade sotto la ruota anteriore, fa parte dell’idea alla base del progetto e del carattere della bici. A proposito di discesa, precisa e stabile sono gli aggettivi che meglio la descrivono: la leggerezza non eccessiva e la geometria dell’avantreno aiutano il feeling, è una bici svelta ma non nervosa e accetta eventuali correzioni.
Efficace anche sul piatto, la Ultimate accelera veloce e mantiene una buona inerzia. Se qualcuno desiderasse una posizione ancora più centrata sul movimento centrale, potrebbe sostituire il reggisella della CF SLX, arretrato di 20 mm, con quello a testa dritta della CFR (perdendo però qualcosa in termini di comfort).

CONCLUSIONI

“Ultimate” di nome e di fatto. Canyon è riuscita ad affinare un progetto senza rifarlo: evoluzione senza rivoluzione, anche perché non ce n’era bisogno… È davvero la bici definitiva, per chi cerca prestazioni di alto livello senza dover rinunciare al piacere di guida. Una molla in salita, una lama in discesa, confortevole quanto basta. Nonostante sia una bici race fino al midollo, riesce nel difficile compito di risultare facile e di trasmettere sin dalle prime pedalate confidenza e sicurezza.
Chiudiamo con una riflessione sul prezzo. Fatto salvo che, rispetto ai marchi più cool, il risparmio è sensibile e che il rapporto qualità/prezzo è ancora fra i migliori, Canyon non è più quel prodotto “poca spesa, tanta resa” con cui ha conquistato una buona fetta di mercato: è ormai entrata a far parte della fascia media di prezzo, trovandosi così a competere direttamente con modelli di consolidato prestigio. Una situazione inevitabile, che può essere letta come conseguenza di un livello di prodotto così elevato da non poter essere svilito da costi troppo aggressivi.
Così è, se vi piace.

SCHEDA TECNICA
Telaio/Forcella: Fibra di carbonio CF DLX Disc / FK0104 CF Disc
Trasmissione: Shimano Ultegra Di2, guarnitura 52-36, cassetta 11v 11-30
Misuratore di potenza: 4iiii Precision powermeter
Ruote: DT Swiss ARC 1400 Dicut, fibra di carbonio, canale 20 mm, profilo 50 mm, tubeless ready
Pneumatici: Schwalbe Pro One 25/28 mm, tubeless ready
Cockpit: Canyon Aerocockpit, integrato 110 x 410 mm, regolabile
Peso rilevato: 7.240 kg
Prezzo: 6.499 euro

GEOMETRIA (TAGLIA L)
Stack: 580 mm
Reach: 401 mm
Angolo sella: 73,9°
Angolo sterzo: 73,3°
Foderi: 413 mm
Interasse: 1.003 mm

CI PIACE
• Trasferimento potenza
• Precisione
• Feeling
• Rapporto qualità/prezzo

NON CI PIACE
• Porta borraccia dedicati

Foto: Martina Folco Zambelli | HLMPHOTO

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.