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Bici elettriche e guerra in Ucraina, triste realtà

di - 27/05/2022

Le avrete di sicuro viste in qualche mercatino, in un museo o in una qualche rievocazione storica. Sono le biciclette del battaglione Bersaglieri Ciclisti, che Bianchi costruì per i nostri militari nei primi del Novecento e che furono utilizzate sia nella Prima sia nella Seconda Guerra Mondiale. Anche in Germania i nazisti si organizzarono in questo modo, con i «Bicycle Blitzkrieg» utilizzati per colpire in Polonia e Francia. Poi arrivarono le moto, più rapide ed efficaci ai fini bellici e le biciclette rimasero uno scenografico oggetto da mostrare nelle parate cittadine.

Di nuovo sul campo

Secondo fonti riprese anche dal Corriere della Sera, sembra che nel terribile scenario della guerra in Ucraina le bici siano scese di nuovo sul terreno, anche se in una versione al passo con i mutati tempi. È una notizia di cronaca che in un momento di pace non avrebbe meritato spazio (per lo meno sulle nostre pagine) ma che ora assume un significato tristemente diverso.

Il modello più diffuso fra le truppe ucraine si chiama Atom ed è una bici elettrica, quindi con acceleratore e senza pedali. Ha un motore da 3.000 Watt, è biammortizzato, pneumatici quasi motociclistici, sella a due posti e 100 km/h di velocità massima. L’azienda che le produce ha realizzato versioni modificate per l’esercito, che necessitano di un tempo di ricarica più breve e funzionano anche da generatori d’energia portatili per ricaricare altri dispositivi usati dai militari come gli smartphone, i mini droni e le antenne Starlink, quelle offerte da Elon Musk e sviluppate per l’internet satellitare.

I soldati le utilizzano sia per interventi medici sia per portare rifornimenti, ma anche per spostare rapidamente (riducendo il pericolo di essere scoperti dai sistemi di rilevamento termici) armi anticarro.

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.