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Frozen Gravel…

di - 16/01/2024

Non esistono condizioni impossibili, solo attrezzatura inadeguata… ” È la massima – per la verità un po’ paracula – che si cita ogniqualvolta si voglia dimostrare che, se non si accampano scuse, si possono affrontare anche condizioni ben oltre la cosiddetta comfort zone. Una pillola di saggezza che abbiamo voluto fare nostra, per uscire ancora una volta di casa e tornare a giocare con la neve.

Il richiamo della neve

In realtà, pedalare sulla neve, è una cosa che ho fatto anche da ragazzo, quando con le prime MTB (erano quelle rigide e con le ruote da 26″) e due compagni di avventure, si aspettavano le prime nevicate per andare a giocare sul Mottarone. Ricordo che salivamo in funivia insieme agli sciatori, che ci guardavano con un misto di curiosità e compassione, per poi scendere lungo i sentieri che eravamo soliti percorrere nelle altre stagioni. Una volta lo facemmo in notturna, aspettando la luna piena: salimmo con l’ultima funivia, ci fermammo a mangiare al rifugio del CAI e poi, riscaldati da un Bombardino fumante, affrontammo la discesa. Non ci fu nemmeno bisogno di accendere le frontali, poiché il riverbero della luce della luna sulla neve illuminava quasi a giorno il bosco e permetteva di vedere bene dove mettere le ruote.

La tradizione durò alcuni anni, fino a che le vite resero complicato mantenere unito il trio. Però tornai sulla neve, molti anni dopo. Era il momento in cui fecero la loro comparsa le Fat-bike, e sembrava che fossero arrivate per restare. Sull’onda di questo entusiasmo a 4″, Enrico Guala organizzò un evento/raduno fra le montagne valdostane: il La Thuile Fat Mountain. Era il 2015. Beh, ci andai e fu una cosa divertentissima e organizzata molto bene: villaggio expo con le aziende della micro galassia “fat”, ride di gruppo, gara di snow, slalom, test. Il weekend che si aprì con una serata di proiezione video e i racconti di viaggio di Marco Nicoletti, che ci gasarono per il giorno dopo. La mattina seguente eravamo un’ottantina a riempire la cabinovia. Salimmo fino alla stazione intermedia e poi, dopo una prima parte di discesa sulle piste (in più o meno pacifica condivisione con gli sciatori) ci infilammo nel bosco, su un sentiero dedicato ai ciaspolatori, largo meno di due metri e non battuto. Lì successe di tutto… Ingarellamenti, ribaltoni, freestyle involontario, il più asciutto arrivo a valle fradicio ma con un sorriso naturale, che non era la classica emiparesi facciale da freddo. Peccato che il movimento Fat-bike si rivelò una bolla del mercato e scomparve in un paio di anni poiché quelle bici si rivelarono esattamente per quello che erano: favolose dispensatrici di divertimento sulla neve. Ineguagliabili in quella situazione, ma poco divertenti in tutte le altre.

Full gas sul ghiacciaio

Tre anni dopo, fuori dalla bolla, un sogno divenne realtà e mi trovai sulla linea di partenza della Maxiavalanche, a Cervinia. In quel caso, la neve copriva solo i prime tre chilometri della picchiata, che dai 3.500 metri del Plateau Rosa portava ai 2.000 di Breuil, 1500 m di dislivello su 12 km di tracciato… Un modo ancora differente di pedalare in bianco: in questo caso su una pista ben battuta, sulla quale i primi, quelli forti, volavano a oltre 100 all’ora. Per chi partiva dietro, come toccò anche a me, la situazione era differente perché trovammo un fondo con neve pesante, tritata dalle centinaia di ruote che erano già passate. Come si toccava il freno posteriore si innescava un irrimediabile testa coda e, se per miracolo si riusciva a tornare diritti e a evitare gli altri birilli che rotolavano a terra, si guadagnava velocità in un attimo, con la coscienza di non avere il minimo controllo sulla ruota anteriore. Se, al contrario, si cadeva, non si sapeva mai dopo quanto ci si sarebbe riusciti a fermare… Fu un altro momento che si stampò nei ricordi e lì resiste ancora.

Snow Cross

Due anni fa, il Ciclocross quello che conta, quello della World Cup, quello con tutti i suoi campioni, tornò a fare tappa in Italia. Lo fece grazie alla Val di Sole, che si propose come Snow Cross… In realtà, i crossisti la neve la conoscono bene, perché non è raro che anche in Belgio si corra in condizioni simili. Vermiglio però si propose come LA prova sulla neve e la snow cross è ora una costante del calendario di Coppa del Mondo.
Il primo anno arrivarono van Aert e Pidcock, che diedero gran risalto all’evento, il secondo ci fu Mathieu van der Poel, oltre, ovviamente a tutte le migliori e i migliori atleti della specialità: Iserbyt, Vanthourenhout, Sweeck, Pieterse, van Empel, Alvarado… Mi gasai così tanto ad assistere alla prima edizione, che alla seconda decisi di portarmi dietro la bici e giocare anch’io sulla neve della Val di Sole.
Ci eravamo stati un paio di mesi prima, per provare in anteprima i percorsi di Alpine Gravel, appena realizzati e così decidemmo di inventarci, ispirandoci allo Snow Cross, lo Snow Gravel.
Ovviamente, non avremmo potuto ripercorrere gli stessi sentieri, perché pedalare sulla neve non battuta è praticamente impossibile, ma farlo sulle strade secondarie di fondovalle e mezza costa, sulle quali la neve era stata compattata, si poteva fare. E così è stato, senza velleità di esprimere grosse prestazioni, ma di godere di uno scenario e di un fondo differenti.
Pedalare sulla neve compatta non è così diverso che farlo su una strada bianca. La sensazione trasmessa dalle ruote è molto simile, trazione e grip compresi. Così come il feeling in curva e quando si sale o scende, ossia sensibilità aumentata. Per il resto, ci siamo divertiti e abbiamo respirato a pieni polmoni.
E qui torniamo alla massima che abbiamo citato all’inizio, quella dell’attrezzatura inadeguata…

The right horse for the right course

Più che su quale bici inforcare, quando si pedala con la neve, come con altri fondi che offrono scarsa aderenza, sarebbe meglio interrogarsi su quali gomme montare… Il tassello è indispensabile, se si cerca grip, per cui tralasciando la MTB e la fat-Bike, già sperimentate, la scelta è caduta sulla bici da Gravel, possibilmente con passaggio ruota generoso.
Noi abbiamo utilizzato una Trek Checkpoint SL 6, montata con gomme Bontrager GR1 Team Issue da 40 mm, ma capace di accogliere misure fino a 700×45 mm oppure 27,5″x 2,1″. Si tratta di uno pneumatico allround, con battistrada completamente tassellato, che assicura una discreta trazione anche sulla neve battuta.

Il telaio della Checkpoint SL 6 è in fibra di carbonio OCLV500, con disaccoppiatore posteriore IsoSpeed (il sistema brevettato Trek, che svincola il tubo sella dal tubo orizzontale, garantendogli la flessibilità verticale necessaria ad assorbire le vibrazioni trasmesse dal terreno). La trasmissione è SRAM Rival AXS con corona da 44 e pacco pignoni 10-44 a 12 velocità. Il cockpit ha attacco da 90 mm e manubrio da 420 mm. Il telaio presenta diversi attacchi dedicati a una borsa da telaio, tre portaborraccia e portapacchi, oltre a un vano portaoggetti, ricavato nel tubo obliquo. La Trek Checkpoint SL 6 pesa poco più di 9 kg (in taglia 56) e costa 4.919 euro.

bici trek checkpoint vista laterale in bosco innevato

Foto Martina Folco Zambelli | HLMPHOTO

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.