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L’altra Faccia del Surf

di - 27/04/2023

Articolo di leondedifm.it | @leondedifm

Qualche settimana fa quasi tutto il mondo del surf ha condiviso il suo sdegno per quanto successo a Bali. Non poteva essere diversamente data la gravità di quanto accaduto.
Questo episodio grave e vergognoso può essere un’occasione preziosa per affrontare in modo esplicito un tema che fa parte della cultura surfistica, ovvero il “lato oscuro del surf”, ben lontano dal “siamo tutti amici”.

Subito dopo l’accaduto i principali media internazionali di settore ed extra-settore hanno rilanciato la notizia. Ecco alcuni titoli usciti dopo la diffusione virale del video della surfer statunitense Sara Taylor (@salad_tray):

“La surfista Sara Taylor vittima della scioccante rabbia del surf balinese” – Surfertoday.com
“I surfisti professionisti rispondono alla rissa virale del surf” – Surfer.com

“Identificati gli aggressori virali dello scontro di surf a Bali; uno perde lo sponsor, l’altro si scusa” – theinertia.com

“Momento disgustoso in cui una surfista riceve un pugno in testa da un pro surfer maschio, dopo che il suo amico si scontra con lei sulla stessa onda a Bali – il campione del mondo Kelly Slater condanna l’attacco” – dailymail.co.uk

 

Siamo nel 2023, a livello culturale si stanno portando avanti enormi cambiamenti ed evoluzioni ed è arrivato il momento anche di fare in modo che quest’aria di cambiamento entri nella “casa surfistica” che sembra molto reticente a cavalcare quest’onda.


Come primo aspetto partirei dall’analisi dell’episodio in sé.

Abbiamo una ragazza con un livello di surf medio/alto, sicura di se’ e delle sue capacità, concentrata a prendere la sua onda e consapevole del clima presente in determinati spot più che ad indossare l’ultimo modello di tanga, che di fronte ad un surfista che la droppa in maniera eclatante reagisce come chiunque avrebbe fatto e fa in queste circostanze, senza avere timori o perplessità, ovvero lo spinge fuori dall’onda senza provocare pericoli e salvando la sua di onda.
La risposta a tale comportamento è stato un bel cazzotto una volta tornati sulla line up, giusto per ristabilire l’ordine delle cose e delle gerarchie.

Ora lungi da me voler minimizzare e normalizzare un comportamento come un cazzotto verso una donna, mi domando:
“se questa scazzottata avesse avuto come protagonisti due uomini qualcuno si sarebbe così tanto sconvolto?” “Ci sarebbe stato il medesimo clamore mediatico?”
E ancora:
“Quello che ha colpito tutti è il fatto che un uomo abbia dato un cazzotto ad una donna oppure in generale che tali atteggiamenti di violenza sono intollerabili a prescindere dentro (e fuori) l’acqua?”

Sta nelle risposte a queste domande l’occasione, come dicevo sopra, per parlare in modo diverso di alcuni aspetti della cultura surfistica.
E’ inutile stupirsi del fatto che un uomo si sia sentito, in quanto affrontato da pari, nel diritto di menare una donna poichè questo episodio violento e vergognoso non è altro che la conseguenza estrema di una mentalità machista, di performance tossica che per quanto non piaccia è presente nel surf.

se questa scazzottata avesse avuto come protagonisti due uomini qualcuno si sarebbe così tanto sconvolto?”

 

L’arena di Banzai lungo la costa laziale, famoso spot di alto livello, sempre affollato e ad alto contenuto di tensione. Foto: Roberto Albigi (@thebanzaieye)

Ora penso sia il momento di riprendere l’aereo e di tornare da Bali in Italia.

Quotidianamente assistiamo ad atteggiamenti di violenza verbale e comportamentale nei nostri spot.
In acqua vige la legge del più forte, del branco, del clan e più si alza il livello di surf più queste caratteristiche vengono alla ribalta.
Fino a quando si è all’interno dell’ambito protetto e sicuro che gravita intorno alla scuole di surf è tutto sereno, in acqua sorrisoni, birrette al tramonto, surf come sport per stare a contatto con la natura e per cambiare vita.

Verso queste “zone protette”, negli anni passati mal viste, ora si è sviluppato un atteggiamento di forzata tolleranza dato dal ritorno economico che ne deriva, ad un patto però: il patto è che questi surfisti rimangano confinati nelle loro zone e non abbiano l’ardine di progredire nel surf e quindi di surfare in spot differenti.
Da sempre e anche nel caso di Bali si mette come giustificazione a tanta violenza in acqua la carenza di onde, il numero eccessivo di surfisti.

Io penso che siamo tutti sufficientemente intelligenti per pretendere un’analisi un po’ più approfondita e che metta un po’ più in discussione alcuni atteggiamenti piuttosto che ricercare la causa sempre ed esclusivamente in elementi esterni ai surfisti stessi.
A differenza di quanto siamo stati abituati a condurre le discussioni negli ultimi anni, gli argomenti nella maggior parte delle volte non possono essere ricondotti ad una soluzione binaria (giusto/sbagliato- buono/cattivo – bianco/nero – vincitore/perdente); nella stragrande maggioranza dei casi gli argomenti sono complessi e vanno affrontati, in quanto tali, senza necessariamente semplificare per ricondurli ad una soluzione univoca e rassicurante.
Questo argomento non fa eccezione e quindi è necessario affrontare i vari aspetti.

L’arena di Varazze, hot spot del nord Italia anch’esso sempre affollato e ad alto contenuto di tensione in lineup. Foto: @_poloverr_/

In Italia, soprattutto negli spot più famosi, la violenza quanto meno verbale in acqua è totalmente normalizzata.

Nelle “giornate buone” è molto raro non sentire almeno un “che cazzo fai!?!?! Qui non ce devi venì se non sai surfa” – “esci fori allora!”.
Alle volte si ha la sensazione che in acqua ci siano persone che entrino, più che per surfare, per riprendere gli altri al loro minimo e piccolo errore, per sfogare la loro rabbia evidentemente repressa.

Il tutto viene fatto con una classica modalità machista, da maschio alfa per intenderci, che alza la voce, mostra la sua potenza fisica, minaccia e questo è un atteggiamento che viene declinato da entrambi i sessi.

Un volta per esempio, in una giornata di onde ma mooolto easy, avevo notato entrando un ragazzo con un soft top (sintomo generalmente di poca esperienza) stare in un punto sbagliato della line up dove poteva intralciare chi prendeva le onde.
Lo tenevo d’occhio proprio perché non avrei voluto finirgli sopra mentre prendevo un’onda o cose simili.
Ad un certo punto sento delle urla ed era una ragazza che evidentemente era stata interrotta nella surfata della sua onda dal suddetto ragazzo, la quale ha iniziato ad urlare in modo super violento contro lo stesso; poco dopo è sopraggiunto il compagno della ragazza che ha preso in mano la situazione risolvendo la questione “tra uomini”, avventandosi contro il principiante, il quale era in estrema difficoltà perché era molto confuso da quello che stava accadendo.
Il tutto si è risolto con il compagno della ragazza che lo ha invitato ad uscire fuori a risolvere la questione ed il principiante che, senza capire nulla, si allontanava remando in direzione opposta.

Una giornata da mare attivo con 30 nodi di libeccio in Liguria: Diano Marina, una delle poche opzioni surfabili, può arrivare a contare oltre 100 surfisti in lineup. Foto: Alberto Carmagnani

Io ho osservato tutta la scena, cercavo intorno a me sguardi complici per cercare di intervenire e fare in modo che la situatone venisse risolta in altre modalità ma eravamo tutti pietrificati, consapevoli che se fossimo intervenuti saremmo finiti oggetto di quelle urla e minacce anche noi.

Queste questioni sono state sempre risolte dicendo che i principianti non possono andare a surfare ovunque, che per entrare in determinati spot devi avere molta competenza altrimenti diventi pericolo per te e per gli altri.
Queste argomentazioni sono super condivisibili e giuste ma non esauriscono l’analisi.
Secondo me, infatti, tornando all’esempio fatto, sarebbe stato più costruttivo che quella ragazza o quel ragazzo avessero avvicinato il principiante e gli avessero detto senza aggredirlo verbalmente di spostarsi perché in quel punto non era in sicurezza per lui e per gli altri.
Così facendo non solo si sarebbe risolto il problema senza far riscorso a urla e minacce e senza aver incrementato un clima bruttissimo su tutta la line up, ma il principiante avrebbe capito ed imparato una cosa in più sul “regolamento “di quello spot anche per il futuro.

In un’altra circostanza, in una giornata di onde belle mi trovavo nel parcheggio dello stesso spot di cui sopra, stavo togliendomi la muta dopo una bellissima e impegnativa surfata. Un ragazzo cercava parcheggio e mi dice se stavo uscendo; io ovviamente gli dico, in uno spirito da surf da cartolina, che certamente gli avrei lasciato il posto ma doveva attendere 10 minuti, il tempo di vestirmi e caricare la tavola sulla macchina.
Il tizio evidentemente abbastanza local, scendendo dalla macchina mi si è avvicinato e mi ha fatto notare che in realtà io lì non avrei nemmeno potuto parcheggiare; io un po’ basita da tale affermazione ma anche abituata a certi atteggiamenti ho risposto “addirittura!” e ho proseguito come se nulla fosse continuando a fare quel che stavo facendo.
Dopo un po’ sempre il tizio capendo forse di avere un po’ esagerato si è avvicinato nuovamente offrendomi aiuto per caricare la tavola e spiegandomi, senza che io glielo avessi chiesto (leggasi mansplaining), che nel Lazio esistevano molti altri spot più adatti a me perché lì c’era tanta gente.
Io ho risposto che conoscevo gli altri spot del Lazio ma che quel giorno era buono lì e sono andata senza creare problemi a nessuno.

Ora la cosa da notare di questo siparietto non è tanto che un uomo abbia velatamente minacciato una povera fanciulla. Ma ancora prima il fatto che una persona senza nemmeno sapere come surfo, da quanto tempo ma solo per il fatto che non facevo parte della sua cricca, mi ha gentilmente fatto capire che non ero gradita.
Quel giorno tornando a casa ho pensato “se fossi stato un uomo come sarebbe andata a finire?”
E soprattutto ho notato come in certi posti ci aspettiamo talmente tanto certi atteggiamenti e comportamenti che ormai li abbiamo normalizzati come se fossero inevitabili, e a volte anche giusti come unica via per sopravvivere a surfare nella nostra Italia.

In Italia è sempre più raro trovare una lineup semivuota e con onde buone. Liguria | Foto: @_poloverr_/

L’episodio di Bali però ci fa capire che tutto il modo è paese a quanto pare.

Quindi l’argomentazione del poche onde/troppa gente non sembra più così tanto convincente per giustificare o spiegare episodi di violenza.
La violenza è un elemento culturale, e per violenza non dobbiamo solo pensare alle botte ma la violenza è urlare senza dare diritto di replica a un’altra persona, intimidire velatamente e questa violenza in ambito surfistico è super trasversale, non conosce distinzione di genere, viene praticata da chiunque uomo donna e unicorno perché è l’unico modo per poterti fare i fatti tuoi surfando.

Tornando quindi alle domande inziali sinceramente ho trovato un po’ ipocrita tutto questo sconvolgersi, non ovviamente perché non andava data giusta risonanza all’episodio ma perché l’unica cosa che sembrava far deprecare quel gesto era il fatto che fosse una donna a subirlo, senza considerare che la violenza di genere fuori dall’acqua e dentro l’acqua è figlia della cultura machista e patriarcale che si esprime in mille modi.

In più la ragazza dell’episodio di Bali non si è posta come una giovane fanciulla che chiede permesso facendo leva, seguendo gli stereotipi, sul suo sorriso o atteggiamento, ma si è posta da pari ad un sufista uomo e lui da pari l’ha trattata e le ha dato un cazzotto come avrebbe fatto con chiunque.

Liguria | Foto: @i.am.dilo/

L’origine di questo è che si continua a non denunciare la violenza dentro l’acqua e ci si continua a dire che queste sono le regole.
Io penso che sia giunto il tempo di dirci che queste regole hanno stufato e forse è il caso di darcene di nuove.
In una società in continua evoluzione rimanere ancorati al passato è un errore incredibile.
Il surf non è più uno sport per pochi ma sta diventando uno sport di massa e questo cambiamento per quanto possa non essere condiviso oramai è in atto e non arrestabile.
Il sovraffollamento degli spot sicuramente è una causa dell’aumento delle tensioni in acqua, ma pensare ancora di affrontare queste situazioni come 50 anni fa in una sorta di duello o legge del più forte è totalmente anacronistico oltre che sbagliato.

“Il surf non è più uno sport per pochi ma sta diventando uno sport di massa e questo cambiamento per quanto possa non essere condiviso oramai è in atto e non arrestabile.”

Dove è presente spazio in abbondanza e banchi di sabbia in costante cambiamento è ancora possibile trovare picchi vuoti. Giovanni Evangelisti in alta Toscana | Foto: Lorenzo Locritani

Questo invito al cambiamento è rivolto a tutti. A coloro che sono i depositari della storia di uno spot.

Se si considerassero tali e non come i proprietari di quello spot potrebbero regolamentare quei posti e regolamentare non vuol dire far surfare solo chi dicono loro oppure prendere a sganassoni o a male parole chi non rispetta le regole, ma essere prima di tutto di esempio dentro l’acqua ed intervenire quando si creano delle situazioni di tensione oppure di pericolo ma per gestirle in modo equilibrato e pacifico.
In questo modo i così detti “local” non avrebbero bisogno di urlare tra loro per prendere le onde ma godrebbero di un privilegio sullo spot dato dall’autorevolezza, un’autorevolezza conquistata non con minacce, urla o pizze in faccia ma, senza essere il Buddha con parole, rispetto, tolleranza, educazione e APERTURA MENTALE.

Così facendo insegnerebbero a stare dentro l’acqua a chi avrà voglia e orecchie per farlo, tramanderebbero storie. A tutti i surfisti di ogni genere ed orientamento.
Se si abbandonasse la visione che se hai paura e se non affronti le onde come il Gladiatore non sei un/una vero/a surfista, se vai a surfare in alcuni spot sei un/una cagasotto mentre se vai in altri sei un/una figo/a e si sostituisse il tutto con un approccio meno performante e giudicante, io penso che ci sarebbe in automatico una più equa ri-distribuzione delle persone.
Ci sarebbe meno corsa ad andare in certi spot perché fa figo e questo spesso è la causa principale che ti fa trovare in acqua surfisti non adatti a quelle onde, oppure addirittura a quello spot.
L’invito è anche rivolto a chi fa la comunicazione sul surf tramite immagini e parole cercando di iniziare a dare spazio ad una narrazione differente, a dare più spazio e visibilità non solo a prestazioni performanti, che spesso vedono uomini soli esaltati come dei gladiatori appunto, ma anche ad altre realtà utilizzando una narrazione nuova.

L’onda del cambiamento è arrivata, soprattutto da surfisti sarebbe un gran peccato non provare a cavalcarla.

Articolo a cura di FM
Scopri di più visitando il suo blog: leondedifm.it | Instagram: @leondedifm

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Liguria | Foto: @i.am.dilo/