Tu chiamalo se vuoi bikepacking, viaggiare in MTB con borse e zaino al seguito, per una totale immersione nella natura, in autosufficienza, o quasi.
La traversata da Acqui Terme (AL) a Finale Ligure (SV) è stata un’avventura MTB enduro in autonomia tra il Monferrato e la Riviera Ligure di Ponente, che in soli due giorni ha unito magicamente una varietà di paesaggi e tipologie di terreno entusiasmanti.
Enduro Bikepacking
Il bello di queste avventure bikepacking è l’assenza della corsa contro il tempo. La sfida non è contro il cronometro ma solamente contro di sé. Servono pochi elementi: una mountain bike in ordine, un kit per organizzato per il viaggio, e una traccia da seguire sul GPS. Non manca nulla, per dare il primo colpo di pedale, prendendosi tutto il tempo necessario, per scoprire il territorio ma soprattutto se stessi.
Lo ammetto, quello di cui leggerete qui – e vi ricordo i ricchi contenuti foto e video di prossima pubblicazione sul nostro sito – non è un viaggio estremo, per distanza e dislivello, compiuto in completa autonomia, campeggiando al chiaro di luna.
È un’autosufficienza parziale, perché il mangiare e il bere li si possono trovare per strada, non è quindi necessario portare con sé pentolini e cibo, solo qualcosa di scorta e il pranzo al sacco del primo giorno.
La storia della MTB in due spot
È in ogni caso un’avventura bikepacking degna di nota, per vari motivi. Il primo, è l’interesse naturalistico. Infatti, soprattutto la prima tappa, ho pedalato spesso e volentieri lontano dalla civiltà, immerso totalmente in ambienti a volte aspri e selvaggi, dove anche solo una fonte d’acqua si è trasformata in un miraggio per ore.
Il secondo, è quello più ludico se non adrenalinico: ho toccato due rinomati spot enduro. Inizio con il territorio che ha ospitato numerose edizioni dell’Enduro dei 3 Fiumi (tra Cartosio e Montechiaro), gara storica, tra le prime in Italia se non la prima, quando ancora il termine Enduro è un’idea nella mente degli dei del mountain biking.
Chiudo con uno spot che non ha bisogno di presentazioni: noto ora come Finale Outdoor Region, è la mecca italiana della MTB, una destinazione outdoor a 360° tra costa ed entroterra, sede fissa prima del circuito Superenduro e delle Enduro World Series poi.
Ciliegina sulla torta, la magnifica e immensa faggeta della Riserva Naturale Regionale dell’Adelasia, chiusura della prima tappa, nell’entroterra di Savona. Merita una menzione anche il lungo tratto percorso durante la seconda tappa sulla Alta Via dei Monti Liguri, un infinito saliscendi tra fitti boschi e ambienti aperti, tra terra compatta e roccia fissa, tra veloci sterrate e irte mulattiere.
Devo aggiungere altro? Non mi è mancato nulla in questa avventura in bikepacking in sella alla mia fida full suspended da enduro.
La scelta della bici
Eh sì, perché non ho deciso – forse sarebbe stato più saggio – di pedalare su una più versatile e leggera, ma anche meno stancante, trail bike. Ho scelto la Trek Slash 9.7 MY21 appena arrivata, di cui mi sono fidato sin dalle prime pedalate necessarie per la personale messa a punto.
170 e 160 mm di travel all’anteriore e al posteriore possono sembrare tanti per il bikepacking, forse troppi, ma la geometria attuale assicura una buona pedalabilità e comunque una relativamente facile gestione del mezzo in ogni contesto, anche in quelli che non rientrano in ambito enduro race. Infatti Trek ha mantenuto l’animo ludico e versatile della Slash, facile da gestire e guidare anche alle basse velocità e in situazioni tipiche dell’escursionismo a tutto tondo.
Sì, una Fuel EX – per rimanere in casa Trek – sarebbe stata più gestibile e più leggera da pedalare, ma volete mettere il divertimento e la capacità di aprire la manetta in sicurezza sui trail dell’Enduro dei 3 Fiumi ma soprattutto del Finalese?
Il setup non è quello di serie. Ho montato nuovamente il cockpit Pro 3Five che tanto mi era piaciuto sulla precedente versione di questa enduro a stelle e strisce. Ho poi sfruttato la ghiotta occasione di pedalare più di 100 km in due giorni, su sentieri di ogni tipo e con dislivello totale intorno a 3.000 m, per mettere alla prova il set di inserti protettivi Cushcore Pro 29. Questi non solo promettono di mettere al sicuro gli pneumatici e o cerchi, ma anche e soprattutto un effetto di smorzamento di vibrazioni e urti.
La promessa è mantenuta? Scopritelo leggendo la nostra prova.
La scelta dell’attrezzatura
La bici era pronta, mancava solo preparare il kit di viaggio. Un grosso aiuto è arrivato inizialmente da Evoc, che ha risposto in modo rapido alla mia richiesta di un set di borse da bikepacking, così organizzato: manubrio, top tube, e interna al triangolo anteriore (tutte le info qui).
È arrivata anche quella sotto sella, non montata per un semplice motivo. Dovevo fare questo viaggio con la Slash 9.7 MY20 (il nostro test di lunga durata), dove sarebbe stata fondamentale per trasportare il necessario per le riparazioni sul campo della bici. La versione più recente dell’enduro statunitense integra un brillante vano portaoggetti al di sotto del supporto porta borraccia, al cui interno si trova la borsa BITS (qui la nostra anteprima).
Sfruttando questa per il kit di riparazione tubeless, le leve caccia gomme, il multi tool, e le fascette da elettricista, e montando le due compatte e leggere camere d’aria Schwalbe Aerothan MTB+ (qui il nostro test) sul telaio grazie alla fascia Granite Design Rockband+, è venuta a mancare la necessità di utilizzare la quarta borsa. Molto meglio quando tutto si fa più semplice, o no?
Ho detto delle tre borse da bikepacking, che ho così sfruttato: Handlebar Pack Boa da manubrio in misura M (anche L) per la giacca impermeabile; Top Tube Pack (solo taglia S) per barrette e tabs di elettroliti; Multi Frame Pack (M, anche S) per l’action cam DJI Osmo Action quando non utilizzata, e il power bank con relativa coppia di cavi (USB-C per smartphone e telecamera, micro USB per il GPS).
Dulcis in fundo, l’indispensabile GPS cartografico Garmin Edge 1030 montato sul supporto al telaio sul top tube, appena dietro la borsa Evoc.
Fedele compagno d’avventura
Non manca qualcosa? Sì, lo zaino, il fedele Explorer Pro 30 L sempre di casa Evoc. Già utilizzato in più occasioni, sempre per viaggi di più giorni con tappa in rifugio o in albergo, è stato riempito con il cambio del secondo giorno (giusto un paio di calze e guanti, e una maglia e un intimo in più), l’abbigliamento casual comprese le sneaker, il necessaire da viaggio con un mini kit di primo soccorso, il resto dell’attrezzatura e dei ricambi (pompa pneumatici e sospensioni, busta liquido sigillante tubeless, pinza per falsa maglia della catena, una più capace e versatile pinza multi uso, pastiglie freni, lubrificante, mini panno in microfibra), caricabatterie per smartphone e action cam, altre barrette e tabs di elettroliti, salviettine e gel igienizzanti, una mascherina protettiva di scorta, per finire la bustina sigillata con soldi, documento d’identità e carta di credito.
Ho utilizzato la sacca idrica da 2,5 L inserita nell’apposito vano tra schienale e vano di carico, mentre le due ampie tasche laterali sulla fascia ventrale sono servite per riporre comodamente smartphone, gilet antivento e tubolare in microfibra quando non utilizzati, e l’action cam per averla sotto mano in caso di riprese a mano da fare al volo. A proposito di questa, non devo dimenticare il supporto GoPro Chesty per le riprese POV sui trail più significativi.
Il viaggio
Da Acqui Terme a Finale Ligure in mountain bike, ho detto. Non è stata solo un’avventura di stampo enduro, ma anche una riscoperta degli antichi percorsi del sale e dell’olio, che dalla Pianura Padana conducevano al Mar Ligure.
Un percorso di circa 107 km e 2.900/3.100 m di dislivello positivo/negativo, che mi ha portato dalla storica città d’origine romana alle spiagge della Riviera Ligure di Ponente, dalle colline coltivate a vigneti delle Langhe alla macchia mediterranea del Finalese. Dai calanchi del versante piemontese all’aspra catena montuosa che fa da punto di giunzione tra Alpi e Appennino Ligure, con i suoi fitti boschi di castagne e le suggestive faggete.
Un ambiente in continua trasformazione. I colori che cambiano insieme ai profumi e ai sapori, facendo di questo piccolo-grande viaggio in mountain bike un’avventura unica e suggestiva.
Consigli
Il mio consiglio è di contattare la sede CAI di Acqui Terme e la ASD Cinghialtracks, che vi sapranno consigliare sul periodo e sul percorso migliore, oltre a fornirvi le indispensabili tracce GPS (www.caiacquiterme.it/download e www.facebook.com/CINGHIALTRACKS).
Questi sono i principali comuni attraversati: Acqui Terme (partenza), Melazzo, Castelletto d’Erro, Ponti, Montechiaro, Spigno Monferrato, Piana Crixia, Dego, Giusvalla, Cairo Montenotte, Altare (punto tappa), Vezzi Portio, Finale Ligure (arrivo).
Ho deciso di pernottare nella struttura Palazzo K di Altare (palazzok.com), strategicamente collocato lungo il percorso, allungando leggermente la prima tappa (ma accorciando la seconda). Per chi ama l’esperienza in rifugio, consiglio Cascina Miera (www.cascinamiera.it), splendidamente immersa nella natura della Riserva Naturale dell’Adelasia, a monte rispetto la prima e più comoda soluzione, dove però sarete serviti e riveriti in una cascina ristrutturata del ‘600.
Ho seguito la versione “enduro” dell’itinerario, con qualche modifica resasi necessaria dal maltempo che ha colpito l’entroterra di Savona, con numerosi alberi caduti, per trovare varianti più ciclabili. La chiusura è avvenuta su una sequenza di trail tra i più belli e vari del Finalese: ultima parte di Madre Natura, poi il secondo segmento di H veloce, qualche breve collegamento per la chiesetta di San Rocco da cui prendere poi un super classico come Pian Marino (versione “alta”, più tosta) e infine il Sentiero delle Neviere, tra antiche mulattiere e crose sino al borgo di Finale Ligure.
Questo è quanto, un’avventura enduro in bikepacking che, in soli due giorni, unisce magicamente una varietà di paesaggi e tipologie di terreno entusiasmanti.