Pubblicità

Martino, l’Highlander

di - 13/12/2022

martino fruet primo piano viso infangato

Cercate sul web un foto di Martino Fruet, scattata durante la gara di Ciclocross che ha corso domenica scorsa. Poi, osservate quella tipo “figurine Panini”, in cui indossa la maglia del Team Ritchey, scattata vent’anni fa (è in fondo all’intervista).
Bene, qual è la cosa che le accomuna? Sì, avete indovinato… Sul volto di Martino c’è lo stesso, identico, sorriso.
Eccolo, il segreto della sua eterna giovinezza. È il suo approccio alla bici e alla vita: riuscire a divertirsi in tutto ciò che fa. Il che non significa, però, metterci meno impegno o dedizione. Tutt’altro. Vuole dire affrontare sacrifici e fatica con il cuore più leggero, riuscendo anche a superare i limiti che l’età, inevitabilmente, cerca di imporre.

Cosa ci fai ancora in giro? Ogni tanto ci pensi che stai correndo con i figli dei tuoi avversari di un tempo?

Bisogna tenere duro e trovare la motivazione. Io, con la multi-disciplina, ne ho trovata tanta, perché dal XC e Marathon sono passato all’Enduro, al Gravel, alla eBike, al Ciclocross… Quindi cambiare un po’ aria e porsi obiettivi nuovi e diversi ti fa uscire da quella comfort zone in cui rischi di annoiarti. Poi, sicuramente, scovare il divertimento in tutto ciò che fai, se no anche andare in bici diventa un lavoro come un altro.

E tu, dove la trovi la motivazione?

Questa è già una motivazione, perché battere i figli di chi correva con me è molto interessante. Peccato che poi però sono loro a battere me. Riesco sempre a trovare lo stimolo per fare un anno in più. Poi, quando ti chiedono: “Da quanto corri?” e tu, fatti i conti, rispondi: “Trenta…”, allora ti fermi un secondo a riflettere. In realtà, però, ogni anno pensi solo che è un anno in più e al totale non ci badi…

Scommetto che oggi ti diverti anche più di qualche anno fa…

Per certe cose sì, è vero. Mi diverto di più, perché sento molto meno la pressione rispetto a una volta. Anche se, però, quando hai la maglia azzurra sulle spalle e stai per partire per un Mondiale, seppure di eBike, la voglia di far bene e giocarti la vittoria, quella non passa mai e ti senti carico e nervoso. L’importante è riuscire a non subire, ma gestire questa tensione, che comunque è giusto che ci sia, se no, come diceva José Hermida, è meglio smettere.

Fra tutte le discipline in cui ti sei cimentato, qual è quella che senti più tua?

Senza dubbio il Cross Country. Anche a livello tecnico, la bici da Cross Country è quella che preferisco, la bici totale, una all mountain. La bici con cui esci da casa e affronti qualsiasi situazione: pedali forte, ti infili sui trail tecnici e osi fino ai limiti dell’Enduro, soprattutto oggi, che le sospensioni sono davvero performanti, hai il reggisella telescopico, ruote da 29”, geometrie aperte… Sono bici su cui riesci ad andare forte quando c’è da spingere e che ti permettono di scendere quasi dappertutto. Devo però ammettere che la bici più divertente sia l’eBike, perché ti permette di fare la fatica che hai voglia di fare, tanta o poca. E poi mi sembra di avere un bike park a casa perché esco, mi sparo tutta la salita con il turbo, in un attimo, e mi butto in discesa con una bici super performante. La bici più stilosa è invece quella da Ciclocross, bella e filante. Nell’arte del Ciclocross lo stile è una cosa completa. Peccato che siano gare che, vuoi per la stagione, vuoi per la fatica, risultano davvero pesanti, proprio a livello psicologico. E anche a livello di organizzazione: ne devi avere molta di più rispetto, per esempio, al Cross Country, dove ti basta una borraccia e parti.

In questo tuo lungo viaggio nel mondo della MTB, quali sono state le evoluzioni più importanti che hai vissuto, a livello di materiali?

Io ho cominciato a fare gare quando c’erano le bici rigide, le ruote da 26” e i freni cantilever, e di rivoluzioni ne ho viste tante, alcune utili, altre meno o proprio inutili… Per esempio, il passaggio dai cantilever ai V-brake ha trasformato una bici che rallentava in una bici che frenava. Una svolta ancora più grande rispetto a quella, più recente, da V-brake a dischi. Un altro bel cambiamento sono state le gomme tubeless, anche se io ho continuato fino all’ultimo con le camere d’aria perché il sistema non era ancora affidabile… Un altro salto importante, ma difficile da far capire alle persone, è stato quello alle ruote da 29”, senza contare che nel mezzo è arrivata anche la 27,5”. Per me, ad esempio, che non sono alto, la soluzione migliore è ancora la mullet, sulle bici da eBike ed Enduro. Nel Cross Country non è stato facile, ma alla fine mi sono abituato alla 29”. Mi stavo dimenticando delle sospensioni! Da non averle ad averle, e poi averle che funzionano bene, il passo è stato enorme. Non si tratta però di una rivoluzione, ma di una evoluzione, a volte anche lenta. Un accessorio che, invece, mi ha cambiato la vita è stato il reggisella telescopico. L’ho scoperto con l’Enduro e l’ho portato nel XC. Anche i pedali a sgancio rapido hanno modificato lo stile di guida. Tante piccole cose, sebbene non una vera e rapida rivoluzione. Il fatto è che in trent’anni ne ho viste di cose cambiare…

Quanto il tuo stile di guida si è dovuto adattare all’evoluzione della bici?

Diciamo che l’Enduro mi ha cambiato tanto. Per esempio mi ha insegnato a leggere il terreno e a pedalare con una bici diversissima da quella da Cross Country, che ti dava una grande velocità e sembrava avantissima. Poi penso che ho cominciato a fare Enduro otto anni fa con una forcella da 150 mm e gomme da 2.3”, adesso mi trovo a correre in Cross Country con forcella da 120 e copertoni da 2.4”. Credo quindi che sia la specialità a dare tanto e il resto segue. Comunque il mio stile di guida l’ho tirato fuori dalla specialità e non dalla bici, quindi sono sempre stato un po’ più avanti rispetto agli altri. Ti faccio un esempio: la prima forcella Fox arrivata in Italia non la voleva nessuno e ovviamente l’ho presa io perché erano già cinque anni che mi facevo modificare le Marzocchi per avere 115 (di più non si poteva per via delle boccole), ma per me era normale avere forcelle più lunghe e più aperte perché avevo fatto gare di Enduro.

Cosa ne pensi dell’evoluzione delle gare di Cross Country, sempre più tecniche e forse piegate dalla ricerca di una spettacolarizzazione sempre più spinta?

Mi piacciono a metà perché per me la bici da Cross Country è la bici con cui esci da casa e ti infili nei boschi. Mi sta bene avere tratti tecnici, perché le bici sono molto tecniche, ma a me non piacciono tutti quegli ostacoli artificiali, perché sono cose da bike park, da downhill, BMX e pochissimi possono avere un bike park fuori di casa. I sentieri tecnici invece li trovi in qualunque bosco. Anche l’argine di un fiume può essere tecnico. La tecnicità va dunque di pari passo con le caratteristiche e l’evoluzione del mezzo, e ci sta. Le cose artificiali, invece, non mi convincono: quando cominci a costruire salti con protezioni non adeguate non ci siamo. Finché tutto va bene nessuno dice niente, però anche no, perché non incarna l’anima del biker che esce di casa e comincia a girare.

Finché Martino si diverte, continuerà a dare lezione…

Prima o poi i giovani superano i maestri, c’è poco da fare. Scherzi a parte, chi non si diverte non ha capito la MTB, perché è puro divertimento, su qualsiasi bici. Il compito della bici è far divertire, e se non ti diverti vuole dire che devi cambiare sport.

Come vedi i nostri ragazzi nel futuro della MTB? Gli ultimi risultati fanno ben sperare.

Se c’è un anno estremamente buono è sicuramente questo. Il futuro è roseo, con un atleta costantemente nei primi cinque di Coppa, con due vittorie, abbiamo il Campione del Mondo Under23, che è la categoria vicina, le ragazze giovani vanno forte, quindi ci siamo. Sono mancati un po’ gli Junior, ma ci sta. Sai, quando ci sono tanti atleti forti che tirano, i giovani seguono, come è capitato tanti anni fa, quando qualche giovane ha seguito me o Marco Aurelio. È importante che ci siano tanti giovani che hanno dei punti di riferimento. Il movimento c’è, è in salute, e il bacino di utenza è molto ampio, anche nel Ciclocross. Siamo in un buon momento e la MTB piace, la bici piace, quindi l’unico problema è che ci vorrebbe più gente con la voglia di organizzare gare. Si organizzano tante granfondo per gli amatori ma pochissime gare Cross Country giovanili. Pensa che non si riesce ad allstire un circuito regionale in Emilia Romagna, una regione grande, con un sacco di praticanti… Qualcosa va sicuramente rivisto, perché i ragazzini devono poter correre e avere dei riferimenti. In questo, la multidiscplina aiuta, perché vedere i grandi campioni del ciclismo su strada che corrono in MTB o nel Ciclocross è una manna.

Fra dieci anni, quando smetterai di correre, ti piacerebbe restare nel mondo della bici, magari proprio con un ruolo di questo tipo?

Dieci?!? Fra vent’anni, almeno, vorrai dire!!! Faccio davvero fatica a vedermi totalmente fuori da questo mondo, ma sinceramente non riesco a immaginare cosa farò fra dieci o quindici o venti anni… Le cose che potrei fare sono tante, ma finché hai il numero sulla schiena pensi solo a correre. Quando alla fine toglierò il pettorale, allora dovrò partire con un progetto. Idee ne ho tante, e quando sarà il momento capirò quale linea prendere. L’unica certezza è che la mia vita non potrà essere senza una MTB sotto il sedere. Anche se dovessi andare a lavorare in un ufficio, in giacca e cravatta, ci andrei con la mia bici.

⌈Ti può interessare anche:
Intervista ad Antonio Colombo
Intervista a Sonny Colbrelli
Intervista a Dino Lanzaretti
Intervista a Romolo Stanco
Intervista a Rachele Barbieri
Intervista a Marta Bastianelli

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.