Pubblicità

Rachele Barbieri, le ragazze fanno sul serio

di - 13/11/2022

Rachele barbieri primo piano

Questo 2022 è stato un anno storico per il Ciclismo femminile. Il primo “vero” Tour de France, il montepremi parificato al Giro delle Fiandre, tanta visibilità sui media e grande riscontro di pubblico. Abbiamo chiesto a Rachele Barbieri come si vive questo passaggio dall’interno del gruppo, in una squadra di primo piano.
In forza al team Liv Racing Xtra, Rachele è una delle nostre atlete di punta. Impegnata sui due fronti pista e strada, ci limitiamo a ricordare i risultati della stagione 2022, ossia due ori e un argento ai Mondiali su pista (rispettivamente Omnium, Americana e Inseguimento a squadre) e un bronzo agli Europei in linea.

I due mondi di ragazze e ragazzi non sono mai stati così vicini, come in questa stagione

Ci stiamo avvicinando tantissimo agli uomini, è un bel progresso sia a livello di visibilità sia di immagine sia di attenzione che riceviamo. È un grande cambiamento rispetto a qualche anno fa e siamo consapevoli che abbiamo ancora tanto margine per migliorare e arrivare sempre più vicine. Affiancare le gare di uomini e donne aiuta tantissimo, in termini di visibilità ma anche di credibilità: vedere che anche noi possiamo correre gare su lunghi chilometraggi e per tanti giorni consecutivi è senza dubbio di grande aiuto per rafforzare la nostra immagine. E anche le sponsorizzazioni che hanno cominciato ad assumere valori significativi sono un’ulteriore segnale che abbiamo imboccato la strada giusta. Il discorso World Tour ha aiutato molto questa crescita, ci ha dato maggiore consapevolezza e anche maggiore sicurezza economica: gli stipendi sono cresciuti, le tutele sono aumentate, si pronunciano parole come “maternità” che fino a poco tempo fa erano sconosciute nel nostro ambiente.

Siamo dunque arrivati a un punto di svolta? Al momento in cui anche una ragazza può fare del Ciclismo una professione e vivere di questo sport

Ci stiamo avviando verso questa idea anche se c’è molto divario fra società e società. Oggi, nel World Tour, i team garantiscono uno stipendio minimo e questo ci permette di vivere di Ciclismo, cosa che prima solo poche atlete potevano permettersi. Certo, pensare a una parità di compensi con gli uomini è impensabile, almeno nel breve periodo, però siamo contente di come stanno cambiando le cose e ci godiamo questo miglioramento.

Hai citato la credibilità: cosa pensi delle polemiche alimentate dalle tante cadute che ci sono state durante il Tour?

Abbiamo letto cose brutte. Addossare colpe alle ragazze è stato sbagliato e fare paragoni con i ragazzi fuori luogo. Anzi, sono stati proprio i nostri colleghi i primi a difenderci e a prendere le distanze da questi post che ci denigravano e si è creata una sorta di alleanza molto bella. Purtroppo, nel Ciclismo si cade. A volte per colpa nostra perché se ci sono da tirare i freni può capitare che non li tiriamo, a volte ci si mette la sfortuna o situazioni di gara o di percorso. Certo, sarebbe meglio non cadere, però capita e non è certo perché non sappiamo andare in bici. Cadono anche i ragazzi, in modo brutto e per errori o atteggiamenti sciocchi, ma fa parte del gioco e trovo sconveniente dare colpe.

C’è differenza fra il vostro spirito competitivo e quello dei ragazzi?

Non so esattamente come vivano una gara i ragazzi, ma ti posso assicurare che tra noi donne c’è molta competizione e molta rivalità. Noi ce la prendiamo sicuramente di più e siamo più permalose. Quando fra gli uomini si crea qualche screzio, magari per una spinta o una spallata, la cosa si esaurisce nel momento e la chiudono lì. Noi invece siamo più rancorose, la rivalità è forte e credo sia anche bello che ci sia del sano agonismo, però noi donne sappiamo scindere le due cose e quindi, quando scendiamo dalla bici, siamo molto rispettose. Personalmente non ho mai vissuto situazioni estreme, capita che in gara ci si innervosisca molto, ma al massimo vola qualche parola e dopo il traguardo tutto finisce.

Hai parlato di rivalità. Quali sono le atlete più impressionanti, dal punto di vista della prestazione?

Al momento, la Vibes si sta dimostrando la più forte di tutte. Fa degli sprint incredibili e vince sempre in modo molto netto. Sembra strano da dire, ma perdere la maglia all’Europeo arrivandole così vicino è stata una soddisfazione e motivo di orgoglio. Una carica per quello che sarebbe stato il futuro.
Penso comunque che l’emblema del Ciclismo femminile rimanga Marianne Vos, che anche quest’anno sta facendo una stagione spettacolare. È un bel personaggio e quando ha indossato la Maglia Gialla al Tour, credo che quasi tutte le ragazze siano state contente per lei perché se la meritava. La stimo moltissimo. È così professionale, rispettosa, ha un sacco di passione e ha fatto tanto per il Ciclismo femminile, dunque vederla vestita di giallo mi ha fatto davvero un grande piacere.

gruppo delle ragazze al tour de france sugli champs elysee

Cosa credi si possa fare, in Italia, per aiutare ancora di più il Ciclismo femminile

Credo che manchi davvero poco per una vera esplosione. Stiamo lavorando bene e, per esempio, questa unione che abbiamo in pista con i ragazzi rappresenta un’opportunità di crescita e miglioramento. Ma il nostro è un mondo in continua evoluzione in cui non puoi permetterti di fermarti. I materiali, la tecnica… bisogna stare sempre dietro a tutte questi aspetti. L’unica cosa che davvero manca, in Italia, è un velodromo adatto a noi e funzionante al 100%. Montichiari ancora non è agibile e ci possiamo allenare solo noi della Nazionale, un grande vincolo che toglie possibilità di gareggiare in competizioni importanti vicino casa. E penso che per i risultati che abbiamo ottenuto sia noi sia i ragazzi, un velodromo ce lo meriteremmo.

Se avessi una figlia, la metteresti in sella?

Non saprei, ci devo pensare… (ride) Penso che nella mia vita, il Ciclismo sia stato un percorso fondamentale. Mi ritengo molto più matura rispetto ai miei coetanei e lo devo al Ciclismo. Mi ha fatto crescere, mi ha resa responsabile e al di là della fortuna che ho avuto e che ha fatto della mia passione il mio lavoro, lo ritengo una scuola di vita.

⌈Ti può interessare anche:
Intervista ad Antonio Colombo
Intervista a Sonny Colbrelli
Intervista a Dino Lanzaretti
Intervista a Martino Fruet
Intervista a Romolo Stanco
Intervista a Marta Bastianelli

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.