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Antonio Colombo, “agitato e pieno di idee…”

di - 25/02/2023

foto apertura: James Startt

Ci incontriamo nella sua galleria d’arte, a Milano, venti scalini sotto il livello del marciapiedi di via Solferino. Si lamenta del fastidio al tendine d’Achille, che lo tiene lontano dalla bicicletta e lo obbliga a camminare con un paio di ciabatte molto “cool”, e poi mi racconta che sta riempiendo pagine di word con le “parole impronunciabili” e chiede alla sua segretaria di leggerne un po’. Ha ragione, sono terribili… Dopo poco dice: “Andiamo su da me, che stiamo più comodi”. Saliamo i venti scalini che riportano a livello zero e poi le due rampe di scale che portano al primo piano del vecchio palazzo dove c’è il suo appartamento. Accogliente e colorato. I soffitti sono bassi e le pareti di tutte le stanze sono rivestite di quadri piccoli, quadri grandi, quadri enormi, fotografie e disegni. Libri d’arte, design, musica, oggetti antichi e moderni, opere d’arte e sculture sono sparpagliati con cura sui mobili e sul pavimento. Ci sediamo al lungo tavolo della sala, Alessandra (sua compagna di lavoro e vita) ci offre un the dal buon profumo, che pizzica un po’. E chiacchieriamo fino a che la teiera non si svuota.

Come si sta in pensione?

Agitato… Pieno di idee… E ti rendi conto che ci vorrebbe qualche anno in meno per realizzarle. Sono stato capitano di industria, mio malgrado, per cinquant’anni o anche di più. A vent’anni ero già vicepresidente di un’azienda che aveva più di duecento dipendenti. Mio padre era molto anziano e non stava bene. Quindi adesso sono pieno di idee, ma con il necessario freno e la necessaria volontà che non ho alcuna intenzione di fare il capitano d’industria un’altra volta.

Quindi, quelle che hai sono idee pericolose?

(Ride) In realtà ci sono ancora tante situazioni in cui si potrebbe, o meglio, mi piacerebbe poter ancora dire la mia. Ma so che non lo farò nei termini in cui sono stato abituato a farlo… per quello che riguarda la parte ciclistica, mentre per quello che riguarda la parte artistica, non ho freni se non quelli che la saggezza ti impone, quindi vado avanti. Ho mille mondi che mi piacerebbe esplorare e approfondire. Abbiamo perso tutti due anni di passione, di vita e di intrattenimento, e alla mia età due anni pesano. Due anni fa andavo a Los Angeles per incontrare artisti, mi muovevo insieme a quelli delle fisse per trovare contatti… Due anni poi devi recuperarli, e non sai ancora bene come recuperarli. Questa situazione mi pesa molto, e forse la decisione di vendere è stata accelerata dal Covid. Io ero al “secondo tempo” come tutti quelli della mia età, e so già come va a finire (ride…), quindi prima di arrivare ai tempi supplementari o ai rigori… prima di trovarmi in quella situazione lì, ho accelerato una decisione necessaria mentalmente e operativamente, però il Covid ha influito molto. In sua assenza, forse, sarei stato ancora oggi al timone, ma non c’è mai un momento giusto per prendere queste decisioni storiche bensì situazioni che le fanno accelerare, e il Covid è stato una di queste. L’assenza dai luoghi, il cambio di stile di lavoro hanno influito abbastanza.

Quanto ti mancano Cinelli e il tuo ufficio?

Il mio ufficio mi manca molto perché era un luogo particolare. Anche la struttura fisica dell’ufficio, perché avevo piccole cose, memorie di affezione, come la fotografia di Colnago e De Rosa con il bicchiere in mano (che non so più nemmeno dov’è…). Credo che nessuno abbia mai avuto una fotografia di Colnago e De Rosa insieme. L’avevo sulla libreria, attaccata con il gancino. Quindi, oltre al fatto che entrassero le persone e si stupissero delle cose che c’erano, “Ooooh, Keith Hering, aaaah la bicicletta, ooooh guarda questo…”, ogni visitatore era un mio ego che si ingrandiva ulteriormente. Ma c’era della sincerità, ecco. Lo stupore che provavano nel vedersi davanti una bella bicicletta o delle opere, un accumulo di documenti o di storia in un ufficio, era sicuramente sinonimo di interesse da parte dell’appassionato, ed era gradevole per me, se la persona mi era simpatica, fare lo show…

Devo dire che con chi non guardava i miei libri e le due o tre biciclette che avevo in ufficio mi rifiutavo poi di proseguire il colloquio, o comunque mi ricordo di alcuni investitori che non hanno dato neanche un’occhiata alla Laser o ad altri oggetti che avevo lì. Avevo anche due colombe all’uncinetto, una bianca e una nera, che lasciavo in mostra anche provocatoriamente. Era un po’ una sfida: ti lascio lì una colomba all’uncinetto… e sono sicuro che non c’era nessuno al mondo nel ciclismo, tranne Pegoretti o certi altri piccoli imprenditori o artigiani, che riempisse il proprio luogo di lavoro di cose non congrue. E quindi l’apparente incongruità o la bizzarria delle opere d’arte o libri rock… Io facevo vedere anche un libro di Tom of Finland. C’erano tante cose che rimandavano alla costruzione delle immagini o dei valori, una ricostruzione mentale mia, non necessariamente funzionale all’esercizio dell’imprenditoria. Ecco, diciamo che questo teatrino dell’ufficio fisico mi manca abbastanza.

“Con chi non guardava i miei libri e le due o tre biciclette che avevo in ufficio mi rifiutavo poi di proseguire il colloquio.”

Avevi messo in preventivo che, un giorno o l’altro, i tuoi incontri non sarebbero più avvenuti nel tuo ufficio, ma in un altro luogo?

(Ride) Non ho mai pensato a questo, per la verità. Forse mi illudevo che i valori di cui sono stato propugnatore potessero essere rinnovati con le nuove proprietà. Vanità, forse? O per età o per esperienza, o comunque perché capivo che un certo mondo riconosceva quello che all’inizio veniva descritto come bizzarria comunicativa e che potesse continuare. In realtà, non sulla bicicletta, ma su altri argomenti, può continuare. Anche perché le cose che vorrei fare sono tante, e riguardano tutte le mie esperienze artistiche e di design.

Un rimpianto, un rimorso, una intuizione e un errore

(Sorride) Questa è impegnativa! Beh, come rimpianto, verso alcune persone che meritavano di più, avrei dovuto essere più tollerante o più dialogante. Cioè capire di più le ragioni degli altri, comprendere e non avere isterie mentali. Avrei dovuto quindi capire meglio i valori delle persone, anche se per molti versi non ero d’accordo su certe loro specificità. Sto parlando di manager. Questo è un rimpianto vero. Ho avuto persone bravissime, e mi domando perché non sono stato capace di tenerle. Evidentemente ho creato condizioni per cui loro non potessero continuare più a lavorare. Sono rimasti anche dieci, quindici anni, quindi da una parte è un rimpianto perché i vari Leonardi, Marra, Erzegovesi, Caccia sono persone che hanno fatto la storia del ciclismo e sono nati con me, poi a un certo punto non sono più riuscito a tenerli e hanno fatto fortuna altrove. Perché dunque non sono stato in grado di tenerli? Forse perché ero troppo esigente o perché alcune cose non importanti le facevo diventare importanti? Penso anche che, se avessi tenuto un po’ di quelle persone, avrei ottenuto maggiori soddisfazioni. Non che io volessi diventare come la Specialized, però con quei manager si poteva fare di più. Alla fine sono comunque rimasti tanto, quindi in qualche modo alcuni nel mondo della bicicletta riconoscono che sono stato una nave scuola. Ma forse tutto questo, più che un rimpianto, è un rimorso…

Un rimpianto grande è Maurizio Castelli. Rimpiango sia Maurizio Castelli sia la Castelli stessa. Vabbè, il rimpianto di Maurizio è dovuto alla sua scomparsa, ma lì non ci possiamo far niente. Mentre la Castelli come opportunità espressiva, di cui ero un esponente (ero il presidente), ecco se avessi saputo valorizzare alcune persone come meritavano, sarebbe rientrata dentro, perché aveva delle grosse capacità che in parte riuscii a esprimere, ma poi fui costretto a cederla perché qualcosa si era guastato. Ho commesso l’errore di aver messo a capo persone non idonee. Ecco, il rimorso vero è avere abbandonato delle persone. Persone a cui voglio bene e che vedo anche tuttora, sia ben chiaro! Se dovessi fare dei pesi, ho avuto un ottanta per cento di persone valide e il venti per cento che ha guastato quelle valide. Ho messo in posti di comando persone che non erano all’altezza e non ho valorizzato altri che non erano in posti di comando e che avrei dovuto invece accompagnare lungo un percorso di crescita anche in altri ambiti.

“Come rimpianto, verso alcune persone che meritavano di più, avrei dovuto essere più tollerante o più dialogante.”

Poi, cosa c’era? Un’intuizione… Beh, sono fiero di quelli che parlano bene di me, che dicono di avere imparato qualcosa, e io ancora mi domando cos’hanno imparato (ride). Fondamentalmente, intuizioni sono le mountain bike, le fisse, le Laser, le gravel… Beh, non è che se non c’ero io non nascevano, però sono contento di aver dato il La o aver capito prima, o insieme ad altri, certe nuove situazioni. Perché la gravel, con la Passatore… Poi, intorno a lì ci sono anche tutti gli errori. Per esempio, mi si può dire: “Perché non hai continuato?”. In effetti ciò che mi è accaduto con le persone a volte mi è accaduto anche con alcuni prodotti, che non ho accompagnato nella crescita. E anche nell’arte. Ci sono artisti con i quali ho lavorato bene e poi, a un certo punto, non ho insistito, come se quelli fossero già certi, e dunque vado a cercarne degli altri, ma a volte bisogna restare con chi puoi gestire e digerire.

Arte e ciclismo, come hanno indirizzato la tua vita?

Come ti ho detto, io sono imprenditore mio malgrado. Questo sta a significare che non avevo né la vocazione per il comando, né la vocazione per il denaro, quindi mi sono trovato a includere in quello che facevo valori per me importanti, che erano quelli del design e dell’arte. E in qualche modo ci sono riuscito. Coniugare arte, design e bicicletta è stato difficile dal punto di vista dell’accettazione, ma non dal punto di vista mentale. Non che io dovessi fare dei grandi salti per impormi di capire il design, di capire l’arte o di capire il ciclismo. Poi metterli insieme per me era abbastanza semplice. Per gli altri un po’ meno, per cui sono dovuti passare alcuni anni perché questo fosse acclamato, e sono dovute accadere alcune cose come la mountain bike e le fisse. L’aspetto culturale della mountain bike e delle fisse è fortissimo, e ha radici nell’arte, nella street art e nella musica.

“L’aspetto culturale della mountain bike e delle fisse è fortissimo, e ha radici nell’arte, nella street art e nella musica.”

Cosa avresti voluto fare da grande?

O fotografia o design. L’artista è un mestiere infame, e non ho mai avuto desiderio di fare l’artista. Avere a che fare con gli artisti, quello sì. Volevo vedere cosa c’era dall’altra parte della barricata, che è comunque un lavoro impegnativo, frustrante, non è che l’arte ti dia facili e tante soddisfazioni di vita. Il lavoro dell’arte è impegnativo come il lavoro della bicicletta. Hai le stesse difficoltà che hai negli altri lavori: gli artisti non ti consegnano, i galleristi ti tradiscono, però sai che puoi essere protagonista di qualcosa di storico, ma questo capita anche per altri lavori, come il giornalista. Però ho avuto modo di conoscere persone meravigliose e situazioni che mi hanno appagato. E questo grazie anche alla bicicletta. Conoscere Eric Clapton avendolo sognato quando avevo 14 anni, e sentirsi dire che gli piacciono le mie biciclette… sono soddisfazioni legate all’arte e legate alla mia differente imprenditoria. Sicuramente Eric Clapton non avrebbe detto: “Oh che belle le *******!”…

“coniugare arte, design e bicicletta è stato difficile dal punto di vista dell’accettazione, ma non dal punto di vista mentale.”

Quanto stile e design sono importanti nella tua visione di bicicletta?

Sai, è difficile che una bicicletta che ha stile e dei contenuti di design non sia una bicicletta che alla fine funziona bene, quindi determinate goffaggini che si vedono nelle biciclette finiscono per renderle poco attraenti. È un cocktail con questi ingredienti, poi dipende in che dose li metti, ma senza stile e design non fai una bella bicicletta, come senza gin, rhum o Campari non fai un buon cocktail. Anche se la bicicletta perdona molto, e ci sono biciclette non belle che però funzionano bene…

Come vedi il mercato, in che direzione sta andando?

La bicicletta è sempre stata in sovrapproduzione, ma il trend è comunque positivo. Certo che se ti aspetti che cresca del doppio, e poi cresce solo del dieci o del quindici, persi che sia in decrescita del novanta o dell’ottantacinque, non capendo. Nessuno dei big accetta di essere ragionevole nelle previsioni, e questo trascina in un effetto imitativo che va anche nei non big. Poi i big se la sanno cavare bene perché licenziano, chiudono e fanno cose che a me fanno inorridire, ma è una cultura americana e orientale per cui aprono e chiudono senza problemi. Se noi poveri europei ci facciamo prendere da questo orgasmo, non riusciamo più a liberarcene. Uno che ha un negozio che si ingrandisce e assume dieci commessi e poi l’anno dopo torna ai due che aveva prima, in certi luoghi del mondo è una cosa standard, da noi è un dramma per chi lavora.

Per mia cultura, non ho mai licenziato, ma non ho nemmeno aumentato il numero dei dipendenti in funzione di un’illusione. Difficile che un italiano si comporti così… Colnago ha mai fatto il passo più lungo della gamba? Poteva, ma non lo ha fatto. È cresciuto grazie al suo talento, mentre certi marchi andranno avanti sempre in questo modo. Oggi, per esempio, l’eBike crea delle opportunità ma anche delle illusioni in chi crede che possa continuare a crescere del cento per cento. Quanto può crescere Elon Musk? Sta facendo la bolla pure lui, eppure c’è chi cerca di imitarlo. Per fortuna, nel ciclismo italiano queste cose non succedono. Siamo tutti in questo senso abbastanza conservativi.

E il futuro dei negozi?

Portare avanti un negozio di biciclette è sempre più difficile. Ne spariranno tanti e ne resteranno solo di due tipi. Quelli piccoli, gli artigiani, quelli che ti conoscono per nome e tengono duro. Un po’ come chi fa un abito su misura. Questi continueranno a esistere. Se io volessi farmi fare una bella bicicletta andrei da uno di questi, però deve essere intelligente, deve sapermi convincere, mi deve mettere in sella e avere la pazienza di spiegarmi come si gestiscono quattro aggeggi elettronici. Ma è difficile, c’è stato un momento in cui a Milano avranno aperto venti negozi, poi c’è stato il momento delle disillusioni e sono spariti, perché hanno dovuto fare i conti con l’economia della bicicletta, che è difficile, con margini bassi e tanti sacrifici anche in termini di tempo. È un mestieraccio che richiede passione per quello che fai.
E poi resisteranno quelli più strutturati, quelli che sono buoni meccanici, buoni venditori, buoni intrattenitori, che conoscono l’elettronica, i computer, che sanno prendere le misure, che sono sempre aggiornati, ben finanziati…

Hai detto che hai tante idee e ti piacerebbe fare mille cose. Tornerai fra le biciclette?

Non credo. Ho molto da fare per mettere in ordine i miei archivi e le mie memorie, per cui magari mi si vedrà scritto…

Se qualcuno ti offrisse una collaborazione?

Onestamente mi domando chi potrebbe mai volere una mia collaborazione e perché! Scherzi a parte, dovrebbe piacermi, essere tollerante, che ci fosse un progetto interessante… dovrebbero verificarsi tante condizioni perché io possa dire di sì. Non lo escludo a priori, ma certamente non facendo il capitano di industria.
Ti faccio una piccola confessione: in questi anni ho talmente condiviso con Alessandra tutto ciò che è stile e design che farei fatica oggi a lavorare nella bicicletta senza di lei, per cui quando mi definisco “una coppia creativa” intendo che ho bisogno di una persona a fianco che capisca, tolleri, intuisca, promuova… Io non so disegnare, non so usare il computer, faccio fatica a fare le call, sono pieno di difetti. Ecco, un altro rimorso è di essere un semi analfabeta tecnologico e oggi questo pesa. Però, se sono arrivato fin qui, posso anche non saper fare le call. Un po’ come uno che abita a Venezia, che può permettersi il lusso di non fare la patente…

Ci salutiamo. Fra poco arriverà Claudio Marra, che dalla nave scuola Columbus/Cinelli è sceso per prendere il mare come capitano di industria (è mister FSA). Ma non viene qui per parlare di lavoro, si parlerà d’arte…

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Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.