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Run to the Source: il nuovo docufilm di Patagonia

di - 01/09/2022

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Il nostro direttore Daniele Milano Pession ha incontrato Martin Johnson, ambassador trail running di Patagonia, che ha fatto un viaggio pazzesco. 296 km dalla barriera del Tamigi, nel sud-est di Londra, alla sorgente del fiume. Da qui ne è nato il docufilm Run to the Source firmato Patagonia. Scopriamo insieme cosa ci ha raccontato.

 

Run to the source

Nel nuovo documentario sul trail running di PATAGONIA – RUN TO THE SOURCE, Martin Johnson, membro della comunità Black Trail Runners, esplora la natura e il tema della diversità. Una testimonianza quasi fuori dal tempo, narrata lungo le miglia del Tamigi. Un racconto che cattura e dal quale è stato tratto il cortometraggio. Il trail running è stato solo il pretesto per descrivere ciò che non si vede attraverso anse, sentieri nascosti e scorciatoie di uno dei fiumi più iconici al mondo.

 

Ehi Martin, dove ti trovi attualmente e cosa stai facendo?

Attualmente vivo a Charlton, nel sud-est di Londra, dove sono nato e cresciuto e vivo con la mia compagna Anya e i nostri figli Herbie e Ned. Al momento sto tentando di destreggiarmi tra le attività lavorative, sono Technology Programme Manager nel settore dell’edilizia sociale e il lancio di “Run to the Source”. In più sto organizzando un viaggio che mi porterà in Irlanda del Nord tra pochi giorni. Qui prenderò parte a un evento Backyard ultra. Una specie di gara senza un traguardo predeterminato in cui i partecipanti devono completare un giro di 6,7 km in meno di un’ora, ogni ora, fino a esaurire le forze. Vince l’ultimo che resiste. Consulto ossessivamente il meteo alla ricerca di previsioni più favorevoli. Attualmente so ci sarà una tempesta e venti forti. 

 

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Qual è la motivazione che ti spinge a uscire e correre in questi giorni?

In questo momento ciò che mi spinge è il desiderio di ritrovare la forma fisica dopo un periodo di infortunio e di continuare il viaggio che ho intrapreso con la corsa negli ultimi anni. La corsa mi ha portato a scoprire meravigliosi spazi all’aperto che altrimenti non avrei mai avuto motivo di visitare, e mi ha aiutato a creare nuove importanti amicizie.

Più in generale, sono motivato dai benefici fisici, emotivi e mentali che ottengo attraverso la corsa. Benefici che ho sentito più forti che mai soprattutto durante gli ultimi tempi abbastanza difficili che abbiamo vissuto. La corsa mi ha offerto una via di fuga, uno sfogo per liberarmi da stress e ansie, e mi ha aiutato anche a mantenere un senso di connessione con il mondo e le comunità intorno a me.

 

Run to the Source. Come è nato questo film?

Sono cresciuto a Londra, e il Tamigi è stato uno scenario sempre presente nella mia vita. Ha continuato a svolgere un ruolo fondamentale nella mia scoperta del trail running e dell’ultrarunning. E’ stato il Thames Path National Trail, che ho percorso fuori dal centro di Londra, a far crescere il mio amore per la corsa. Lo stesso Thames Path è stato teatro della mia prima ultramaratona, una corsa di 80 km da Oxford a Reading. Man mano che le mie capacità fisiche crescevano, sentivo che un giorno mi sarebbe piaciuto tentare di percorrere l’intera lunghezza di questo fiume che pensavo di conoscere così bene. Poi, nel 2020 sono diventato membro della comunità originale dei Black Trail Runners (BTR) appena formatasi. Una comunità e un gruppo attivista che cerca di favorire l’inclusione, la partecipazione e la rappresentazione dei neri nel trail running.

 

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Black Trail Runners, una comunità molto attiva…

Poiché la comunità si è formata durante la pandemia, le opportunità per eventi in presenza sono state limitate, e gran parte dell’attività si è svolta online. Durante una conversazione con Phil Young, co-fondatore di BTR, in cui discutevamo dei modi per ispirare e coinvolgere ulteriormente la comunità nel rispetto delle restrizioni, ho menzionato il mio desiderio di correre il Thames Path National Trail. Ho commesso l’errore di dire che esisteva anche un record di velocità per quel percorso. Siamo subito stati d’accordo su come il fiume fornisse la metafora perfetta per ciò che stavamo per fare con BTR. Ovvero un percorso nazionale che attraversa in modo unico il cuore di una grande città. Il viaggio dalla Barriera del Tamigi a Woolwich, nel sud-est di Londra, alle Cotswolds Hills nella campagna britannica. Quest’ultime simbolo della volontà delle persone di colore di Londra e di altre città di scoprire e recuperare spazi all’aperto nel Regno Unito.

 

Tamigi, una grande storia da raccontare?

Il fiume stesso racchiude così tanti segreti oscuri di una storia lontana dalla versione che ci è stata insegnata, e sentivamo di poter usare la sfida fisica per raccontarla. Con il supporto di Patagonia Europe, di cui ero diventato ambassador, abbiamo sviluppato ulteriormente l’idea iniziale, e il progetto è diventato parte della serie Run To. Volevamo che il film fosse girato e diretto da un regista nero del Regno Unito che avrebbe potuto affrontare in prima persona alcune delle sfide e dei problemi analizzati nella pellicola. La ricerca ci ha portato al talentuoso Matt Kay, il quale, partendo dallo schema iniziale, ha saputo sapientemente plasmare e sviluppare la narrazione nel film con un mix intelligente e potente di filmati d’archivio e parlato che scorrono insieme a filmati catturati dalla corsa stessa.

 

 

In passato hai raccontato della necessità di inclusione degli sport all’aperto, e il film si concentra su questo tema. Puoi dirci di più su qual è la situazione in questo momento e del percorso che dovremmo intraprendere per diventare una comunità outdoor inclusiva e accogliente?

Qui nel Regno Unito molti spazi rurali sono considerati come spazi della classe media dei bianchi. Il censimento del Regno Unito del 2011 ha affermato che oltre il 97% della comunità etnica nera, asiatica o minoritaria, vive nelle aree urbane. La storia ha creato disuguaglianze e barriere che si combinano per impedire a molte persone di colore di stabilire relazioni con la vita all’aria aperta o addirittura di scoprirla. Molte persone di colore non sentono di appartenere al mondo outdoor. Sebbene ci siano dati limitati sull’etnia degli eventi nel trail running, la mia esperienza personale e di molti altri trail runner di colore supporta l’idea che queste barriere siano reali. Spesso sembra che sia l’unica persona di colore a gareggiare in molte delle manifestazioni di corsa.

Penso che, per diventare una comunità outdoor inclusiva e accogliente, dobbiamo prima riconoscere i problemi. Poi da qui iniziare a disimparare le “regole” che normano il mondo outdoor e chi può accedervi. Si può iniziare con una maggiore rappresentanza in tutto il settore outdoor, non solo a livello di partecipanti, ma anche a livello di organizzazione. I marchi e gli organizzatori di eventi dovrebbero supportare e offrire spazio alle nuove comunità che partecipare. Io, inoltre, mi impegno molto con i giovani di colore dei centri urbani per facilitare loro l’accesso in giovane età al mondo outdoor.

 

Hai vissuto – e corso – vicino al Tamigi per molti anni. Com’è cambiato il tuo rapporto con il fiume da quando hai realizzato questo film?

Sono diventato molto più consapevole del ruolo che il fiume ha svolto nel plasmare il mondo che ci circonda. Ora è impossibile per me correre lungo il Tamigi senza che mi vengano in mente i problemi e la storia che il film mi ha aiutato a esplorare. Punti di riferimento che avevo ignorato centinaia di volte ora hanno un significato. Quindi, il tempo trascorso sul fiume o lungo il fiume sarà per me sempre più ricco di riflessioni.

 

Al centro di questo film c’è una sfida sportiva davvero difficile. Quali sono stati gli alti e i bassi nel percorrere l’FKT?

La sfida fisica si è rivelata molto più difficile di quanto mi aspettassi. Ovviamente si trattava di un percorso davvero lungo, più di qualsiasi altro io avessi mai tentato di correre prima. Era la prima volta da quando avevo iniziato a correre su distanze ultra che dovevo lottare con il mio corpo che cominciava a cedere. Problemi al ginocchio e al polpaccio, uniti ad alcune forti piogge fuori stagione lungo il percorso tra Oxford e Thames Head, hanno reso gli ultimi 80 km particolarmente complicati. Alla fine, ho visto il mio tempo target allontanarsi, ed è stato uno dei momenti più difficili perché speravo di correre un tempo notevolmente più veloce, quindi non sono stato in grado di offrire da bere a tutti! 

Alcuni runner che non avevo mai visto prima, ma che conoscevano il mio progetto, si sono presentati lungo il percorso per offrirmi il loro supporto e/o unirsi a me per alcuni tratti. Non lo dimenticherò mai. Herbie, Ned e Anya sono spuntati lungo il tracciato per essere lì con me, ed è stato davvero fantastico. Inoltre, ho ricevuto tantissimi messaggi da parte di alcune persone che raccontavano quanto si sentissero ispirate dalla mia impresa.

 

Cosa vorresti che il pubblico imparasse da questo film?

Spero che il film possa spingere gli spettatori ad appassionarsi alle storie meno conosciute delle nostre terre. Spero inoltre che il film possa ispirare gli spettatori di gruppi emarginati a iniziare a cercare questi spazi aperti straordinari che possono offrire tanto. Esperienze fisiche, emozionali e sociali in grado di arricchire l’animo umano.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro? Hai già in mente qualche nuovo progetto?

Per quanto riguarda la corsa, ho in programma alcune gare e avventure e non vedo l’ora che arrivi il Running Up for Air (RUFA). Running Up For Air è una sfida di resistenza, che consiste nel correre su e giù per una montagna o una collina per 3, 6, 12 o 24 ore. Il suo fine è aumentare la consapevolezza dell’inquinamento atmosferico, un problema che mi sta a cuore dato che vivo con i miei figli a Londra dove respiriamo l’aria più tossica d’Europa.

 

Martin, un tuo pensiero finale?

Esplorare il mondo outdoor arricchisce fisicamente, emotivamente e socialmente. Al contrario la storia ha creato disuguaglianze e barriere. Spero che Run to the Source possa spingere gli spettatori a scovare alcune delle storie meno conosciute delle terre che ci circondano. Quelle storie che hanno plasmato le nostre società e i diversi privilegi che ne fanno parte.

Guarda Run to the Source online qui:

Di Daniele Milano Pession | foto: Holly-Marie Cato

Corro quanto basta, pedalo a giorni alterni, parlo troppo. Nelle pause mangio. Instancabile sostenitrice di quanto lo sport ti salvi. Sempre. Le mie giornate iniziano sempre così: un caffè al volo e il suono del GPS che segna l'inizio di un allenamento. Che corra, pedali o alzi della ghisa poco importa: l'importante è ritagliarmi un momento per me che mi faccia affrontare la giornata nel modo migliore.